Un paese per ricchi
La tattica del salame: la teorizzò un leader del blocco comunista, oggi serve alla destra borghese elvetica per favorire la decrescita fiscale di chi possiede di più: occhio dunque alla prossima votazione
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
La tattica del salame: la teorizzò un leader del blocco comunista, oggi serve alla destra borghese elvetica per favorire la decrescita fiscale di chi possiede di più: occhio dunque alla prossima votazione
• – Federico Franchini
In quale altro modo affrontare il cambiamento, se non attraverso la ricerca e la sperimentazione?
• – Rocco Bianchi
«Noi afghane abbiamo perso, hanno ucciso il nostro pensiero»
• – Redazione
• – Franco Cavani
Le carte custodite negli archivi e la memoria degli ultimi sopravvissuti svelano drammi che altrimenti sarebbero caduti nell’oblio
• – Redazione
Il racconto della giornata ticinese di Bruna Cases e Giordano D'Urbino
• – Redazione
Per chi dice ‘ideologico’ e pensa di aver detto tutto
• – Silvano Toppi
Conferme e novità del palinsesto televisivo della RSI
• – Enrico Lombardi
Ricordo della prima intervista a un giornale straniero del leader zapatista, che oggi scrive libri per bambini
• – Gianni Beretta
Una storia di lobbismo e connivenze all’origine di una legislazione fra le più lassiste a livello internazionale
• – Daniele Piazza
La tattica del salame: la teorizzò un leader del blocco comunista, oggi serve alla destra borghese elvetica per favorire la decrescita fiscale di chi possiede di più: occhio dunque alla prossima votazione
La tattica è quella del salame: un’espressione inventata da Màthyàs Ràkos, capo del partito comunista ungherese negli anni del dopo Guerra, per descrivere l’eliminazione progressiva dei poteri esterni al comunismo, “fetta dopo fetta fino a che non ne resti più niente”. L’espressione si presta bene per descrivere la politica degli sgravi fiscali in corso in Svizzera. In questo caso il coltello è nelle mani del blocco borghese che siede – a maggioranza – nel Parlamento a Berna. L’insaccato è il fisco: fatto a fette, decisione dopo decisione, per renderlo sempre più snello e favorevole a chi detiene grossi capitali, siano essi multinazionali, banche o ricchi oligarchi.
La prima fetta del saucisson fédéral è stata tagliata a giugno 2021, con l’abolizione della tassa di bollo sulle emissioni di capitale proprio. Si tratta di un’imposta riscossa dalla Confederazione quando viene creata una nuova impresa o quando un’azienda acquisisce nuovo capitale emettendo nuovi titoli (azioni e simili). La tassa è dell’1% e viene applicata solo per importi a partire da un milione di franchi. Una somma, questa, che funge anche da franchigia: se l’importo è di 1,5 milioni di franchi, l’imposta verrà calcolata solo su 500.000 franchi e ammonterà a 5.000 franchi. Un importo modesto, insomma, prelevato sui grandi capitali, ma che sommato permette alle casse pubbliche un’entrata di circa 250 milioni di franchi all’anno.
L’ultima parola toccherà al popolo, chiamato ad esprimersi il prossimo 13 febbraio grazie al referendum lanciato da sinistra e sindacati. La campagna di votazione da parte del mondo economico è marcata dal solito, scontato, slogan: “rafforzare le PMI, assicurare i posti di lavoro”. Vanno allora precisati alcuni dati. Sulle oltre 600mila imprese basate in Svizzera, nel 2020, soltanto 2.300 hanno dovuto pagare la tassa di bollo. A ciò va aggiunto che, secondo i dati dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), il 2,2% di queste transazioni erano responsabili di più della metà (51,5%) delle entrate fiscali. Avete capito bene: la metà dei 250 milioni di franchi la pagano cinquantacinque grandi gruppi! È a difesa dei loro interessi, che i politici del blocco borghese si ergono a paladini. Altro che piccole medie imprese! Ma del salame federale si possono fare alte fette. Il coltello è sempre pronto e limato. Nella sessione invernale, il Parlamento ha così varato un progetto che mira ad abolire l’imposta preventiva sugli interessi svizzeri. Di che si tratta? La legge vuole che le banche svizzere detraggano il 35% dall’interesse che pagano su un conto di risparmio. Questa somma viene restituita se tutto è dichiarato correttamente. L’obiettivo è quello di prevenire l’evasione fiscale.
Con l’abolizione dell’imposta preventiva, il Consiglio federale “vuole sostenere meglio l’economia e la piazza finanziaria svizzera”. Gli investitori esteri non dovranno più pagare questa tassa del 35% sui redditi da interessi generati dalle obbligazioni svizzere. A breve termine, la riforma comporterà una perdita stimata a 200 milioni di franchi annui. Ciò che suona strano: se tutti dichiarassero nella maniera corretta la quantità dell’imposta preventiva non dovrebbe essere pari a zero? Se la riforma comporta delle perdite significa quindi che vi è una parte di reddito che non è dichiarata al fisco, ma che oggi è soggetta all’imposta preventiva. Domani non lo sarà più. Non dichiarare il reddito, insomma, sarà più attraente.
In questo caso, i politici e il blocco borghese sembrano farsi portavoce dei super ricchi stranieri, gli oligarchi, i disonesti, i criminali. È così che i sindacati e partiti di sinistra sono costretti a scendere di nuovo in strada per raccogliere le firme per un nuovo referendum.
La tagliata, ahinoi, non dovrebbe finire qui. L’abolizione dell’imposta di bollo è solo la prima fetta di un progetto lanciato dieci anni fa dai parlamentari di destra e intitolato “Abolire progressivamente le tasse di bollo e creare nuovi posti di lavoro”. Oltre alla tassa sulle emissioni su cui si voterà, si prevede già in futuro l’abolizione delle altre imposte di bollo, come quelle sui premi d’assicurazione.
Queste abolizioni fiscali vengono sempre vendute come misure per rendere attrattiva la piazza economica elvetica e favorire la creazione dei posti di lavoro. Si dipinge la Svizzera come un paese non competitivo, in cui i mercati “sono ancora ostacolati, soprattutto a causa delle barriere fiscali come l’imposta preventiva e la tassa di bollo”. Eppure, la Confederazione è sempre più attrattiva, come dimostrato da un recente studio della BAK. A seguito della riforma sull’imposizione delle imprese, il carico fiscale delle imprese in alcuni cantoni svizzeri è diventato addirittura più basso che a Singapore, spesso citato come esempio da seguire. Nel 2021, la diminuzione media del gettito fiscale è scesa dell’1,9%, issandosi al 13,8%. Negli altri Paesi il peso fiscale è invece rimasto invariato e la Svizzera offre livelli d’imposizione più bassi che tutti gli Stati limitrofi. Ma al blocco borghese non basta e punta in alto verso il proprio sogno: tassare soltanto i salari, le pensioni e i consumi. C’è da sperare che, con tutto questo salame, a questa politica degli sgravi venga un bell’infarto.
Una multa al Consiglio di Stato e un sollevamento di popolo
Eccezionale intervista al Premio Nobel russo per la Pace Dimitri Muratov, direttore di Novaja Gazeta, rilasciata prima della decisione di sospendere le pubblicazioni per evitare...