Polo di questo, polo di quello. Quando le parole sono come grimaldelli
A Lugano si parla di “Polo Sociale” sul sedime del Vanoni
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A Lugano si parla di “Polo Sociale” sul sedime del Vanoni
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• – Redazione
A Lugano si parla di “Polo Sociale” sul sedime del Vanoni
Di Bruno Brughera
Lugano sta diventando un contenitore di “Poli”?
La domanda ci sembra legittima cercando di comprendere cosa sorgerà sulle rovine del Vanoni.
Sì perché, passando da via Simen, un po’ di dubbi e domande rimangono pendenti. Soprattutto se si seguono e si ascoltano le varie dichiarazioni che politici e diretti interessati hanno fatto finora in proposito. Proviamo dunque a ricapitolare, per cercare di capire cosa potrebbe o dovrebbe diventare questo importante sedime – 21’000 metri quadri pregiati- nel quartiere multietnico di Molino Nuovo.
Senza troppa polemica, possiamo affermare che le varie amministrazioni hanno permesso negli anni alla speculazione edilizia di distruggere buona parte del patrimonio storico della città. I miei ricordi di bambino corrono, ad esempio, al “Venezia” cancellato dall’espansione di un grande magazzino, o al Park Hotel, dove ora c’è il Central Park. Ricordi di una Lugano trasformata a suon di abbattimenti e trasformazioni che poco ci aiutano a proiettarci ai giorni nostri, nella “grande Lugano”, un’aggregazione di molte identità sociali che partendo da Carona s’incontrano per lo più sulla sponda sinistra del Cassarate fin lassù alle sue sorgenti, per arrivare a Bogno in alta Valcolla.
La realtà urbanistica e pianificatoria della città di oggi è certamente complessa, affidata a professionisti e alle decisioni della politica e in molti casi al centro di roventi dibattiti e scontri: del resto, al di là di princìpi e prospettive ideali, di mezzo ci sono molti, ma molti soldi da gestire, da guadagnare.
Ma per non invischiarsi in temi pianificatori e interessi politici, è forse opportuno riprendere il discorso dalle vicende della scorsa primavera. Tanto si è detto e discusso della sciagurata demolizione della ala dell’ex-Macello occupata dagli autogestiti e dell’inchiesta della magistratura che, ahinoi, tarda a fornire risposte ai numerosi interrogativi ancora sospesi.
In molti ricorderanno come, fra l’altro, sia stata banalizzata la questione della domanda di demolizione che impone la legge edilizia e quale sia stata la reazione pubblica, per esempio, del municipale Filippo Lombardi, nell’affermare che si sarebbe sopperito all’inghippo con una sanatoria e domanda a posteriori.
Ma al “posteriori” non siamo neanche ancora arrivati; ancora si attende di sapere come siano andate le cose, e più passa il tempo più parrebbe che si infittisca la casistica delle questioni spinose: solo in questi giorni si è saputo, ad esempio, che con l’azione delle ruspe sono caduti anche i muri di un magazzino di proprietà di una ditta privata di impianti elettrici, che aveva ottenuto dal Municipio il diritto di stabilirvisi con un contratto d’affitto.
Quante altre domande ci si potrebbe porre anche per questo nuovo capitolo? Alcune vengono già avanzate in un’interpellanza che sarà discussa in Consiglio Comunale. Ma chi non si chiede, una volta di più, in generale, come funzioni in modo trasparente la gestione di questi spazi, destinati a diventare, naturalmente, i “Poli” del futuro?
È normale che una ditta privata potesse affittare gli spazi per un proprio magazzino nella sede dell’ex-Macello? Per decisione di chi?
È normale che quella ditta, che ha subìto, parrebbe, ingenti danni dall’abbattimento del magazzino, non abbia sporto denuncia, ma, secondo quanto si legge su “La Regione” speri di ottenere un risarcimento? E se si deve un risarcimento alla ditta, non lo si dovrebbe anche agli autogestiti (che sotto le macerie hanno lasciato i propri effetti personali) visto che la loro presenza era sancita da un accordo con Comune e Cantone e visto che si sono sempre fatti carico delle spese correnti?
