Crocifisso in aula, tutela delle altre fedi, e non credenti
Una salomonica decisione della Cassazione italiana
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Una salomonica decisione della Cassazione italiana
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Una salomonica decisione della Cassazione italiana
Dopo una riflessione durata… dodici anni, le sezioni unite della Cassazione italiana non hanno ritenuto discriminatorio esporre il crocifisso cristiano nelle scuole, demandando la decisione ai singoli istituti e aprendo la via all’esposizione di simboli di altre fedi. Una decisione salomonica, che ha due difetti maggiori: quello di accontentare prima i cristiani, e in subordine i credenti di ogni fede e sponda, lasciando però come al solito inascoltate le istanze di atei e di agnostici; e quello di demandare alla buona volontà di parti irrimediabilmente contrapposte la determinazione finale per i casi concreti, quindi con conflitti (e bei rodimenti di fegato) in prospettiva.
I non credenti (tramite la UAAR, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) hanno sottolineato, felicitandosene, come la sentenza stabilisca che “l’esposizione autoritativa del crocifisso nelle aule scolastiche non è compatibile con il principio della laicità dello Stato. L’obbligo di esporre il crocifisso è espressione di una scelta confessionale [quindi, per precisare, non una simbologia che richiama “trasversalmente” l’identità culturale dell’Occidente] (…); ma nella democrazia costituzionale l’identificazione dello Stato con una religione non è più consentita”.
Come avvenne nel lungo e un po’ surreale dibattito in Ticino sul tema, gerarchie cattoliche e devoti militanti hanno sciorinato le due solite argomentazioni, che tali non sono, solo al fine di depotenziare il dibattito, quasi di ridicolizzarlo. La prima, che il tema sia vecchio e stravecchio, anzi ammuffito, “ottocentesco”; come se la libertà di coscienza e di (non)credenza non sia un argomento sempre fondamentale (basti vedere che cosa succede ora a proposito dei vaccini). La seconda, che l’immagine dell’uomo appeso non sia un simbolo religioso-confessionale, ma una sorta di icona culturale, “l’espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria” (CEI): un’interpretazione che, oltre ad essere espressamente respinta nella sentenza, è a ben vedere piuttosto mortificante per i credenti stessi che vedono il simbolo del loro uomo/dio-morto-per-salvarli ridotta a un’immagine allusiva dello stesso tipo, o poco meglio, della Campbell soup di Warhol o del logo della Cocacola.
Il bisogno psicologico di trovare una ragione a eventi inspiegabili (fino al momento in cui la scienza li spiega, beninteso) ha dato origine a circa tremila divinità, sparse per il mondo e tuttora “in servizio”, la cui dignità mi pare equivalente e non dipende certo dalla diffusione demografica o geografica – con pluralità di mezzi, molti dei quali assai violenti come vediamo ogni giorno e leggendo i libri di storia – delle varie credenze; i cattolici sono non credenti per quanto riguarda duemilanovecentonovantanove di esse. Io ed altri come me lo sono solo per una in più.
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