2021: speciale Afghanistan, il perché di una scelta
La condanna della dittatura dei Talebani non esclude la critica all’abbandono del popolo afghano anche alla fame e alla povertà: la politicizzazione dell’aiuto umanitario è intollerabile
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La condanna della dittatura dei Talebani non esclude la critica all’abbandono del popolo afghano anche alla fame e alla povertà: la politicizzazione dell’aiuto umanitario è intollerabile
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La condanna della dittatura dei Talebani non esclude la critica all’abbandono del popolo afghano anche alla fame e alla povertà: la politicizzazione dell’aiuto umanitario è intollerabile
La Storia ha sempre la memoria lunga, mentre i contemporanei l’hanno piuttosto corta: complici, sovente, la politica e la stampa. La prima perché interessata all’oblio quando le fa più comodo; la seconda perché disinvoltamente frettolosa nel salire sulla giostra di altri supposti avvenimenti, per assecondare il desiderio di chi comanda o semplicemente per indomita e comoda pigrizia. E’ quanto sta accadendo, salvo qualche lodevole eccezione da noi segnalate, dopo la caduta di Kabul, e la riconsegna ai Talebani dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, al termine di 20 anni di una guerra chiaramente destinata, come aveva largamente previsto Gino Strada, a un tragico epilogo: parziali riforme democratiche soprattutto nei centri urbani, il resto del paese già da tempo riconquistato dagli ‘studenti coranici’, corruzione, ruberie, piccola e meno piccola criminalità, e la soggezione a cui la maggioranza Pashtun (di cui i ‘fanatici di Allah’ sono espressione, sempre foraggiata dal Pakistan eletto da Biden fra le nazioni “democratiche”) piega con la forza le altre etnie nazionali.
Che quel 14 agosto sia stato un giorno di assoluto rilievo storico non c’è dubbio: l’umiliazione americana per un altro Vietnam, con le drammatiche immagini all’aeroporto della capitale afghana che richiamavano quelle dell’abbandono di Saigon 46 anni prima; l’amara coincidenza coincidenza col ventesimo anniversario dell’attacco di Al Qaeda alle Torri Gemelle e ai simboli della potenza americana; i rinnovati dubbi su capacità e volontà statunitense di difendere gli alleati legati a Washington da Patti di assistenza militare (dall’Europa all’Asia); gli interrogativi su senso e missione della Nato; il tutto in un momento di conclamate sfide politiche, strategiche, economiche, tecnologiche annunciate dagli USA nel confronto con la Russia e nell’aspra competizione sistemica con la Cina. Ed è già molto, a prescindere dalle nuove incognite della quarta (e chissà se ultima) ondata pandemica sull’economia globale. Se riferite poi a quanto accade dall’estate 2021 nel contesto locale, l’Afghanistan diventa un caso paradigmatico delle inadempienze anche etico-morali e delle incertezze dell’Occidente che si vuole ancora sentinella delle libertà. Gli Afghani abbandonati alla dittatura e alla miseria, alla fame, alle malattie, al gelo che uccide, con un terzo della sua popolazione a rischio sopravvivenza e a cui chiudiamo la porta di casa.
La condanna dei metodi e del fanatismo talebano non è in discussione. Ma la politicizzazione dell’aiuto umanitario, quello sì. Un intero popolo penalizzato per colpe non proprie, è qualcosa di inaccettabile. A maggior ragione non può esserlo se la condanna del regime di Kabul serve, come a volte serve, per occultare le responsabilità di chi quella guerra l’ha condotta e l’ha terminata nel modo peggiore, evitando poi di portare i soccorsi e gli aiuti economici con cui corroborava l’occupazione militare. Era stata del resto una facile profezia: l’ “ordine talebano” (di cui i primi beneficiari politici sono, per ora, Cina Russia Iran) poteva fare molto comodo ai paesi della coalizione sconfitta e alla stabilizzazione regionale.
Non si sta forse realizzando questo calcolo? Ed è il modo ‘migliore’ per scrivere una delle pagine ‘peggiori’ della nostra storia.
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