Un altro Natale della Patria
Nel giorno dei discorsi e delle celebrazioni per la nostra Festa nazionale, un testo dello scrittore Peter Bichsel può tornare a farci riflettere, anche sorridendo
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Nel giorno dei discorsi e delle celebrazioni per la nostra Festa nazionale, un testo dello scrittore Peter Bichsel può tornare a farci riflettere, anche sorridendo
• – Enrico Lombardi
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Il “profondo rosso” della Banca Nazionale e l’”aspetta e spera” del ministro delle finanze
• – Silvano Toppi
Nonostante i risultati forniti da autorevoli studi, la Cina continua ad ignorare le origini ed i meccanismi delle pandemie
• – Roberto Antonini
Daniele Finzi Pasca, con affetto e riconoscenza, ricorda il grande regista teatrale Peter Brook recentemente scomparso
• – Daniele Finzi Pasca
Un omaggio al “maestro” della linguistica italiana, scomparso a Roma, da parte di due studiosi e insegnanti ticinesi
• – Redazione
Youssou N’Dour – La voce ed i suoni del Senegal nel mondo
• – Marcello Lorrai
L’Italia che si prepara ad andare al voto e quella che aspetta che la sinistra dica qualcosa di sinistra
• – Lelio Demichelis
Witali, Lidia e la piccola Tiffany: lui rimasto a Charchiw, moglie e figlia rifugiate a Lugano. Una storia di paura, sofferenza e, nonostante tutto, di speranza
• – Redazione
I leader africani aspirano ai milioni degli accordi sul gas, ma denunciano lo sfruttamento del continente da parte dell’Occidente
• – Redazione
Nel giorno dei discorsi e delle celebrazioni per la nostra Festa nazionale, un testo dello scrittore Peter Bichsel può tornare a farci riflettere, anche sorridendo
Sulla nostra zattera proponiamo in questa occasione un estratto da un testo a suo tempo molto discusso di un altrettanto discusso scrittore svizzero, Peter Bichsel. Si tratta di “La Svizzera dello svizzero”, uscito sulla rivista “Du” nell’ormai lontano 1967, tradotto una prima volta in italiano da Enrico Filippini dieci anni dopo per un edizione di Casagrande e poi inserito in una raccolta, “Il virus della ricchezza” (Marcos y Marcos, 1991).
A distanza di cinquantacinque anni, rileggere oggi le parole di Bichsel può essere un modo non troppo scontato di confrontarsi con la nostra vera, apparente, presunta, immaginaria, leggendaria “identità nazionale”. (e.l.)
Io sono Svizzero.
Quando dico a mia madre: “Vado in Germania”, oppure “vado in Francia” oppure “vado in Svezia”, lei mi risponde: “Allora, vai all’estero”.
Per gli svizzeri esistono due mondi: il dentro, la patria, e il fuori, l’estero. Quando vado all’estero mia madre mi dice: “Sta’ attento a non farti rubare niente, tienti sempre vicina la valigia”. Gli svizzeri all’estero mettono i soldi in un sacchetto che portano appeso al collo, sotto la camicia, oppure cucito sulla biancheria.
Per noi la parola estero suona ancora vagamente come miseria.
Se all’estero dico: ”Io sono svizzero”, mi aspetto qualche reazione, un’esclamazione di stupore, sorpresa, ammirazione, o perlomeno della benevolenza. (…)
Il fatto che la considerazione di cui gode all’estero la Svizzera sia calata, per noi è un fenomeno stupefacente. La conclusione che ne traiamo è che occorre spiegare meglio agli altri l’eccezionalità della Svizzera. Si tratta quindi di un fenomeno di carattere linguistico: sono gli altri che non conoscono più il significato delle parole da associare al concetto di Svizzera.
