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Naufragi

Quello che le parole non dicono

Quali saranno le distanze sociali in un futuro post-pandemico?


Enrico Lombardi
Enrico Lombardi
Quello che le parole non dicono
• 18 Aprile 2021 – Enrico Lombardi

Fra i tanti dati, controversi o meno, relativi ad infezioni, ricoveri, decessi, vaccinazioni, che accompagnano tristemente da un anno e più le nostre giornate di relativa o totale clausura, ricorrono, sempre più numerosi, interventi e dibattiti che si occupano di descriverci possibili scenari post-pandemici: insomma, quale sarà o potrà essere la vita sociale, economica, politica, culturale quando saremo usciti dal tunnel (ferale) in cui ci imprigiona il Covid19?

Senza voler aggiungere nulla alle tante prospettive già delineate nei più diversi ambiti e dai più diversi esperti, a rischio di apparire un po’ “naïf” vorrei porre una semplice questione che concerne un aspetto non troppo indagato (mi pare) finora: nel dopo pandemia, si tornerà a stringersi la mano per salutarsi (come si deve)? Si potrà tornare ad abbracciarsi fra amici, a baciarsi sulle guance per felicitarsi o per congedarsi fra parenti e conoscenti?

Forse appartengo ad una categoria umana che nel rapporto con i propri simili ha sempre avuto bisogno di “segni” tangibili legati al mondo affettivo o anche solo di intrattenere relazioni con altri a partire da una semplice (ma altamente simbolica) stretta di mano.

Mani e bocca e naso sono le parti del corpo che ci inducono, doverosamente, da febbraio 2020, a “mantenere le distanze sociali”, lavando bene e spesso le prime e coprendo con la mascherina le altre due. Fra le poche indicazioni comportamentali che rimangono salde tali e quali nello siluppo delle strategie anti-Covid19, l’igiene delle mani ed una protezione delle vie respiratorie restano capisaldi inalterati.

E se alla mascherina si fa sempre e ancora fatica ad abituarsi (ma in un anno le cose sono molto “migliorate”) alla mancata stretta di mano, ormai, e ancor più alla rinuncia ad ipotetici slanci affettivi, sembra ormai ci si sia tutti adeguati.

Dunque, nel post-pandemia, non sarà più usanza farlo? Non ci si avvicinerà più ad alcun interlocutore, amico, conoscente, parente, per rimanere sicuri di non rischiare?

C’è una specifica disciplina che studia questi aspetti: si chiama prossemica, ed analizza i comportamenti sociali degli individui collocati in uno spazio circoscritto, analizzando le distanze che vengono inconsciamente prese fra le persone, il loro modo di porsi nei confronti di chi hanno vicino e con cui interagiscono. Insomma, l’affascinante (ed ineffabile) mondo del linguaggio non verbale.

Dobbiamo la nascita degli studi di prossemica ad un antropologo americano, Edward Hall, che per primo ha analizzato i comportamenti umani in questa prospettiva ed ha stabilito quattro tipi diversi di “distanze” che le persone si prendono naturalmente interagendo:

  • La distanza “intima” (da 0 a 45 cm);
  • La distanza “personale” (da 45cm a 1 m);
  • La distanza “sociale” (da 1m e 20cm a 3m);
  • La distanza “pubblica” (oltre 3 metri e 50cm).

Ecco da dove nasce l’odierno uso comune della raccomandazione di mantenere le “distanze sociali”, che infatti sono empiricamente misurabili proprio stendendo le braccia fra due persone, specularmente: le mani non devono toccarsi, e a quel punto si è a distanza “di sicurezza”.

Ma la stretta di mano era nata, anticamente, proprio a simboleggiare la disponibilità ad entrare in contatto con l’altro, a riconoscerlo come interlocutore, ad accoglierlo come pari, in un accordo di reciproco riconoscimento, che presuppone apertura, fiducia. La stretta di mano con la mano destra per la precisione, perché la destra era quella con cui si impugnava il coltello o la spada. Stringerla ad un altro rappresenta, da allora, il dichiararsi “in pace”.

I medici e i virologi ci raccomandano di rispettare le regole di mascherina e distanza sociale, anche per il  futuro, fino a chissà quando, perché di garanzie che il virus sia scacciato dalla nostra vita proprio non ce ne sono. Come a dire che, in prospettiva, non ci si potrà più fidare di nessuno, mai più.

Non parliamo, a questo punto, di altri segnali “non verbali” di apertura verso l’altro, di “vicinanza” affettiva, o di stima, di riconoscimento. Fuori dall’intimità famigliare o di coppia, è tutto precluso.

Ma come possiamo immaginare una festa di matrimonio, un compleanno, una serata commemorativa,una manifestazione di sostegno o di protesta, un funerale senza il “calore del contatto”, tutti sempre e rigorosamente a distanza? Ma che mondo sarebbe?

E soprattutto, un mondo così, senza antidoti ed anticorpi all’assenza di vicinanza fra le persone ( che vuol dire accoglienza e solidarietà, per esempio) come saprà affrontare le tante altre grandi questioni, politiche, sociali, economiche del post-Covid19, gestite da impersonali entità che le mani se le lavano volentieri, da sempre?






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