Quando ti vendono l’ecologismo di facciata
Il greenwashing è ancora un grande problema per il settore della moda
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Il greenwashing è ancora un grande problema per il settore della moda
• – Redazione
“Sulla Russia” raccoglie alcuni discorsi del filosofo più citato dal capo del Cremlino: che se ne fa interprete un secolo dopo, Ucraina compresa
• – Aldo Sofia
Nella giornata della libertà di stampa, “Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione”, di Nils Melzer ci aiuta a capire come si può imbavagliare chi denuncia crimini, menzogne, manipolazioni
• – Redazione
• – Franco Cavani
"Me ne sono andato per poter parlare dei suoi pericoli", ha detto dopo che il New York Times ha dato la notizia
• – Redazione
Con twitter si possono comprare singoli articoli e farsi il proprio giornale, senza abbonamenti, ma non senza qualche dubbio sul mezzo che li vende
• – Redazione
A proposito dei progetti e della gestione della Divisione Scuola e delle considerazioni in merito di Giuseppe Sergi - Di Manuele Bertoli
• – Redazione
Un nuovo crac colpisce la First Republic Bank di San Francisco, assorbita da JPMorgan, che diventa la più importante banca americana e del mondo. Non senza conseguenze imprevedibili
• – Enrico Lombardi
Gelo, inondazioni, ondate di calore... Il Canton Vallese ha calcolato quanto gli costano all'anno le conseguenze del cambiamento climatico. Il conto è piuttosto alto. E in Ticino?
• – Redazione
La leader Pd parla chiaro, non certo di vestiti o di armocromia: «Il decreto 1° maggio? Rende i lavoratori ricattabili e ruba il futuro ai giovani”
• – Redazione
Il greenwashing è ancora un grande problema per il settore della moda
Di Stefano Baudino, L’Indipendente
Sono molte le aziende attive nel fast fashion che descrivono i loro capi come frutto di una produzione sostenibile – utilizzando nelle etichette parole come “eco”, “green” e “cares” – e che si dicono in prima linea per la promozione di migliori condizioni di lavoro. In molti casi, però, tali informazioni non sono veritiere, trattandosi invece di greenwashing, ovvero “ecologismo di facciata”. Lo ha svelato l’ultimo report di Greenpeace Germania, che ha analizzato i dati riportati sulle etichette degli indumenti di 29 aziende che aderiscono alla campagna Detox, lanciata dalla stessa organizzazione (che chiede di eliminare le sostanze tossiche per l’uomo e inquinanti per l’ambiente dai capi d’abbigliamento), e quelle di marchi internazionali come Decathlon e Calzedonia/Intimissimi.
Tantissime le anomalie appurate. Tra le più numerose, etichette presentate come certificate ma che in realtà derivano da programmi di sostenibilità aziendali, l’assenza di una verifica di terze parti o della valutazione del rispetto dei migliori standard ambientali e sociali, la mancanza di un sistema di tracciabilità delle filiere e una falsa narrazione sulla circolarità. Inoltre è stato più volte registrato il ricorso massiccio a termini fuorvianti come “sostenibile” o “responsabile” associato a materiali che registrano performances ambientali solo leggermente migliori rispetto alle fibre vergini o convenzionali, il continuo ricorso a mix di fibre come il “Polycotton o Policotone” spesso presentato come più ecologico, nonché la scelta di affidarsi all’indice Higg (strumento assolutamente parziale) per valutare la sostenibilità dei materiali.
Le uniche iniziative che hanno ottenuto buoni risultati sono quelle di COOP “Naturaline” e Vaude “Green Shape”. Bocciati, tra gli altri, anche Decathlon “Ecodesign”, H&M “Conscious” e Zara “Join Life”. Per quanto riguarda i marchi italiani sotto esame, Benetton e Calzedonia, i risultati sono negativi: nel primo caso sono state appurate in particolare storture e inaccuratezze su quantità e qualità della produzione, nonché sulla definizione ingannevole di “cotone sostenibile”; nel secondo sono state registrate irregolarità sulle dichiarazioni riferite alla tracciabilità delle filiere e sulla gestione delle sostanze chimiche pericolose.
Secondo Greenpeace, un ricorso così marcato al greenwashing genera “confusione nelle persone, spinte a credere di acquistare prodotti sostenibili ma che in realtà non lo sono”. Infatti, “mentre si pubblicizza una sostenibilità inesistente, in realtà sono in costante aumento gli abiti fatti di plastica usa e getta derivante dal petrolio, non riciclabili e per lo più prodotti in condizioni di lavoro inaccettabili“.
Nell’immagine: illustrazione dal rapporto di Greenpeace
La leader Pd parla chiaro, non certo di vestiti o di armocromia: «Il decreto 1° maggio? Rende i lavoratori ricattabili e ruba il futuro ai giovani”
La Turchia ha subito un attentato perfetto, dove ogni dettaglio torna comodo