Signor Giudice… siamo giovani
Lettera immaginaria al Giudice dei minorenni Reto Medici
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“Signor Giudice” è una nota canzone di Roberto Vecchioni che ci torna in mente, parafrasandola, per provare a dar voce ai giovani, quelli che non hanno voce e che il più delle volte si ritrovano al cospetto di un magistrato ligio -per definizione- ai doveri che la legge impone. Prendendo spunto dall’articolo pubblicato su “la Domenica“ il 12.12.21 in cui il Magistrato dei minori Reto Medici, ci erudisce sulle nuove modalità comportamentali delle bande giovanili, avverto una sorta di urgenza nel tentare di scrivere una lettera, come se fossimo dei giovani.
Signor Giudice, accollarci responsabilità per come stiamo al mondo, ci risulta un modo sbrigativo per etichettare molti di noi in difficoltà. Dalle sue parole, non traspare comprensione, ma la ferma convinzione che dall’alto del suo “osservatorio privilegiato”, disegna la nostra condizione come una realtà molto superficiale, molto “fast”.
Vede Signor Giudice, è vero che lei deve applicare la legge, comprendiamo pure che ci sono, ahinoi, situazioni “al limite” e anche oltre. Situazioni in cui, come recentemente a Locarno, vere e proprie “baby gang” si scatenano in atti di violenza che non possono lasciare indifferenti e che inducono a dover intervenire.
Ma da un magistrato, Signor Giudice, ci si aspetterebbe anche e a maggior ragione una disamina più articolata e meno superficiale non solo di questi episodi estremi, un’analisi della realtà giovanile non basata unicamente su tali episodi. Lei non pare voler entrare nella dimensione giovanile per comprenderla, Lei la giudica e la sanziona!
Addirittura fa appello a un centro chiuso – il famigerato centro educativo chiuso per minorenni CECM- come se fosse la soluzione del problema della violenza giovanile. Oltretutto auspica un centro che possa supportare soprattutto il lavoro di educatori socio-professionali, poiché, a suo dire, è questione di giovani che non trovano lavoro, ma che adesso hanno ulteriori possibilità di tirocinio: “L’occupazione”, Lei sostiene, “è un buon antidoto per chi vuol mettersi nei guai”.
Già perché se si fanno lavorare, li si stanca, li si sfrutta fino allo sfinimento così che nelle poche ore di libero, possano solo dormire per ricominciare a lavorare il giorno dopo, e i giovani la smetteranno di disturbare la quiete pubblica.
Per gli irriducibili a questi parametri, infine, Lei, Signor Giudice, arriva a sostenere con forza la creazione del CECM ad Arbedo, con l’auspicio che il Parlamento Cantonale dia al più presto il via libera al messaggio governativo. Un centro, a Suo dire, che “potrebbe accogliere una decina di ragazzi in crisi, casi conosciuti e magari affidati in gestione ai foyer. Giovani che per varie ragioni possono diventare ingestibili e hanno bisogno di essere fermati prima che si mettano seriamente nei guai”.
Insomma, un centro di “contenimento” o di “contenzione”, quattro mura in cemento armato per isolare chi “sbrocca”. Dunque, testa bassa e “a lavorare”, oppure una sorta di prigione in cui imperano regole e limiti.
Ma perché ogni discorso sulla realtà e magari anche la devianza giovanile prende in considerazione solo l’ottemperanza cieca e consenziente verso regole e limiti indiscutibili, messi lì “a priori”?
Perché non entrare anche e soprattutto nel merito del fatto che a noi giovani, serve anzitutto comprensione, occorrono spazi di aggregazione “sani”, luoghi ricreativi dove possiamo sperimentare e fare esperienza? Ci servono modelli positivi, punti di riferimento saldi.
Abbiamo bisogno anche di poter sbagliare e di avere opportunità per comprendere e non ripetere gli stessi errori.
Avremmo bisogno di una società più giusta, equa e solidale, di città a misura d’uomo, di figure positive e non solo giudicanti. E poi, Signor Giudice, se la nostra realtà è costellata da strumenti tecnologici, da mode e consumismo sfrenato, da modelli artificiosi e da famiglie vittime del qualunquismo, perché se la prende con noi? Siamo noi ad aver creato tutto ciò o ce lo siamo ritrovato addosso, quasi cucito sulla nostra pelle a nostra insaputa?
Il degrado che affrontiamo quotidianamente, la realtà oggettiva del territorio, le difficoltà nel poterci autodeterminare, le abbiamo volute noi oppure buona parte delle responsabilità va data per esempio alla vostra generazione e a quelle precedenti? Al sistema, alle scelte politiche delle classi dirigenti?
Crediamo che tutto questo marasma in cui molti di noi annaspano e cercano di sopravvivere sia un terreno che il nostro disagio mette solo maggiormente in evidenza, che concerne tutti e che non sarà certamente bonificato dal polso fermo e duro delle sanzioni punitive o “contenitive”.
Dove sono le politiche giovanili? Da sempre ci confrontiamo con adulti saccenti e moralisti che queste esigenze manco le considerano, figuriamoci se vogliano ritenerle cruciali ed urgenti.
Ah, certo, ci sono anche -la maggioranza di noi- quelli che non creano problemi: quindi è lapalissiano che le mele marce vadano separate. Ma è un modo miope di affrontare una questione così importante e articolata, da parte di un sistema che, senza mettersi in discussione circa i propri stessi fondamenti, si limita a identificare chi non vi si sa conformare e lo sanziona. Magari lo isola, in nome di limiti e regole.
Signor Giudice, noi vorremmo poter credere che possano sorgere o (ri)affermarsi altri princìpi, altri paradigmi, altri approcci; siamo forse sognatori e crediamo ancora nella luna, Signor Giudice, siamo giovani ancora per poco e vorremmo avere ancora speranze per un futuro diverso, in cui risuonino parole, come quelle di un’altra canzone di Vecchioni (“Sogna ragazzo sogna”), che sanno dire di noi molto altro, molto di più.
E ti diranno parole rosse come il sangue
Nere come la notte
Ma non è vero, ragazzo
Che la ragione sta sempre col più forte
Io conosco poeti
Che spostano i fiumi con il pensiero
E naviganti infiniti
Che sanno parlare con il cielo
Chiudi gli occhi, ragazzo
E credi solo a quel che vedi dentro
Stringi i pugni, ragazzo
Non lasciargliela vinta neanche un momento
Copri l’amore, ragazzo
Ma non nasconderlo sotto il mantello
A volte passa qualcuno
A volte c’è qualcuno che deve vederlo Sogna, ragazzo sogna
Quando sale il vento
Nelle vie del cuore
Quando un uomo vive
Per le sue parole
O non vive più”
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