Nell’attesa di avere almeno qualche risposta a tutti questi interrogativi, ci si potrebbe immaginare che sia almeno salita e si sia accentuata una certa attenzione istituzionale per casi del genere.
Macché, eccoci di fronte ad un nuovo caso di abuso edilizio. Questa volta è un privato ad esserne protagonista. L’istituto Vanoni viene abbattuto, ma solo in parte.
Per chiarire meglio: i lavori di abbattimento dello stabile (quello che era stato “occupato temporaneamente con un’azione dimostrativa dagli autogestiti lo scorso 29 maggio) erano iniziati lo scorso mese di luglio, ma dopo un giorno, quando (ironia della sorte) si era tolto il tetto, tutto si ferma. Qualcuno si accorge che l’incarto è incompleto. Sembrerebbe un fatto veniale, una quisquilia che in poche ore si sarebbe risolta per continuare i lavori.
Da quel giorno sono passati due mesi in cui in non pochi si sono chiesti e tuttora si chiedono che succede: non sarà che qualcosa con la ditta appaltatrice non torna? Non sarà che quella ditta così specializzata, sia già stata in passato protagonista di prestazioni “discutibili”? Altre domande, per ora, senza risposta: tutto è blindato e nessuno sa, o dice nulla.
E pensare che la volontà del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Vanoni è sempre stata di dare il via ai lavori solo a condizione di procedere celermente con l’abbattimento del vecchio stabile e poi con la ricostruzione. Quello stabile, la cui occupazione per dieci minuti provocò lo sconcerto delle autorità per la violazione di una proprietà privata e fu causa di sconforto e disorientamento – a detta del direttore della fondazione Vanoni -, dei ragazzi che anni prima vissero al suo interno, ora è lì, scoperchiato, come fosse stato bombardato.
Un’immagine (possiamo dire schizofrenica?) che ci dà forse la dimensione di come sarà gestito il “Polo Sociale”. Perché, appunto, è di un “Polo Sociale” che si è parlato per dire dell’operazione edilizia dell’ex-Vanoni. Ammesso e non concesso che vi sia una necessità per un polo, com’è possibile che ruoti attorno all’iniziativa di una sola fondazione di diritto privato, per di più fortemente improntata agli orientamenti di Comunione e liberazione?
Con quali presupposti, a questo punto, dovrebbe sorgere un presunto “Polo Sociale”, come tale inserito in un progetto di città che rispecchi interessi ed orientamenti diversi, quando il tutto è lasciato in mano ad una fondazione così profilata? Dobbiamo ritenere che ci troviamo anche qui di fronte ad un progetto di partenariato pubblico – privato?
Viene da chiederselo anche in relazione al fatto che sarà probabile, prima o poi, che entrino in scena contributi pubblici, che verranno elargiti per qualche ragione legata alla “rilevanza sociale” dell’operazione, senza che poi, però, l’autorità politica abbia un effettivo controllo e influsso sulla gestione psi-pedagogica dell’utenza.
Del resto, temi forti e scottanti a livello sociale, come l’educazione, la formazione, la gestione di aspetti problematici legati al mondo di bambini e adolescenti trovano sempre più una risposta pubblica nel lasciarne la gestione a Fondazioni o enti privati (cattolici, possibilmente): è di questi giorni l’inaugurazione, con tanto di presenza del Consigliere di Stato Bertoli, del nuovo “campus” della scuola Parsifal, quella che ha il sito in cui campeggia il nome di Don Giussani.
Ma si potrebbe parlare anche del prospettato “cemc” (centro educativo minorile chiuso), di fatto un carcere minorile, affidato, guardate un po’, ancora alla pia fondazione Vanoni. Per fortuna il progetto giace in un cassetto.
È con questi presupposti che ci facciamo tante domande. Ora, le rovine sono lì in bella mostra e non sappiamo per quanto tempo ancora, ma certamente sorgerà un complesso edilizio milionario (si parla di 56 milioni) che chiameranno “polo sociale”. Poi si riprenderà a parlare di quello sportivo, di quello culturale, di quello congressuale, perché nella batteria dei poli uno tira l’altro.
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