Giornalismo digitale al bivio
Con twitter si possono comprare singoli articoli e farsi il proprio giornale, senza abbonamenti, ma non senza qualche dubbio sul mezzo che li vende
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Con twitter si possono comprare singoli articoli e farsi il proprio giornale, senza abbonamenti, ma non senza qualche dubbio sul mezzo che li vende
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Con twitter si possono comprare singoli articoli e farsi il proprio giornale, senza abbonamenti, ma non senza qualche dubbio sul mezzo che li vende
Da questo mese Twitter consentirà agli editori di vendere i singoli articoli con un solo clic; in questo modo anche quelli che non intendono abbonarsi per un lungo periodo potranno pagare un prezzo più alto per leggere solo gli articoli che vogliono; una cosa che se funzionerà avvantaggerà sia gli editori che i lettori. Parola di Elon Musk. Che non lancia un’idea nuova: di micropagamenti per il giornalismo si parla da quasi dieci anni.
Per esempio nel 2016 un giovane giornalista e imprenditore olandese, Alexander Klöpping, con il sostegno del governo, lanciò Blendle, una app che consentiva agli utenti di pagare singoli articoli; il New York Times e l’editore tedesco Axel Springer salirono a bordo quasi subito ma l’azienda non ha mai fatto un solo euro di utile, nel 2020 è stata venduta e Klopping liquidato. Gli acquirenti, i francesi di Cafeyn, hanno un modello diverso: quello che in questi anni è stato chiamato lo Spotify (o la Netflix) delle news: paghi un fisso al mese e ascolti o guardi o leggi quello che vuoi. Con le canzoni e le serie tv funziona, con il giornalismo ancora no (ci ha provato senza successo anche Apple).
Nel frattempo Dominic Young, un manager con un lungo curriculum in aziende editoriali importanti, ha lanciato un’altra piattaforma per i micropagamenti degli articoli: si chiama Axate. Lo ha fatto nel 2020 quando molti addetti ai lavori avevano sepolto questa strada dicendo che non poteva funzionare perché consentire ai lettori di scegliersi solo il meglio del meglio non avrebbe permesso alle aziende editoriali di sostenersi. Il fatto, sostiene Young, è che neanche gli altri modelli funzionano: non funziona quello basato sulla pubblicità, perché Google e Facebook, con i loro algoritmi di profilazione, si portano via il 90 per cento del mercato; e non funziona, con pochissime eccezioni, nemmeno quello degli abbonamenti.
Secondo un recente rapporto del Reuters Institute sono pochissime le persone che attualmente pagano per leggere le news online: in Italia il 13 per cento, in Francia l’11, in Germania il 9, nel Regno Unito l’8. Ma accanto a costoro, dice Young, ci sono milioni di potenziali lettori casuali che non intendono abbonarsi ma che vorrebbero leggere ogni tanto un singolo articolo se fosse facile acquistarlo. Perché rinunciarvi? Inoltre, il modello degli abbonamenti finisce con rivolgersi soltanto ai ceti abbienti e con un livello culturale alto, lasciando fuori tutti gli altri, in particolare i giovani: sempre secondo il Reuters Institute l’età media di un abbonato digitale ad un giornale è attorno ai 55 anni. È un piccolo mondo di boomer, mentre sono proprio i giovani ad aver adottato il sistema dei micropagamenti per gli youtuber e i tiktoker che seguono.
Insomma il ragionamento fila epperò Axate ancora non decolla: sono pochi e marginali gli editori saliti a bordo. Con Twitter potrebbe essere diverso: anche se Musk detesta i giornalisti (dal 19 marzo se scrivete una email a press@twitter.com ricevete in risposta la emoji di una montagna di cacca [è vero! vedi immagine, ndr]), i giornalisti continuano a utilizzare Twitter come social prediletto per distribuire le notizie. Qui non c’è un problema di portare a bordo gli editori: ci stanno già.
I micropagamenti insomma possono essere una strada che, accanto agli abbonamenti e alla pubblicità, apre un nuovo flusso di entrate per gli editori coinvolgendo un pubblico nuovo. Come dopo gli album di canzoni, che sembravano sacri, fecero le playlist di Spotify grazie alle quali ognuno si può fare ogni giorno l’album che vuole. Vale la pena di pensarci. Questo finale è già stato immaginato nel 1995 da Nicholas Negroponte, ai tempi leader del MediaLab del Mit: il giornale personalizzato. Lo chiamò il Daily Me.
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