Quando il porno si fa reale
Siamo pronti a parlare sinceramente di sesso e sessualità, oppure lasciamo il compito a YouPorn?
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Siamo pronti a parlare sinceramente di sesso e sessualità, oppure lasciamo il compito a YouPorn?
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Siamo pronti a parlare sinceramente di sesso e sessualità, oppure lasciamo il compito a YouPorn?
A Palermo, un gruppo di sette giovani ha fatto ubriacare una diciannovenne per poi abusare di lei nei modi più aberranti e crudeli che donna possa immaginare (scusate, ma gli uomini non hanno, non possono averne un’idea) per poi abbandonarla come un rifiuto dolorante e sanguinante. Ma non era la prima volta: lunedì scorso si è saputo di un fatto simile, con analoghe modalità, ai danni di una giovane inglese, a Magaluf, e tra gli arrestati figura anche un ragazzo svizzero; poco più di un mese fa invece, a Mallorca, l’arresto di sei germanici, stesso motivo, stesse modalità. Senza contare la miriade di episodi singoli ma non per questo meno gravi e umilianti. Protagonisti sempre giovani maschi, che al netto dei volti – giustamente (?) blurrati – hanno né più né meno l’aspetto dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei nostri vicini di casa: magliette griffate, sacoche, calzoncini sportivi, ciabatte di gomma, calzini bianchi. In testa, probabilmente, anche loro una cultura trap della peggior specie, in cui le ragazze sono semplicemente bitches (cagne) mentre il cash è l’unico motivo per cui tirarsi giù dal letto ogni mattina.
Forse, ed è un’ipotesi, ma ai nostri occhi varrebbe certo un approfondimento, siamo di fronte, a intervalli sempre più ridotti e regolari, al risultato di una sessualizzazione avvenuta in modo autonomo e scriteriato, soprattutto per i millennials e gen Z, grazie al libero accesso, in ogni istante e in ogni luogo, a immagini e filmati proposti dai colossi web della pornografia mondiale, siti in cui basta certificare la propria maggiore età con un visto per potere soddisfare qualsiasi desiderio personale. Le miriadi di canali pornografici che il web offre, a titolo gratuito e soprattutto ubiquo, hanno con tutta probabilità in questi anni contribuito a un costrutto mentale che si basa da una parte su categorie di pratiche sessuali (e ben lo hanno dimostrato i giovani palermitani, che nelle intercettazioni successive allo stupro tirano in ballo proprio i canali porno), dall’altra su un’idea di umano sentire che fa della donna un mero pupazzo (trattata come una “bambola di pezza” (così il gip aveva definito le modalità di un altro grande stupratore come Alberto Genovese) in mano a corpi bramosi e fermi a uno spirito di conquista atavico, basato sulla clava della violenza, a scapito delle parole, della condivisione e del sentimento.
A questo punto, volendo essere del tutto sinceri, andrebbe sottolineato uno degli aspetti che più differenzia donne (tutte) e uomini (non tutti) in ambito sessuale, e che sta alla base dell’orrore che questi soprusi sempre suscitano, oltre in chi li deve vivere in prima persona, anche in chi ne deve leggere: per arrivare a un atto sessuale l’uomo deve essere anzitutto eccitato (il margine di manovra della donna in questo senso è più ampio), ma questa euforia ormonale non deve per forza passare dalle parole o dai sentimenti positivi. E, peggio ancora, chi stupra non vive come deterrente né le lacrime né le richieste di pietà della vittima, anzi: spesso, il motore di quello che gli inglesi chiamano arousement, risiede esattamente nella sopraffazione, nel lasciarsi andare a un istinto animale così potente e brutale da spazzare con un colpo di mano perfino i diritti umani più basilari. Come spezzare dunque questo meccanismo perverso, in cui violenza e sessualità sono intrinsecamente legati?
Ognuno è responsabile anzitutto delle proprie azioni, questo è certo, ma la società, di fronte a un fenomeno così esteso e dilagante, non può limitarsi ad armare qualsiasi ragazza che si appresti ad uscire unicamente di consigli di difesa (dal “non appartarti in spiaggia” a “non andare mai in bagno da sola” al “non lasciare mai una bibita incustodita”), come se stesse andando a fare la spesa in tempo di guerra sotto l’occhio attento di invisibili cecchini.
Ben venga allora qualsiasi tentativo di iniziare a intavolare una discussione, di dare delle parole e una forma a concetti nuovi solo ai nostri occhi di comuni mortali, ma intrinsecamente legati alla sessualità, se possono portare a uno scambio e a un confronto basati, anzitutto, sul necessario rispetto reciproco. Eppure, ogni volta che un organo istituzionale cerca di dare una forma a temi spinosi e delicati – che si tratti di educazione sessuale o di agenda scolastica – che i nostri figli altrimenti affronterebbero con tutta probabilità su uno dei canali porno gratuiti di cui sopra, puntuali – bacchetta alla mano – ecco arrivare gli strali della chiesa (ricordiamo, notizia recentissima, il CL arrestato per i fatti di Rimini, ma anche il nostro docente ticinese, qualche mese fa) o di qualche politico pronto ad accusare di comunismo chi del sesso e di tutte le tematiche ad esso collegate (sì, omosessualità, gender fluidness ecc. ecc. comprese) non intende fare un tabù.
Ne dobbiamo parlare, anche ai nostri figli, anche noi. Eppure, ci sono madri e padri, anche da noi (senza scomodare la madre palermitana, secondo la quale la vittima se l’era cercata), che al proprio figlio per i diciott’anni regalano un abbonamento al sito di intrattenimento pr adulti “Only Fans”, o che, quando il suddetto pargolo viene lasciato dalla fidanzatina (sempre da noi) arrivano a consolarlo dicendogli “non pensarci, era semplicemente una tr***”.
Nell’immagine: messaggi in rete, alla ricerca del video dello stupro
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