Plaidoyer per la scheda senza intestazione
Eletti da una infima minoranza, bene così? Parlando di legittimazione popolare in epoca di disaffezione da parte dei cittadini
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Eletti da una infima minoranza, bene così? Parlando di legittimazione popolare in epoca di disaffezione da parte dei cittadini
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Eletti da una infima minoranza, bene così? Parlando di legittimazione popolare in epoca di disaffezione da parte dei cittadini
Ho fatto un sogno: che al momento dello spoglio si scoprisse che a votare è stato, in media, meno del cinquanta per cento degli aventi diritto nei Comuni, e che le schede senza intestazione sono la maggioranza assoluta di questa minoranza. Un segnale chiaro, forse un abbozzo di resistenza all’inerzia.
Mi piacerebbe anche che si confermasse quello che da anni è nei fatti, e cioè che gli eletti sono privi di reale legittimazione popolare, e che quella di cui dispongono in virtù delle leggi elettorali è basata sulla pigrizia e sulla triste abitudinarietà (famigliare) dei ticinesi, oltre che sul disinteresse di sostanza che i cittadini hanno per la gestione della cosa pubblica. Un disinteresse che va al di là del rumore di fondo che fa da basso continuo non solo in epoca di campagna elettorale: una sorta di chiacchiera con funzione puramente fàtica, anche quando essa si alza di tono per stigmatizzare i piccoli e quotidiani scandaletti del territorio. Come fosse solo il pretesto per un caffè, per un ritrovarsi all’angolo della strada in epoca di lontananza coatta; un opinare e discettare in discussioni anche lunghe e articolate, ma che si sanno del tutto accademiche, per occupare gli intervalli tra pranzo e cena; un bel cantiere retorico e argomentativo per noi umarell.
Difficile ritenere che questo sovrano distacco sia riconducibile alla fiducia nella qualità del personale politico, proprio nel momento in cui si tratta di eleggerlo e quindi di eventualmente riconfermare coloro che con tanta sagacia e operosità hanno fatto l’interesse pubblico, liberando noi laici dalla fatica di occuparcene. E poi, nella chiacchiera di cui sopra, dei politici si dice sempre, ecumenicamente, il peggio. Il motivo non può che essere che, nella mente dei cittadino-contribuente-elettore, l’elezione è un momento inessenziale, in cui il votante non ha né la possibilità né il motivo per incidere, il mulino della cosa pubblica macinando peraltro con altro carburante, cioè magari (magari…) quello dei funzionari e di coloro che lavorano senza bisogno di essere eletti per farlo.
Centinaia di piccoli adenauer e willybrandt locali ci ammorbano da settimane con parole d’ordine muffe e senza sostanza, dall’alto di atroci manifesti autoreferenziali, chiedendo fiducia cieca e cambiali in bianco; a causa dell’inerzia del sistema, l’unico pericolo vero in agguato è uno sgambetto dal proprio compagno di lista o, per l’appunto, qualche idea vera che si faccia largo nel generale vuoto pneumatico. Addirittura, anche parlare è considerato disfattismo, se non è per glorificare l’esistente (è, prevedibilmente, l’alcalde al meglio delle sue capacità, in modalità non-disturbate-il-manovratore). Ben pochi si porranno il problema della propria personale legittimazione, una volta che i loro augusti deretani saranno posati là dove si agognava che fossero. Penso in particolare a coloro che dicono di essere sismografo unico, anzi megafono, del popolo minuto e che magari ritengono di rappresentarlo veramente, quando invece hanno raccolto al massimo i voti del trenta per cento del cinquanta per cento dell’elettorato, cioè il quindici (15) per cento dei potenziali elettori (a loro volta una minoranza dei cittadini tutti). Si porranno ancora meno il problema della propria idoneità a occupare la carica in modo decente; e forse nemmeno quello della responsabilità dei partiti, e dei loro vuoti proclami, nella disaffezione popolare.
Si possono avere perplessità sul sistema della democrazia diretta, in cui il principio dell’”uno vale uno” sta mostrando la corda in un mondo in cui la complessità dei problemi si unisce alla facilità di veicolare pseudo-soluzioni semplici, spesso rabbiose e divisive, senza competenza e anzi con orgogliosa ignoranza; con gli effetti tremendi che ogni giorno sperimentiamo. L’alternativa potrebbe essere un rafforzamento della democrazia parlamentare e una riduzione degli ambiti in cui ai votanti è richiesta l’opinione; ma questo richiede una politica vera (progettuale, seria, competente), che a propria volta necessita di personale politico di qualità da eleggere, tutte cose di cui stiamo crudelmente lamentando la latitanza. Insomma, un bell’impasse; ma, appunto, credo che sarebbe un promettente inizio una elezione in cui i partiti si prendessero una sonora e ampiamente meritata sberla.
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