Un esercito europeo? Tra il dire e il fare…
Dopo le sortite di Macron, unico detentore dell’atomica tra i 27, e sotto l’incognita delle crescenti tensioni internazionali, nelle capitali UE torna il dibattito sulla difesa comune. Un complicato rebus
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Dopo le sortite di Macron, unico detentore dell’atomica tra i 27, e sotto l’incognita delle crescenti tensioni internazionali, nelle capitali UE torna il dibattito sulla difesa comune. Un complicato rebus
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Dopo le sortite di Macron, unico detentore dell’atomica tra i 27, e sotto l’incognita delle crescenti tensioni internazionali, nelle capitali UE torna il dibattito sulla difesa comune. Un complicato rebus
Le elezioni sono alle porte anche dell’Unione europea; dal 6 al 9 giugno i 27 rinnovano l’europarlamento e va da sé che la difesa è argomento di campagna elettorale, ma in ciascuno dei vari Stati membri se ne parla secondo la sensibilità nazionale. La Polonia, l’Estonia e la Lituania ne discutono in modo diverso rispetto all’Italia e alla Germania, che a loro volta usano termini lontani rispetto a quelli che usa, ad esempio, la stessa Francia.
La logica è ancora domo-centrica: insomma, i 27 continuano a pensare e a fare ciascuno per sé.
Non potrebbe essere altrimenti; la politica estera, così come quella della difesa, che è emanazione della prima, restano di competenza nazionale e per prendere una decisione europea, a voce unica, i 27 devono riunirsi in camera di consiglio, discutere a lungo, e decidere all’unanimità. Per nulla scontato.
Fare da soli, d’altra parte, non è una soluzione. Ed è per questo che la stragrande maggioranza dei 27 si è riparata sotto l’ombrello della Nato. Ma già far parte dell’Alleanza è oneroso: l’adeguamento degli investimenti in spese militari pari ad almeno il 2% del Pil fa fare una bella figura alla Germania, ma solo altri 5 Stati membri (Grecia, Polonia e le 3 repubbliche baltiche) spendono in armamenti quanto richiesto dalla Nato (e dall’attualmente favorito Trump) in rapporto al Pil.
La spesa militare dei Paesi dell’Ue nel 2022 si è attestata intorno ai 240 miliardi. Gli Usa nello stesso periodo hanno speso 794 di miliardi, più di tre volte tanto. È comunque vero che rispetto a Cina e Russia, con una spesa rispettivamente di 273 miliardi e 92 miliardi, la spesa europea non è irrilevante.
C’è evidentemente un collo di bottiglia al cui allargamento sta lavorando la Commissione di Bruxelles.
A dire il vero, il braccio esecutivo dei 27, presieduto da Ursula von der Leyen, si sta dando molto da fare, assumendo un ruolo crescente in questo ambito, in virtù anche della definizione di Commissione geopolitica, che la stessa von der Leyen aveva dato a inizio mandato. Lo scorso 5 marzo ha presentato la sua strategia per l’industria europea della difesa: obiettivo, rafforzare gli arsenali bellici del Vecchio Continente, ricorrendo a economie di scala, nonché privilegiando politiche industriali e commerciali a tutela degli interessi europei. Tra i primi traguardi, portare i 27 ad acquistare entro il 2030 il 40% delle forniture militari in modo congiunto. Non solo: ha proposto per la prossima legislatura europea un commissario alla Difesa ad hoc, anche se non sa ancora cosa fargli fare esattamente.
Ursula von der Leyen si porta così avanti, cercando di ipotecare la presidenza della Commissione per un secondo mandato. Per il momento i 27 non mettono bocca, anzi in molti guardano con interesse al piano strategico che può tornare utile, anche se la proposta von der Leyen deve passare prima al vaglio dell’eurocamera e del Consiglio europeo.
In attesa delle decisioni dei 27 non potevano passare inosservate le esternazioni del presidente francese Emmanuel Macron. In due distinte occasioni ha dichiarato di non escludere l’eventualità di inviare militari in Ucraina. La levata di scudi della Germania (e anche di altri alleati), e l’eco negativa dell’opinione pubblica, non solo francese, hanno costretto Macron a correggere il tiro all’indomani della prima dichiarazione, il 26 febbraio, ma anche a distanza di due settimane, quando l’inquilino dell’Eliseo ha ribadito il concetto, allertando nuovamente le cancellerie di mezza Europa.
La Francia ha l’esercito più moderno, meglio equipaggiato ed efficiente tra i 27, e soprattutto è l’unico dotato, dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, dotato di arsenale nucleare. Si sta forse candidando a guidare il futuro esercito europeo? Probabilmente no.
Malgrado la grandeur e l’arroganza francese, Macron non mira a tanto. Sa che un esercito europeo resta un’utopia, che la Nato, e quindi l’Europa militare, senza gli americani è un involucro vuoto e il 2% del Pil di spesa militare (anche da parte di tutti gli Stati membri Nato) basterebbe appena a comprare la foglia di fico per nasconderne le inadeguatezze strutturali.
Emmanuel Macron non sta chiedendo di mettere a punto l’esercito dei 27 e di decidere chi sarà il comandante in capo, ma anche alla luce dei dati di Eurobarometro – che rilevano come il 93% degli europei crede si debba agire insieme per difendere il territorio europeo – chiede a voce alta una politica estera comune (cui seguirà un esercito con il suo arsenale).
Così come in fondo prefigurava nel 1941 il Manifesto di Ventotene che vedeva in una volontà d’azione a livello internazionale degli Stati europei la capacità di riscatto e di salvezza europea.
Cecilia Cacciotto è giornalista di Euronews
Il giornalista italo-svizzero, che fu amministratore delegato del Corriere del Ticino, e poi presidente RAI per volere di Salvini, rientra da conduttore in Viale Mazzini: dati i...
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