Universali o inesistenti. I diritti umani oggi sempre più negati
Nel 75esimo anniversario della Dichiarazione dei diritti, un quadro inquietante delle garanzie di pacifica convivenza: e non solo nelle zone di guerra note o dimenticate
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Nel 75esimo anniversario della Dichiarazione dei diritti, un quadro inquietante delle garanzie di pacifica convivenza: e non solo nelle zone di guerra note o dimenticate
• – Aldo Sofia
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• – Lelio Demichelis
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• – Redazione
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• – Franco Cavani
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• – Silvano Toppi
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Un importante omaggio musicale in ricordo del cantautore istriano, a novant’anni dalla nascita, è previsto domenica alle 18.00 all’Auditorio Stelio Molo di Lugano
• – Gianluca Verga
Ancora a proposito del linguaggio utilizzato per informare docenti e famiglie sugli indirizzi e gli orientamenti della scuola ticinese
• – Adolfo Tomasini
Nel 75esimo anniversario della Dichiarazione dei diritti, un quadro inquietante delle garanzie di pacifica convivenza: e non solo nelle zone di guerra note o dimenticate
Spettacolo indecente. Sguardo insostenibile. Indignazione e stordimento. Scoramento per quella che Francesco, il papa gesuita, può inserire nella sua mappa della “guerra a pezzi”, espressione ormai adottata anche dalla narrazione degli esperti di geo-strategica.
Perché i “pezzi”, in questo lugubre tessuto di guerre in atto, di disumanità, di diritti negati, sono tanto numerosi quanto spesso dimenticati, trascurati, sottovalutati; una trascuratezza che è perfetto abbrivio di tragedie che poi rientreranno nella categoria delle solitamente impreviste “disgrazie annunciate”. Fin troppo numerose per dettagliarle. Preoccupazioni perfino derise da chi, non pochi, violentemente derubrica questa rinnovata piaga delle nostre società a ridicolo ‘buonismo’, ad eterna ininterrotta giostra della vicenda umana, e naturalmente a comportamenti e culture di realtà impastate di predicazioni e disumanità che ci sarebbero estranee. Mentre Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, anticipatrice del movimento iraniano per il riscatto della condizione femminile nel regno teocratico degli ayatollah, segnala come “l’idea del relativismo culturale altro non è che una scelta, e uno strumento, per violare i diritti umani”. In qualche modo per giustificarlo.
Soprattutto se tutto sommato serve agli interessi nostri. Come la depauperazione di un continente africano ricchissimo di materie prime di cui impadronirsi attraverso regimi locali corrotti; la violenta sottomissione di etnie come quella uiguro-musulmana nella Cina del “capitalismo comunista” che ha già normalizzato Tibet e Hong-Kong in attesa di Taiwan; la mattanza dei Rohingya da parte della dittatura militare ma anche di temporanei governi democratici nell’ex Birmania, oggi Myanmar; oppure la spoliazione, sempre in atto anche nel dopo-bolsonarismo, degli indio dell’Amazzonia brasiliana per farci crescere l’agricoltura che deve imbandire le nostre tavole, alla faccia della transizione ecologica; oppure, nella presunta “prima democrazia del mondo”, il razzismo quotidiano che contribuisce a fertilizzare il suprematismo bianco trumpiano e quindi anche la risposta esasperata di chi ne è bersaglio, in un corpo a corpo che sta sconvolgendo e frazionando da tempo e pericolosamente gli Stati (dis)Uniti d’America.
Perché, segnalava Stefano Rodotà, “i diritti parlano, sono lo specchio e la misura dell’ingiustizia, e dovrebbero essere uno strumento per combatterla”. Sì, perché i diritti non sono unicamente concetti possibilmente da applicare ad altri mondi, ad altri continenti, ad altre realtà più o meno esotiche. Riguardano anche noi. L’universo delle democrazie fragilizzate. Incapaci di rinnovarsi. Speranzose solo nella provvidenza salvifica delle nuove tecnologie. Dove le fratture sociali aumentano, si diramano altri sentieri di nuovi squilibri, lavoro precario, salari appena sufficienti, rinuncia a cure mediche, politiche fiscali sempre improntate alla regola di togliere le mani dalle tasche dei più abbienti lasciandole in quelle sempre più vuote delle classi medie o medio-basse, lo sforbiciamento dello Stato sociale, addirittura l’incredibile sfacciataggine di perorare la cancellazione pura e semplice dell’organizzazione pubblica (per il cittadino comunque sempre più cara) per fronteggiare malattie ed età della pensione.
Concetti di solidarietà frantumata. E di diritti che procedono con l’andatura del granchio. Quindi non è questione “solo” di pace nei vari paesi flagellati dalle armi. Woodrow Wilson sosteneva addirittura che “i diritti sono più importante della pace”. Intendendo con questo che i primi rappresentano l’unica possibilità di garantirsi la seconda. Perché consustanziali ad una convivenza umana non ingabbiata nella legge, scritta o non scritta, del più forte.
Nell’immagine: Alfredo Jaar, “La geometria della coscienza” (installazione)
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