Una conferenza da capogiro
Fra un paradosso e l’altro urge qualche domanda dopo la presentazione ufficiale della prossima Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina
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Fra un paradosso e l’altro urge qualche domanda dopo la presentazione ufficiale della prossima Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina
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Fra un paradosso e l’altro urge qualche domanda dopo la presentazione ufficiale della prossima Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina
Non ci fosse stata la guerra, sarebbe stato, né più né meno, il quinto summit internazionale sul futuro “democratico” e soprattutto economico dell’Ucraina degli ultimi sei anni: dopo Londra (2017), Copenhagen (2018), Toronto (2019) e Vilnius (2021) è venuto, previsto da tempo, il turno di Lugano, per un’occasione in cui gioca un gran ruolo l’attivismo del nostro Presidente e Ministro degli Esteri Ignazio Cassis.
Ma a differenza dei precedenti consessi, dedicati a stabilire relazioni diplomatiche e soprattutto reti commerciali fra l’Occidente e l’Ucraina (quella che guarda ad Occidente, e quella che in Occidente qualche affare già lo fa), per l’appuntamento di Lugano tutto è diventato paradossalmente complicato da capire, e da gestire.
Al di là delle sparate di esplicito dissenso verso l’evento manifestato dalla destra nazionale (UDC) e cantonale (Lega) in nome di un presunto concetto di “neutralità irrimediabilmente compromessa” (perché, a Lugano, ci vorrebbero anche i russi, per essere neutrali, eh, certo), e senza aver la presunzione di sentenziare su un oggetto diventato, per forza di cose, tanto delicato, resta come sospesa, anche dopo la presentazione ufficiale di ieri a Bellinzona, una domanda cui non è proprio facile dare una risposta: come si può “ricostruire” qualcosa che viene, ogni giorno, da cento e passa giorni, rasa al suolo, distrutta e soprattutto occupata.
Insomma, parlare della “ricostruzione dell’Ucraina”, se certamente può essere il segno di uno sguardo positivo verso il futuro, francamente non sta per nulla facendo i conti con il presente, e paradossalmente si sta trasformando in una “rappresentazione” di un’ipotesi di Conferenza più che in una Conferenza vera e propria.
Dire, come ha fatto Cassis, che a Lugano si lavorerà ad un nuovo “Piano Marshall” ha qualcosa di tristemente incongruo, quasi parodistico, perché, fino a prova contraria, il “Piano Marshall”, quello vero, l’unico, fu proposto e poi applicato in aiuto alla ricostruzione europea dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel giugno del 1947, dunque due anni dopo la fine del conflitto e dopo che erano stati faticosamente messi insieme i cocci di un’Europa devastata dalla furia nazista.
Nei quattro anni di applicazione del Piano, anni comunque di pace, è bene ribadirlo (o di Guerra fredda, semmai) capitò anche che nascesse la Repubblica Federale tedesca e poi quella Democratica, divise dal Muro, quello di Berlino, quello oltre il quale il Piano Marshall non si applicò per decisione di Mosca.
Com’è possibile paragonare quella situazione con quella attuale in Ucraina, e farne addirittura lo slogan per una Conferenza nata e concepita su tutt’altri presupposti? E come non pensare, di conseguenza, che un’occasione come quella che si prospetta a Lugano la si sta, infine “mettendo in scena” solo e soltanto perché “non andare in scena” suona brutto? In ogni caso, il summit luganese, che richiamerà probabilmente la signora Von der Leyen, il ministro degli esteri ucraino, un qualche emissario NATO, un bel po’ di nostre personalità politiche e soprattutto un gran numero di rappresentanti di associazioni economiche che erano pronte ad intavolare proficui colloqui di carattere commerciale con uno dei massimi “granai del mondo”), beh questo summit non potrà sfuggire all’urgenza di ben altre questioni, che riguardano, più che la “ricostruzione”, la sopravvivenza di un paese in guerra.
E allora di cosa si parlerà? Dei russi, che di dialogare proprio non hanno alcuna intenzione? Di armi? Di cosa? Se il buongiorno di vede dal mattino, a Lugano sarà tutto un tramestìo legato all’ordine pubblico e alla sicurezza, a Berna un’occasione per barcamenarsi ulteriormente nel beccheggio controvento in cui si dibatte un’Europa che da domenica ha un primo rappresentante che non gode del sostegno incondizionato del proprio Paese (leggasi Macron).
Insomma, quella che sta per arrivare a Lugano, potrà magari diventare, recitando a soggetto, un momento storico da ricordare per sempre, ma per ora dà piuttosto l’idea di essere, in mano al nostro Presidente federale, al Governo Cantonale e all’esecutivo cittadino una vera e propria “Peppa tencia”. E a furia di girare intorno alla tavola rotonda si rischia poi di avere qualche capogiro. Meglio prepararsi.
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