Resilienti a tutto, consapevoli di nulla, oppositori di niente
Di fronte ai peggiori scenari, per nulla ipotetici, mostriamo sempre più un’eccitata propensione al passivo adattamento
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Di fronte ai peggiori scenari, per nulla ipotetici, mostriamo sempre più un’eccitata propensione al passivo adattamento
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Di fronte ai peggiori scenari, per nulla ipotetici, mostriamo sempre più un’eccitata propensione al passivo adattamento
La versione online di Vogue America ha pubblicato le foto della coppia Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina invasa dalla Russia e di Olona Zelenska sua consorte. E così anche la moda diventa uno strumento di costruzione del consenso, ma soprattutto – al di là dell’analisi semiotica della foto patinata di lui e lei abbracciati – diventa uno strumento di normalizzazione della stessa guerra, perché questa guerra sarà lunga e bisogna farla entrare nella normalità di vita degli europei e degli americani, e cosa c’è di meglio che metterla in mostra su una rivista di moda/tendenza?
Perché la guerra è a pochi chilometri da noi, ma dobbiamo non vederla, vogliamo/dobbiamo divertirci, fare le giuste vacanze, essere spensierati, fare finta che tutto sia normale, quella normalità che nasce dall’abitudine e/o dall’indifferenza; già abbiamo superato la pandemia (non è vero, ma vogliamo crederlo), non sarà una guerra a fermare la società dei consumi, del divertimento, del turismo che fa tanto bene al Pil ma che inquina a dismisura e accresce la crisi climatica e piuttosto ce la prendiamo con i piloti d’aereo in sciopero che ci impediscono di divertirci (il diritto a cui teniamo di più, degli altri diritti e dei diritti degli altri non ce ne importa nulla).
A Civitanova Marche un uomo è stato ucciso da un altro uomo sotto lo sguardo dei passanti in pieno centro e si filma la scena dallo smartphone ma nessuno interviene: la società dello spettacolo trionfa ancora una volta (ed è l’ultimo esempio di una lunga storia) e la solidarietà muore.
Ultima notizia, tra le molte possibili: in Algeria, dalla fine dell’anno, l’inglese verrà insegnato nelle scuole primarie. Ha detto il presidente Tebboune: “Il francese è un retaggio culturale” del colonialismo della Francia, mentre l’inglese è una lingua internazionale. Dimenticando che anche l’inglese è una forma di colonialismo culturale e soprattutto che porta con sé il modello coloniale occidentale e statunitense, ormai globale – il consumismo, Hollywood e oggi Netflix, la way of life americana e la Silicon Valley, la società dello spettacolo e della spettacolarizzazione, eccetera – ma anch’esso diventato normale e senza alternative.
E veniamo a resilienza. Parola che ha molti significati ma che il potere usa e ci insegna ad usare nell’unico significato utile per sé. Perché per il potere – politici, banchieri e finanza, industriali non solo delle armi, mass media, sistema educativo e formativo – essa significa unicamente adattamento; significa indurci ad accettare come normali i dati di fatto e i modelli imposti dal potere, senza reagire e senza opporci, ma anzi, imparando appunto ad adattarci, così dando prova di buon senso e di sano pragmatismo. Adattandoci anche alla crisi climatica che nessuno vuole risolvere perché per risolverla davvero bisognerebbe rovesciare l’intero modello tecno-capitalista e questo è ciò che il potere non vuole, limitandosi quindi a un po’ di green-washing e a spacciare molta resilienza – “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”, si è detto).
Sulla resilienza ha scritto cose importanti – che sottoscriviamo in pieno – Sarantis Thanopulos, Presidente della Società psicoanalitica italiana (il manifesto, del 30 luglio): “La terra brucia letteralmente, il cambiamento climatico […] prende sempre di più la forma di una catastrofe che, già annunciata da mille evidenze, si presenta davanti alla nostra porta di casa, anticipando, con la siccità, carestie e una sequenza di pandemie nuove […]. I super vertici mondiali non hanno prodotto nessuna misura realmente condivisa in grado di contenere il disastro ambientale. […] La cosa sicura è che la tendenza collettiva dominante è il diniego della realtà. […] La concentrazione selvaggia della ricchezza, la robotizzazione della forza lavoro e la digitalizzazione […] hanno prodotto una precarietà occupazionale mai vista, hanno dissolto le relazioni private e sociali, hanno fatto evaporare il tempo libero e hanno fatto confluire il tempo di lavoro nel tempo folle dell’accelerazione continua, scandita dall’azione performante.
Si vive in un presente continuo, di conseguenza il futuro (le sue minacce e le sue potenzialità) non esiste e dal passato non si apprende niente […]. La maggioranza degli umani vive allo stato dell’indifferenza, giorno per giorno”. A questo si aggiunge il fatto che “la domanda che più rapidamente si diffonde e determina ormai il mercato, è quella dei dispositivi di eccitazione e scarica; la creazione di una neo-realtà che aiuti a dimenticare la realtà vera, a fuggire in un mondo di fantasia pura, necessariamente autistico, autoerotico. Ciechi come talpe ci scaviamo la fossa. Questo è il mondo della “resilienza”: l’adattamento costante al peggio […], il rifiuto di trasformarci per trasformare le condizioni della nostra esistenza, lo stoicismo di fronte alle catastrofi che deriva da uno stato perenne di auto-ipnosi (l’effetto vero di ogni tipo di droga)”. Conclude Thanopulos: “Se non facciamo uno sforzo per combattere l’indifferenza, la realtà ignorata ci castigherà in modo severo”.
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