L’umiliazione dello zar e il relativo “cui prodest”
Interrogativi sui tentennamenti Usa e i silenzi europei dopo la “notte dei droni” contro il simbolo del potere russo
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Interrogativi sui tentennamenti Usa e i silenzi europei dopo la “notte dei droni” contro il simbolo del potere russo
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Interrogativi sui tentennamenti Usa e i silenzi europei dopo la “notte dei droni” contro il simbolo del potere russo
“Cui prodest”, e non è la prima volta che in questa guerra si cerca di capire a “chi giova” una certa iniziativa militare (come fu per esempio per la distruzione dell’impianto sottomarino Nord Stream 2). Ancor più oggi, dopo i droni arrivati e fatti esplodere al di sopra delle cupole del Cremlino, nella notte di Mosca. Lievi ammaccature sul tetto del Senato. Pochissima roba sul piano militare. Ben più consistente il danno di immagine per Vladimir Putin. E per i dubbi e le inquietudini della popolazione, come ci spiega la corrispondenza da Mosca di Yurii Colombo.
Nessuna delle tre principali ipotesi sui responsabili tranquillizza America ed Europa: che ci sia la mano di Zelensky, o quella di oppositori russi attivi da tempo nella Federazione (poco accreditata), oppure quella dello stesso Cremlino in cerca di una svolta che trasformi l’aggressore in vittima. Qualche esperto militare in Occidente parla di “drone abbattuto in favore di telecamere”: gli ordigni sono arrivati sulla capitale di un paese in guerra, alla vigilia di una iper-protetta parata militare sulla Piazza Rossa per celebrare la vittoria sul nazismo, e vengono abbattuti soltanto quando arrivano a pochi metri dalla bandiera russa, esattamente dove dovevano essere colpiti e filmati per dimostrare il peso delle minacce del nemico (Ucraina+Nato). “False Flag Operation”, la chiamano gli esperti americani – per esempio l’ex assistente alla difesa Lawrence Korb: cioè “azione organizzata in questo caso dagli stessi uomini di Putin per fare i propri interessi”.
Lo si è detto e ripetuto: un Putin indebolito ha sempre bisogno di una ‘seconda arma’, quella necessaria alla propaganda per mobilitare patriotticamente la sua opinione pubblica”, e di una “terza ragione”, quella di una giustificazione per vendette e ritorsioni senza pietà soprattutto contro i civili ucraini. Soprattutto ora che Kiev si dice pronta (in una stranissima escalation di ‘rivelazioni’ che dovrebbero rimanere piuttosto segrete) alla sua preannunciatissima contro-offensiva primaverile.
Se invece l’“attacco” è di matrice ucraina (e affidato come in altri casi al giovane generale Kirilo Budanov, il capo dei guastatori infiltrati oltre confine) va capito perché Kiev lo abbia pianificato ed eseguito pur sapendo che la replica di Mosca potrebbe alzare di non poco il livello della “vendetta” russa (fino alle tattiche atomiche?). L’idea di un’azione militare che porta la minaccia fin sull’uscio dell’ufficio di Putin (sapendo comunque di non poterne assolutamente mettere in pericolo la vita) può aver evidentemente allettato una leadership che proclama di poter sconfiggere militarmente la Russia, ma che deve chiedere agli alleati euro-americani di fornirle i mezzi bellici necessari, armi, proiettili, blindati, missili, aerei da combattimento. Due droni sul Cremlino rappresentano un messaggio dimostrativo che andrebbe certamente in questa direzione. Ne consegue però ed inevitabilmente un altro interrogativo: gli Stati Uniti sapevano e hanno dato luce verde? Non sarebbe la prima volta che Kiev si muove in modo indipendente, ed è già accaduto che Washington abbia manifestato pubblicamente la sua disapprovazione: sempre in nome del principio che, per evitare l’allargamento della guerra fino all’ipotesi nucleare, non deve essere valicata “la linea rossa” imposta a un conflitto asimmetrico, quella che deve impedire a Kiev di attraversare il confine russo che trasformerebbe una guerra difensiva in guerra offensiva. L’imbarazzo della Casa Bianca – certificato dalle prime e poco coerenti reazioni del segretario di Stato Anthony Blinken – e i silenzi europei, segnalano che di nuovo l’Occidente potrebbe non condividere l’eventuale e più spettacolare operazione militare ucraina in terra nemica in quindici lunghi, terribili, devastanti mesi di conflitto. Possibile che Zelensky non lo abbia messo in conto? Possibile che Biden abbia autorizzato uno strappo alla regola che si è autoimposto fin dall’inizio di questa tragedia?
Rimane perciò la domanda: “cui prodest”?
Attenti a chi usa il termine 'resilienza': fregatura in vista!
Il commento di Daniel Ritzer sui fatti di Mendrisio, per gentile concessione de laRegione