Il giornalista italo-svizzero, che fu amministratore delegato del Corriere del Ticino, e poi presidente RAI per volere di Salvini, rientra da conduttore in Viale Mazzini: dati i suoi trascorsi, fra inevitabili polemiche
Marcello Foa torna dunque in Rai. Volendo, è una non-notizia. Se non fosse che il giornalista italo-svizzero, cresciuto a Lugano, dove aveva debuttato nella professione e dov’era tornato come amministratore delegato del Corriere del Ticino, rientra nel Palazzo vetrato di Viale Mazzini nel pieno delle polemiche che stanno accompagnando il vittorioso e sfacciato assalto della destra meloniana-salviniana alla radio-tv pubblica del Bel Paese. Ok, ripetiamolo anche noi: non che la sinistra sia immune alla pratica della lottizzazione, come del resto tutti i governi, di qualsiasi colore, nella storia dell’italica Repubblica, unico paese dell’Europa occidentale dove non a caso s’è sentita la necessità di creare una commissione parlamentare detta di “vigilanza” del servizio pubblico, dove per “vigilanza” s’intende, si pianifica e si applica la spartizione politica.
Ma fra lottizzazione e occupazione una differenza c’è. La prima – già di per sé intollerabile – distribuisce poltrone dirigenziali e programmi in base a una sorta di “manuale Cencelli” che più o meno rispecchia i rapporti di forza elettorali fra i vari partiti (esempio: Bruno Vespa non ha mai lasciato l’azienda, pur avendo definito a suo tempo la DC “il mio editore di riferimento”). La seconda – l’occupazione vera e propria – è l’arraffare violento e a senso unico di ogni posizione possibile, e unicamente a beneficio dello schieramento politico più forte in sede parlamentare: una sorta di “spoils system” che ci può stare in politica, ma non quando si tratta di un servizio pubblico che dovrebbe tener conto di tutte le sensibilità di una platea nazionale.
Ma è proprio quanto sta accadendo a Roma. Qualcosa di inedito, per brutalità e gravità, nella storia repubblicana dopo gli anni della propaganda “MinCulPop”, ministero della cultura popolare di fascistica memoria. Solo in parte paragonabile, ciò che sta avvenendo, soltanto all’era del potere berlusconiano, quando il cavaliere-premier (“il Caimano” nel film di Nanni Moretti) poteva contare contemporaneamente sia sulla favorevole lottizzazione Rai sia sulla potenza di fuoco del suo impero radio-televisivo: praticamente incontrastato grazie a un paio di riforme, la Gasparri e la Mammì, che esclusero qualsiasi vera concorrenza commerciale nel settore, e che la sinistra benedisse con la ‘storica’ visita di D’Alema nei palazzi di Mediaset e soprattutto evitando puntigliosamente di battersi per una seppur minima legge sul conflitto d’interesse.
Si conoscono i nomi di giornalisti e conduttori, più o meno prestigiosi, nelle ultime settimane già messi alla porta o incoraggiati a farlo. Ma cosa ci azzecca Foa con tutto questo? Ci azzecca Il fatto che egli debba anche quest’ultima ‘promozione’ (conduzione della mattinata sulla rete radiofonica più importante della Rai) al fatto di essere scrittore, giornalista, opinionista, docente contiguo, anzi: funzionale, all’attuale maggioranza politica di destra-destra. Fu anche per questo posizionamento che il capo della Lega, Matteo Salvini, allora al governo con Conte e i Cinque Stelle, fece il diavolo a quattro per avere, infine ottenendolo, Marcello Foa alla presidenza della Rai nel settembre 2018. Fino al 2021, quando dovette lasciare, con un bilancio assai poco lusinghiero secondo Usigrai, il sindacato dei giornalisti interni (ma si sa, quelli sono tutti “rossi” e prevenuti…). Matteo Salvini – che aveva assunto nel suo staff di consiglieri anche il figlio di Foa – poteva dimenticare proprio in questa fase di occupazione della Rai proprio un suo ‘beniamino’?
Dunque, rieccolo. Il Marcello Foa, ex del “Giornale” (proprietà Berlusconi), che si considera uno specialista nella denuncia delle tecniche manipolatorie di disinformazione, fustigatore di fake news spesso attribuite alla “stampa mainstream”, che guarda caso sta sempre e solo a sinistra o nell’alveo liberal. Riecco l’antieuropeista pro-putiniano, vicino a ‘Sputnik” e collaboratore (stipendiato?) di “Russia Today”, le voci propagandistiche del Cremlino più diffuse all’estero (fu del resto Salvini ad affermare di “sentirsi più a casa a Mosca che a Bruxelles”). Riecco il populista-sovranista, il convinto assertore che l’emigrazione clandestina è organizzata da una precisa regia per realizzare il processo di “sostituzione” (africani e arabi al posto degli europei), l’anti-vax dalle teorie bislacche, il fustigatore di una scienza spesso giudicata asservita ad establishment e poteri forti, nonchè il ‘censore’ del capo dello Stato, Sergio Mattarella: una volta storpiò l’affermazione del presidente sui rapporti Italia-UE e concluse affermando di provare “disgusto”; un’altra sostenne, contro ogni evidenza e smentito dai fatti, che Mattarella fosse contrario al governo fra Lega e Cinque Stelle, affermando polemicamente: “e che allora abbia il coraggio di metterli fuori legge, li estrometta dal parlamento e proclami la dittatura”. Poi tardivamente, molto tardivamente e opportunisticamente, al momento del dibattito sulla sua scalata al vertice Rai si scusò con Mattarella, elogiando anche il coraggio della sua famiglia (si riferiva, senza farne il nome, al fratello Piersanti Mattarella, leader della DC siciliana, assassinato dalla mafia).