Comunque la Svizzera si regge o affonda senza mutare la considerazione di sé che più le fa piacere. Sarà probabilmente così anche negli altri paesi, sorprendente è solo il fatto che noi continuiamo ad essere convinti della nostra indipendenza di spirito, della nostra eccezionalità, della nostra testarda ostinazione. (…)
La guerra ha rafforzato la nostra autostima. Il fatto di essere stati risparmiati conferma, per così dire, tutto quello che volevamo venisse confermato: la forza del nostro esercito, la nostra onestà, la grandezza del nostro stato, la democraticità del nostro paese e la predilezione che Iddio ha per esso.
Noi svizzeri siamo anticomunisti. Pertanto l’esperienza della guerra ci ha rinsaldati nel nostro anticomunismo. Il fatto che la guerra sia stata combattuta contro i fascisti è diventato ininfluente.
Siamo convinti che sia un nostro merito essere stati risparmiati: merito del generale Guisan e merito di tutti noi, perché con il nostro comportamento, con il nostro esercito e con la bellezza del nostro paese dobbiamo aver impressionato Dio. (…)
Questa presunzione rende la Svizzera immutabile e io sono terrorizzato all’idea di dover vivere tra vent’anni in una Svizzera uguale a questa. Ci siamo molto abituati ad essere un museo. Ci diverte essere ammirati dagli stranieri, e chi parla della “eccezione Svizzera” intende il “museo Svizzera”, una democrazia a scopi dimostrativi.
Anche in questa democrazia ci sono dei privilegiati, la nobiltà di sangue è stata sostituita dalla nobiltà di soldi, al posto degli aristocratici sono subentrati i nuovi ricchi; essi difendono i loro privilegi opponendosi a ogni cambiamento; ogni sviluppo della democrazia potrebbe ledere i loro diritti; ogni cambiamento è un pericolo. Sono riusciti a convincere della stessa cosa anche i loro concittadini, dato che l’infarinatura di politica socialista ha avuto come conseguenza che lo svizzero medio è diventato un uomo agiato; egli è pronto a difendere gli speculatori fondiari perché così difende anche il suo giardinetto; questa viene chiamata tolleranza.
Siamo un paese benestante. La povertà qui è una vergogna; come minimo si evita di ammetterla, e così i ricchi vivono meglio. Ma in genere da noi anche la ricchezza viene dissimulata con discrezione. Il denaro qui è una faccenda intima, del proprio denaro non si parla.
Ogni nuovo provvedimento di carattere sociale da noi viene inizialmente avversato dicendo che danneggia l’iniziativa privata. Per iniziativa privata si intende la possibilità di ogni cittadino di diventare ricco; l’iniziativa privata è il diritto dei lupi.
Nonostante ciò, da noi si parla molto di senso civico. Un termine quasi impossibile da definire. Forse una volta significava il senso della collettività, dell’organizzazione dello stato; il senso civico oggi però è piuttosto la conciliazione precipitosa, la paura del nuovo, l’accettazione delle deficienze e la rinuncia alla discussione dei problemi di fondo.
Questo senso civico stravolto porta al disinteresse per lo stato; ciò che si apprezza a priori e senza riserve non lo si tiene più sotto controllo. La politica interna per la nostra stampa è quasi un tabù. Nella grande maggioranza dei casi ci si limita a pubblicare il punto di vista ufficiale, affrettandosi a dichiarare di essere d’accordo. La nostra stampa non è più un luogo di dibattito.
Una democrazia senza discussioni sarebbe una democrazia da museo. Il nemico interno della Svizzera è il senso civico stravolto. La posizione del riccio – arrotolato su se stesso con gli aculei verso l’esterno – è diventata il simbolo della nostra indipendenza. Ma anche un riccio deve srotolarsi per procurarsi da mangiare.
Da P. Bichsel, “La Svizzera dello svizzero”, in “Il virus della ricchezza”, trad. di Chiara Allegra, Marcos y Marcos, 1991, pp. 31-53
Fra verità e menzogne, è guerra aperta nel mondo del calcio
La recente sentenza sull’aborto fa tornare indietro l’America ai tempi del Far West, in nome di un estremismo fondamentalista. Ma non è solo una storia americana