TorNando in TiSin
Una cintura nera per un Cantone che stringe la cinghia
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Una cintura nera per un Cantone che stringe la cinghia
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• – Marco Züblin
Il social network di Zuckerberg sarà sempre a metà del guado sui diritti e il rispetto della privacy
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• – Redazione
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• – Maurizio Solari
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• – Marco Züblin
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• – Virginio Pedroni
Boicotta il consiglio federale, viola il principio della collegialità e getta benzina sul fuoco delle controversie Covid
• – Daniele Piazza
Le ricorrenze che si ricordano, e quelle che si dimenticano
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Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Per questo cerco di capire cosa stia capitando da qualche giorno relativamente al caso del nuovo “sindacato” TiSin, dopo la vicenda che lo ha visto stipulare tre Contratti Collettivi di Lavoro che paiono in grave contrasto con l’entrata in vigore, fra pochi mesi, della legge sui salari minimi.
Nel sito di tale “sindacato”, si trova in verità la dicitura “TiSin – Organizzazione per il lavoro in Ticino”: un’insegna che può considerarsi un sinonimo di sindacato, ma anche no. Insomma, non si sa bene. Sta di fatto che ne è presidente Nando Ceruso, personaggio “cresciuto in fabbrica”, fortemente legato ai valori cattolici della Fondazione Monsignor Del Pietro, per molti anni noto, navigato ed influente vice-presidente dell’Organizzazione Cristiano Sociale Ticinese.
Da qualche anno Ceruso è in pensione, dopo essere stato adeguatamente e pubblicamente omaggiato dalla sua ex-organizzazione, e dunque con più tempo a disposizione per la sua attività di judoka (nientemeno che cintura nera nel Judo Budo Club di Lugano) sia come praticante che come arbitro. Insomma il corpo a corpo, certamente, non lo spaventa.
Forse per questa sua naturale propensione, superata la soglia dei suoi giovanili 70 anni, ha pensato di tornare sul ring (o meglio sul tatami) dello scontro sindacale fondando, appunto, TiSin insieme a tre esponenti della Lega: Sabrina Aldi, Boris Bignasca e Rodolfo Pulino (quello passato con naturale disinvoltura dalle file del Movimento per il Socialismo al Movimento di Giuliano Bignasca).
Già lo scorso anno il quartetto si era presentato, in tutta la sua natura “apartitica” sulle pagine del “Caffè” e Ceruso aveva annunciato che TiSin si proponeva (e si propone, immagino) di “rappresentare quei lavoratori che sono snobbati dai sindacati tradizionali”, quei sindacati, per intenderci, che hanno dirigenti “pagati come dei manager” (forse, mi viene da pensare, lo dice per esperienza, o forse per invidia; o forse non sa cosa dice, io non lo so).
Sta di fatto che già lo scorso anno TiSin sembrava profilarsi, dichiaratamente, come elemento di disturbo rispetto ad una forma di “duopolio” nella gestione delle questioni sindacali da parte di OCST e UNIA. Un’organizzazione, dunque, nata sapendo di dare fastidio, per dare fastidio e per rappresentare un’alternativa all’appiattimento (vero o presunto) della battaglia sindacale di OCST e UNIA, che di fatto hanno concluso in passato un certo numero di trattative CCL sotto i minimi salariali, ma che quegli stessi minimi dicono ora di volerli raggiungere al più presto.
E allora si capisce (mi pare) che la questione sta in una legge, votata cinque anni fa, che entrerà in vigore a dicembre, e che la politica (specie a sinistra) ha gestito di compromesso in compromesso, fino ad arrivare ad una formulazione che prevede in realtà l’esclusione del rispetto del minimo salariale per i contratti in CCL.
Con l’ufficializzazione dei primi esiti dell’attività di TiSin, improvvisamente si scopre che questa organizzazione ha esattamente focalizzato lì, in quella “falla”, il suo (ampio?) margine di manovra.
Insomma, Ceruso non è uno sprovveduto ed ha capito che con la sua esperienza, i suoi contatti nel mondo padronale e qualche amicizia politica, si potrebbe ritagliare una bella fetta di nuovi contratti collettivi, iniqui, ma “a norma di legge”.
Ed ora tutto il fronte sindacale, sdegnato, a sollevare obiezioni e denunce, e i partiti di sinistra a rimpallarsi le responsabilità di questo “malandazzo” dentro una legge che, pur di farla passare, si è annacquata all’inverosimile.
Io non sono un esperto di questioni sindacali, credo che tocchino come poche altre i “nervi scoperti” del nostro orizzonte economico e dei rapporti sociali. Il Ticino, si dice, è sempre più “il Sud della Svizzera”, il Cantone più povero, in cui, con 70.000 frontalieri che ogni giorno varcano la frontiera per lavorarvi (a condizioni fissate da datori di lavoro ticinesi, o svizzeri o autorizzati a farlo da ticinesi o svizzeri), si è ormai di fronte ad un vero problema di “sostenibilità”, specie in una realtà come la nostra in cui il costo della vita è il più alto al mondo.
I “salari minimi” di cui ora stanno tutti parlando, sono davvero minimi, ma anche meno. Sentir parlare di contratti, sempre più numerosi, che prevedono stipendi da 2400 franchi lordi al mese, fa rabbia e tristezza, ancor più quando dal fronte padronale arriva, per tutta risposta, un solo e costante slogan progettuale: “sgravi per i ricchi”.
A me, da incompetente, tutto ciò pare drammatico, grave, complesso, ma soprattutto urgente, perché il Cantone non finisca per tornare ad essere, come nell’Ottocento e inizio Novecento, un luogo da cui emigrare.
E allora, per capire meglio e di più, mi sono messo, martedì, a seguire il dibattito di “Matrioska” su Teleticino, dedicato proprio a TiSin, nel giorno in cui si era svolta una vaghissima conferenza-stampa di Nando Ceruso.
Ebbene, con la moderazione di Marco Bazzi da una parte ho trovato Ceruso affiancato dall’”economista udicino” Pamini, dall’altra due boss sindacali come Gargantini di UNIA e Jelmini dell’OCST, per un dibattito pieno di battibecchi, picche e ripicche, frasi non finite, allusioni, polemiche personali. Che delusione.
Pareva evidente, a me che non sono addentro, che Ceruso dovesse uscire come un “traditore” del proprio passato sindacale, mentre i due sindacalisti fossero, per Ceruso, proprio i “campioni” di quell’appiattimento sindacale fatto di compromessi a catena che hanno portato (in nome dell’elogiatissima “pace del lavoro” evocata da Pamini) alla drammatica situazione in cui si trovano numerose lavoratrici e numerosi lavoratori.
Tutti a rimproverarsi questioni specifiche: “fai i nomi!”, “no, che se tiro fuori le cose che so di voi…” e via di questo passo e tono. Mamma mia. Io volevo solo capire un po’ di più una questione economica e sociale importante. Ho visto qualcosa che assomigliava ad un incontro forse di judo, ma molto meno zen.
Per capire di più dove sta andando l’economia del nostro Cantone cercherò impazientemente un’altra occasione, magari già lunedì, quando l’”affaire” dovrebbe finire oggetto di discussione generale in Gran Consiglio, o quando in Dipartimento, al DFE, si prenderà qualche decisione concordata con la parte padronale.
Resta la sensazione, piuttosto amara, che nel frattempo, fra un litigio televisivo e l’altro, ulteriori nefandezze saranno perpetrate ai danni di chi non parla per non essere licenziato.
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