Come mettersi una corda al collo
Il “profondo rosso” della Banca Nazionale e l’”aspetta e spera” del ministro delle finanze
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Il “profondo rosso” della Banca Nazionale e l’”aspetta e spera” del ministro delle finanze
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Il “profondo rosso” della Banca Nazionale e l’”aspetta e spera” del ministro delle finanze
Grandi lai per la minaccia che incombe sulle finanze cantonali: verrà meno la distribuzione degli utili della Banca Nazionale ai cantoni e senza quella manna (immeritata) sprofonderà senza scampo il Ticino.
“Aspetta e spera”: non può far altro che commentare il responsabile delle Finanze, Christian Vitta. Il quale osa però aggiungere, rassegnato, una osservazione fondamentalmente giusta: lo scopo della Banca Nazionale è fare politica monetaria, non distribuire utili. E il punto sta veramente lì. Non è facile spiegarlo, proviamoci.
La guerra delle monete
Ciò che si è tralasciato di dire nei commenti uditi o scritti è che anche per la politica monetaria il mondo si è in certo qual modo rovesciato e che la “guerra delle monete” (c’è anche quella, c’è sempre stata, si è inasprita) ha cambiato strategie e armi.
L’espressione “guerra delle monete” deriva da ciò che gli economisti chiamavano un tempo “svalutazioni competitive”. I ticinesi più anziani forse ne hanno una memoria pratica. Infatti, abili e sempre pronti alle svalutazioni competitive erano gli italiani: svalutavano di fatto la lira, ottenevano un tasso di cambio più basso (con un franco ottenevi più lire), diventavano più concorrenziali nei prezzi, vendevano ed esportavano sempre di più e facevano miracoli (economici). E, quindi, noi andavamo ad acquistare a Ponte Tresa. Persino la benzina. L’arrivo della moneta unica, l’euro, ha guastato l’espediente. E si capisce perché molti (la Lega) proponevano di uscirne e tornare alla lira.
La “guerra delle monete” ha cambiato strategia dopo la grande crisi finanziaria del 2008. Le banche centrali (come la Banca Nazionale) hanno adottato una politica monetaria espansionista (più credito, più denaro facile in circolazione) con lo scopo di rilanciare l’economia e uscire dalla deflazione (calo generale della domanda di beni e servizi, stagnazione). Con un risultato comunque analogo: indebolimento della propria moneta, ciò che permetteva di stimolare le esportazioni e ridurre i disavanzi commerciali. Se però tutti fanno così, può finire in un gioco a somma zero.
La Banca nazionale, di fronte a un franco che insisteva invece a mantenersi forte (moneta troppo richiesta, bene rifugio), sempre in salita e controvento ha fatto sforzi immani per evitarlo. Come? Con una politica di tassi negativi (quasi a penalizzare o a far pagare chi voleva franchi) ma soprattutto a moltiplicare quasi per quattro la consistenza del suo bilancio acquistando montagne di dollari e di euro (e si sa che un bene che si acquista cresce di prezzo, si rivaluta). Lo esigeva tutta l’economia del paese: la forza del franco, infatti, metteva a repentaglio la competitività e le esportazioni (troppo care) delle nostre imprese.
Un ribaltamento o la guerra al contrario
A partire dallo scorso anno, per le bizze che arrivano come virus anche nell’economia, c’è una sorta di ribaltamento. Una guerra al contrario. Molti paesi si danno da fare per rovesciare letteralmente le loro strategie monetarie: bando alle vecchie armi delle “svalutazioni competitive”, nuovo campo alle “valutazioni competitive”. Come mai e per quale motivo? E’ arrivata forte l’inflazione (aumento generalizzato dei prezzi), da tempo dimenticata, e questa volta è una moneta forte che diventa un’arma importante per combatterla. E per renderla forte, come capita ormai anche in Svizzera, bisogna renderla più cara (aumento del costo del denaro, aumento dei tassi di interesse). Adottare cioè politiche monetariamente più restrittive. E che cosa fa la Banca Nazionale? Questa volta utilizza il suo bilancio, le sue riserve… per acquistare franchi svizzeri, per rendere il franco più forte. Scopo? Contenere l’inflazione, ormai rampante, diminuendo il costo dei beni e dei servizi importati grazie al rincaro del franco o a un franco che vale (compera) di più, “rivalutato”. È un buon “copia e incolla” di quanto stanno facendo gli Stati Uniti, eterni ispiratori.
Come mettersi una corda al collo
È però come mettersi una corda al collo. Il caso più emblematico è certamente quello della Banca centrale europea. Essa è posta di fronte ad una scelta a dir poco drammatica, anche perché è assillata da tassi di inflazione ormai da primato.
Un euro debole rincara ancora enormemente i costi all’importazione (v. per l’energia, ad esempio); un aumento dei tassi di interesse permetterebbe di rafforzare l’euro e attenuare l’inflazione. Stringere i cordoni della borsa (rendendo la moneta più cara con l’aumento dell’interesse) frena però anche la crescita economica, già debole.
Lo stesso dilemma si pone o si porrà anche alla Svizzera, sia all’interno sia nei rapporti con l’Europa e l’estero (e in particolar modo per gli scambi energetici).
E poi è ancora un gioco a somma zero o una spirale suicida. Nei due casi – valutazione o svalutazione competitiva – non solo è impossibile, ma è assurdo pretendere che con tali strategie si possano far evolvere i tassi di cambio delle monete nella stessa direzione e allo stesso momento.
Siamo piuttosto la prova provata della mancanza di qualsiasi cooperazione internazionale per ottenere una stabilità dei tassi di cambio o a un’ulteriore dimostrazione che le guerre, anche quelle monetarie, conducono solo alla distruzione o, nel caso concreto, a passarsi l’un l’altro il tarlo dell’inflazione.
A dare il tocco del paradosso o del dilemma tragico ci hanno pensato gli analisti della Goldman Sachs, potenza bancaria criticata e deprecata, ma che è sempre utile considerare per quello che fa e che dice: “le banche centrali delle economie influenti e sviluppate (quindi, come la Banca nazionale svizzera) dovrebbero aumentare i tassi di interesse di almeno 10 punti-base per compensare una semplice svalutazione dell’uno per cento della loro moneta, quindi per rafforzarla di tanto.”
Pensiamo, se fosse il caso, quale disastro economico ne deriverebbe. O come l’”aspetta e spera” del ministro delle Finanze del Ticino finirebbe nell’inferno infinito di un decreto, sponsorizzato paradossalmente anche dagli ambienti economici del Cantone e che ha incantato anche il popolo (che non ha sempre ragione), che gli chiede la parità di bilancio entro due anni, nonostante il “profondo rosso” della Banca Nazionale e le sue conseguenze. Appunto, come mettersi una corda al collo.
Una piccola speranza rimane, è vero: rivalutandosi fortemente il dollaro per opera della Federal Reserve – dollaro moneta dominante e tornata moneta rifugio – come sta avvenendo, le riserve in valuta della Banca Nazionale (per il 38 per cento in dollari) potrebbero rendere meno rosso il prossimo bilancio.
Nell’immagine: un altro “Profondo rosso”, quello di Dario Argento (1975)
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