Sul conflitto in Ucraina servono parole di verità
Quella che manca, tanto a destra che a sinistra, sulla guerra in Ucraina, sulla deriva rossobruna che cresce in Europa, sulle mire reali di Vladimir Putin, è una discussione a viso aperto.
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Quella che manca, tanto a destra che a sinistra, sulla guerra in Ucraina, sulla deriva rossobruna che cresce in Europa, sulle mire reali di Vladimir Putin, è una discussione a viso aperto.
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Quella che manca, tanto a destra che a sinistra, sulla guerra in Ucraina, sulla deriva rossobruna che cresce in Europa, sulle mire reali di Vladimir Putin, è una discussione a viso aperto.
Buone notizie, la newsletter con la segnalazione dei nuovi articoli a quanto sembra ha ripreso a funzionare. Ma siccome lo ha fatto per conto suo, senza che sia stato possibile comprendere la causa del difetto, potrebbe fermarsi di nuovo. Speriamo di no, naturalmente. Intanto continuiamo a fare il possibile per capirci qualcosa e ripristinare il servizio in modo affidabile. Grazie di nuovo per la comprensione e per l’interesse, dimostrato dalle numerose segnalazioni che abbiamo ricevuto. La redazione.
Quello che c’è, è un insulso balletto di piccoli posizionamenti che sembrano più che altro pizzini inviati a chi deve intendere: senza una reale messa a fuoco di quel che ogni minimo traccheggiamento comporta. Il rafforzamento di Vladimir Putin di fronte a un’Europa spaccata e ancora in attesa di capire cosa succederà negli Stati Uniti, come se ancora oggi tutto dipendesse da chi comanda alla Casa Bianca. E non anche da come si pongono la Cina, l’India, i cosiddetti Paesi del Sud globale che premono per un nuovo protagonismo e guardano il mondo da una prospettiva che non è la nostra, che non dà per scontate le nostre conquiste e i nostri valori, che ci considera nel migliore dei casi ipocriti, nel peggiore atavici usurpatori.
La destra è divisa fin dall’inizio della guerra tra il sostegno all’Ucraina di Giorgia Meloni e di Antonio Tajani e lo scetticismo della Lega. Che non ha mai fatto mancare i suoi voti sull’invio di armi, tanto alla Camera che al Senato, ma ha sempre segnato una differenza prendendo le distanze in Europa, appoggiando a più riprese le posizioni dell’amico di Putin Viktor Orban, dicendosi contraria alla continuazione degli aiuti militari in Ucraina nel nome di un del tutto nuovo pacifismo. Un addio alle armi che le è sconosciuto su qualsiasi altro fronte di guerra, e che le è invece improvvisamente caro quando si tratta dell’Ucraina davanti all’invasione russa.
Ma anche le posizioni apparentemente granitiche di Meloni e Tajani fanno intravedere delle crepe: la prima, credendo di parlare con il capo dell’Unione africana e non con due comici russi che hanno violato le difese diplomatiche di palazzo Chigi, l’anno scorso si è lasciata sfuggire ragionamenti sulla stanchezza della guerra e su presunti piani per farla finire. E quest’anno, a Strasburgo, ha lasciato che la sua delegazione prendesse le distanze dalla condanna nei confronti di Orban, che è andato a parlare con Putin da presidente di turno dell’Unione senza alcun mandato e con idee del tutto contrastanti con quelle della maggior parte degli Stati membri.
Quanto al ministro degli Esteri, ha prima dovuto subire il controcanto di Silvio Berlusconi – quando era ancora in vita – e adesso chiarisce che sì, l’Italia è dalla parte di Kiev, ma le armi che invia non potranno mai essere usate per colpire in territorio russo. Neanche quel che Zelensky sostiene di voler colpire: le postazioni da cui partono i missili che ogni giorno piovono sulle città ucraine. Il tutto in dissenso dalle posizioni della nuova maggioranza Ursula, che Meloni non ha votato, ma che Tajani sostiene. E dall’intero Ppe.
(L’ultimo attacco in ordine di tempo, pochi giorni fa a Kharkiv, ha ucciso 9 persone tra cui una ragazzina di 14 anni, mentre era in un parco giochi. E ha ferito altre 97 persone, tra cui 22 bambini).
A sinistra non va meglio. A «In Onda» Elly Schlein ha di fatto appoggiato la decisione del governo di non permettere a Zelensky di difendersi oltre i propri confini, spiegando che l’Italia non deve sostenere l’escalation e non è in guerra con la Russia. Se il ragionamento tenesse, sarebbe il presidente ucraino a volere l’escalation – e non una difesa più efficace – e i governi di Gran Bretagna, Francia, Spagna, Danimarca, Germania, Stati Uniti sarebbero entrati in guerra contro Putin con il beneplacito della neonata Commissione europea. Ovviamente non è così, ma chi sostiene che un’uscita del genere significhi – per Schlein – avvicinarsi alle posizioni dei 5 stelle, finge di non vedere due differenze chiarissime. La prima è che il sostegno all’invio di armi da parte del Pd non è mai venuto meno, a differenza di quello del Movimento. E la seconda è che la posizione del M5S è drammaticamente inquinata dall’incapacità di Conte di scegliere tra Kamala Harris e Donald Trump. Un’incapacità che poteva essere giustificata prima dell’assalto del 6 gennaio al Campidoglio, forse, ma che dopo la manifesta sconfessione delle pratiche democratiche da parte di Trump non può più esserlo.
Sono sorti, al solito, malumori tra i dem, con il fronte più atlantista – minoritario – che borbotta e chiede riposizionamenti. Senza però reclamare l’apertura di una discussione vera, che risponda a domande precise: fino a che punto il Pd sostiene l’Ucraina? Cosa significa per il più grande partito progressista italiano lavorare per la pace? Cos’ha fatto Schlein – all’interno di quella che ama considerare una grande internazionale progressista – per sostenere le sue ragioni e i suoi distinguo sull’uso delle armi da parte di Zelensky? C’è qualcuno che lavora a una prospettiva di pace che non sia una resa alle ragioni di chi è più forte e ha meno scrupoli?
Le mosse dei partiti italiani sembrano rivolte ai propri elettorati e alla rispettiva propaganda, più che alla sofferenza di un popolo. Soprattutto, appaiono cieche di fronte a quel che le elezioni in Europa stanno a più riprese dimostrando: la narrazione di Putin contro le decadenti democrazie liberali è penetrata più di quanto non credessimo possibile. E non solo grazie ai social network o all’aiuto dei sovranisti miliardari alla Elon Musk.
Contro gli scenari che pongono l’avanzata del Rassemblement national in Francia e dell’Afd in Turingia e Sassonia, il punto non è solo cosa fare sul campo di battaglia ucraino. Ma nelle nostre società, in difesa di quei diritti e di quell’apertura su cui – parafrasando Karl Popper – le abbiamo fondate.
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