Di cosa parlano i media quando parlano di violenza sulle donne?
"Dramma della gelosia” non può più essere il titolo per un femminicidio. Anche i media devono combattere gli stereotipi di genere
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"Dramma della gelosia” non può più essere il titolo per un femminicidio. Anche i media devono combattere gli stereotipi di genere
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"Dramma della gelosia” non può più essere il titolo per un femminicidio. Anche i media devono combattere gli stereotipi di genere
In primo luogo si attenua la responsabilità del gesto: gelosia, raptus, provocazione sono il corollario motivazionale dell’autore. Spesso la voce della vittima non trova ascolto. Il secondo scarto riguarda la mancata consapevolezza che il fenomeno si inserisce in una realtà economica, sociale e politica di disparità nei confronti delle donne. In questo modo si riconferma legittimità a un sistema che continua drammaticamente a perpetuare questi gesti. Non si tratta di atti episodici, se in Ticino la polizia interviene ancora tre volte al giorno per casi di violenza domestica; senza contare che molte delle situazioni violente non vengono alla luce.
La “Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, entrata in vigore in Svizzera il 1. aprile 2018, investe proprio i media di un compito fondamentale. Chiede loro di comprendere il fenomeno, di darne notizia correttamente, di evitare forme di vittimizzazione ulteriore delle vittime. Chiede che le parole e le immagini utilizzate non rafforzino quegli stereotipi di genere.
L’ho uccisa perché l’amavo – Falso!, un denso libriccino per la collana Idòla di Laterza pubblicato nel 2013 a firma di Loredana Lipperini e Michela Murgia, smonta pezzo per pezzo le “false certezze” sul fenomeno del femminicidio che ancora troppo spesso vengono veicolate dai media. Narrazioni tossiche che ritroviamo facilmente anche nei titoli dei media locali quando parlano di violenza sulle donne, che sia femminicidio, violenza domestica o molestia.
“Dramma della gelosia” non può più essere il titolo per un femminicidio. È un modo per alimentare una percezione del fenomeno come episodico, giustificandolo persino, deresponsabilizzando l’autore e quindi sganciando il gesto dalla riflessione sui rapporti di genere e dalla responsabilità che è anche collettiva.
Come ogni professione anche quella di giornalista è chiamata ad aggiornarsi, a rivedere convinzioni distorte che agiscono in automatico nel descrivere la violenza sulle donne.
Per questo motivo la Rete di associazioni e enti culturali, sindacali e politici Nateil14giugno in collaborazione con alcune giornaliste proporrà un percorso di tre incontri online, partendo dalla consapevolezza della lingua che utilizzano, dall’immaginario costruito attraverso luoghi comuni e immagini, per infine ripensare la narrazione della violenza nei media.
Per maggiori informazioni:
nateil14giugno.ch
sciopero@nateil14giugno.ch
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