I versi del rapper
Sdegno e interrogativi sull’opportunità di organizzare al LAC un concerto come quello di Fabri Fibra - Di Simona Arigoni, Io l’8
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Sdegno e interrogativi sull’opportunità di organizzare al LAC un concerto come quello di Fabri Fibra - Di Simona Arigoni, Io l’8
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Sdegno e interrogativi sull’opportunità di organizzare al LAC un concerto come quello di Fabri Fibra - Di Simona Arigoni, Io l’8
A far riflettere è innanzitutto il fatto che il concerto in questione è organizzato dal LAC (acronimo di Lugano Arte e Cultura, lo ricordo), un’istituzione pubblica finanziata con i soldi pubblici.
Una proposta “culturale” dettata unicamente da interessi finanziari e commerciali, fatta senza nessuna contestualizzazione o presa di distanza dai contenuti delle canzoni dell’“artista”; basti pensare che nel descrittivo del concerto fatto dalla direzione del LAC si fa esplicito riferimento al disco che contiene le canzoni contestate come una pietra miliare nella carriera del cantante.
Il Municipio si è affrettato a rispondere che di sicuro il concerto non sarebbe stato annullato perché sono già stati venduti i biglietti e, inoltre, è difficile cancellare un evento per motivi come quelli avanzati dal Collettivo Io l’8 ogni giorno. Una presa di posizione che stride anche con lo stesso statuto comunale che, all’art. 5, recita “[…] occorre rispettare i contenuti non razzisti, violenti, diseducativi […] e il Municipio ha facoltà di interromperne ogni manifestazione […]”. Insomma, denigrare le donne, istigare alla violenza e al femminicidio, diffondere contenuti sessisti e omofobi, non sarebbe abbastanza diseducativo.
Sembra proprio che la società civile – per fortuna non tutta – si stupisca di più della nostra richiesta di fare un passo indietro e cancellare il concerto, rispetto ai contenuti dei testi di Fabri Fibra, che in tutta noncuranza banalizzano la violenza nei confronti delle donne e della comunità lgbtqi+. Non si tratta di mettere un cerotto alla cultura, di censurare l’arte o di vietare l’espressione artistica: vogliamo che tale espressione sia considerata e valutata per quello che è e che almeno nell’interesse pubblico non sia sdoganata proprio da chi, con grande ipocrisia, ha oppresso e boicottato la voce degli autogestiti ma al tempo stesso appoggia e pubblicizza un cantante tanto controverso.
In realtà nel dibattito pubblico entra in discussione la libertà di espressione e l’inaccettabile inno alla violenza scompare. Libertà di incitare alla violenza? Libertà di considerare le donne come merce sessuale, oggetti o facili prede?
I limiti imposti dalla legge e dal senso comune, per quel che riguarda la violenza verbale contro alcune minoranze colpite e segnate da anni di supremazia bianca, sono oggigiorno ben delineati; i limiti nei confronti delle donne no: si può ancora tranquillamente rivolgersi in termini violenti e, per esempio, incitare allo stupro e vantarsi per una misoginia che ha il potere di mantenere saldo il dominio maschile.
Per quale ragione noi donne non potremmo combattere i peggiori stereotipi maschilisti che, per esempio, ledono la dignità delle donne e banalizzano la violenza strutturale di cui la società patriarcale è pervasa?
Possiamo fare lo stesso discorso per quanto riguarda le pubblicità o le trasmissioni televisive.
Questi messaggi, molto utili al fine di mantenere il predominio maschile che economicamente giova alla società così come la conosciamo, fanno sì che la condizione della donna rimanga ancora subalterna all’uomo e garantiscono uno status quo per noi assolutamente insopportabile.
La questione aperta è questa: perché un centro culturale pubblico, un luogo che vuole essere prestigioso, fa una scelta così imbarazzante e discutibile? Perché si assume questa responsabilità nel nome di tutte le cittadine e i cittadini di Lugano? Perché la violenza contro le donne rimane ancora un terreno fertile ed esente da ogni tentativo di limitazione in nome di un discutibile concetto di libertà artistica? A tutte queste domande sarebbe utile che rispondesse la direzione del LAC che finora tace. Un silenzio imbarazzante.
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