Sarebbe lunga e documentabile la lista delle sortite più discutibili di Foa. Riassumiamola allora col passaggio di una tagliente biografia che, dopo la sua nomina a presidente Rai, gli dedicò “il Foglio” di Giuliano Ferrara, battagliero ex portavoce del primo governo Berlusconi, giornale quindi non certo classificabile fra i tifosi del centro-sinistra. Sotto il titolo “Lo spasso del Foa anti fake-news”, (ottobre 2019), che prendeva spunto da un documento in difesa della democrazia e di un dibattito politico dai toni civili firmato da tutti i dirigenti delle emittenti pubbliche europee, si può leggere che in realtà “Foa è stato un diffusore seriale di fake news: con il cospirazionista dell’alt-right americana (estrema destra) Alex Jones afferma che l’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines in Ucraina non sarebbe stata opera dei filorussi ‘ma è un caso di ‘false flag’ ovvero di crisi provocata ad arte’; diffonde articoli su presunte cene di collaboratori di Hillary Clinton a base di “mestruo, sperma e latte di donna” (ndr: ed era il periodo in cui la candidata democratica alla Casa Bianca era vigliaccamente accusata di pedofilia); getta sospetti sui vaccini; da presidente della Rai, in Israele proprio per un convegno sulle bufale giornalistiche, accusa (falsamente) in un’intervista gli europarlamentari del PD di essere finanziati dal magnate ebreo George Soros (lo spauracchio della destra sovranista). La democrazia è a rischio perché la disinformazione è una malattia pericolosa, ma Marcello Foa presidente della RAI ne è un sintomo, non certo la cura”, concludeva “il Foglio”.
A Lugano, nella parte conclusiva della sua esperienza alla testa del gruppo editoriale “Corriere del Ticino”, non mancò qualche problema. Che, secondo nostre fonti di prima mano, furono anche all’origine di un difficile rapporto con l’allora direttore Fabio Pontiggia. Era il periodo della frequente partecipazione di Foa a convegni ispirati alle tesi della Lega Nord, quando gli slogan pro-Putin, anti-Europa, ed anti-euro (è noto lo stretto rapporto fra il giornalista e l’attuale deputato Alberto Bagnai, il più tenace teorico leghista dell’abbandono della moneta unica), erano merce corrente nel partito salviniano. Allora, dalle nostre parti, fu impossibile non notare che la firma di Foa non appariva più sulla versione cartacea del principale quotidiano ticinese, ma unicamente sulle pagine dell’offerta on-line. Soltanto per irrobustire la redazione della parte e-paper da rilanciare? Ricordiamolo: era stato il settimanale “L’Espresso” ad esprimersi polemicamente per primo sulle controverse posizioni e frequentazioni italiane di Foa. Che si meritò un comunicato di piena solidarietà e di assoluta fiducia sulla sua obiettività da parte dell’editore luganese del “Corriere”. Con preannuncio di querela contro la testata italiana. Vi fu, e con quale esito? Sarebbe interessante saperlo.
“La ridiffusione di messaggi controversi non significa condividerne in toto il contenuto”, si è sempre difeso Foa quando sulle pagine del suo blog rilanciava le tesi più assurde, senza però minimamente accennare quale fossero le parti inaccettabili. Ricorda di aver sì collaborato a “Russia Today” ma anche con la BBC, stabilendo un impossibile parallelo fra la qualificata informazione della radio-tv britannica e una radio-megafono del Cremlino. E ha continuato a ripetere di essere “un allievo di Indro Montanelli”. Il Montanelli, certo uomo di destra ma di spirito indipendente, che aveva osato rompere con Berlusconi affermando fra l’altro che l’Italia aveva “bisogno di una lunga cura di berlusconismo per capire” di che pasta fosse fatto l’imprenditore recentemente santificato post-mortem da un paese immemore. Oggi, cosa avrebbe apprezzato Montanelli del suo presunto “allievo”? Non molto, immaginiamo.
Certo, ognuno, anche e forse soprattutto un giornalista d’opinione come Marcello Foa, è liberissimo di esprimere le proprie convinzioni. Ma lo può fare correttamente soltanto se non si camuffa, non si nasconde, non si rifugia dietro una speciosa auto-difesa, proclamando imperturbabile la propria equidistanza e indipendenza politica e di giudizio.
Gli auguriamo, comunque, buon lavoro. Anche se alla coppia di presentatori Rai che l’ha preceduto – Luca Bottura e Marianna Aprile – non è stata fornita alcuna spiegazione sulla destituzione / sostituzione. Né è stata concessa loro l’autorizzazione a congedarsi dal proprio pubblico. In perfetto stile “sovranista celodurista”. Che ha inventato per i palinsesti della nuova Rai meloniana questo beffardo slogan: “di tutto, di tutti”. Ma “tutti” chi?