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Filippo Rossi
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• 1 Gennaio 2022 – Filippo Rossi
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Mahbouba Seraj, 73 anni, è discendente dalla famiglia reale afghana vicina allo Shah Amanullah Khan, il quale nel 1919 diede l’indipendenza all’Afghanistan che conosciamo attualmente. Imprigionata durante gli anni del regime comunista afghano, Seraj ha vissuto anni in esilio negli Stati Uniti prima di tornare in Afghanistan nel 2003. Dopo il suo ritorno si è dedicata alle donne e ai bambini afghani, fondando varie associazioni, delle quali la più famosa è il “Afghan Women’s Network”. Con il ritorno dei Talebani in agosto, “Bubi” Seraj, com’è conosciuta in famiglia, ha deciso di rimanere e di non abbandonare il suo paese.

Signora Seraj, sono passati ormai tre mesi da quando i Talebani sono entrati a Kabul. Da allora, molto si è detto. Dopo un inizio molto preoccupante e la reazione di terrore di una gran parte della popolazione, specialmente quella femminile, cosa possiamo dire della situazione attuale?

“Ci siamo già parlati a inizio settembre. Posso ripetere la stessa cosa: siamo ancora in quella situazione caratterizzata da “aspettiamo di vedere cosa succederà”. Pure i Talebani stanno aspettando e osservando. Nemmeno loro sembrano avere le idee ben in chiaro anche se sono ben coscienti di non avere soldi nelle casse dello stato. E se la priorità, per le donne, è la riapertura delle scuole, per il paese e l’intera popolazione è lo scongelamento dei fondi e dei soldi degli afghani chiusi nelle banche private che erano gestite dagli stranieri. È il gatto che si morde la coda: senza soldi non funziona nulla e la gente non può mangiare, pagare gli affitti. Questa è la vera piaga. Gli Afghani non sono mai stati così poveri. E con la fame e la povertà a livelli che rasentano il 98% della popolazione, la gente è pronta a tutto”.

Questo è sicuramente un dato preoccupante che fa capire come le priorità del governo talebano e della popolazione verta oggi sulla sopravvivenza. Considerando, invece, la situazione delle donne, cosa possiamo dire rispetto a 3 mesi fa?

“È un altro grattacapo. Come ho già detto, ci si aspetta la riapertura delle scuole. Per ora, le ragazze vanno a scuola in sole 5 provincie su 34. Non va bene assolutamente. Anche questo contribuisce al rallentamento di soluzioni diplomatiche internazionali. I Talebani provano a istituire rapporti, ma penso proprio che questo sia uno dei fattori che blocca la ripresa delle relazioni. Specialmente con gli europei, che hanno a cuore l’educazione femminile. Sembrano pronti a riaprire relazioni diplomatiche ma bisognerà che i Talebani facciano un passo in questa direzione. Ma all’interno del paese c’è una grande differenza: le donne vivono situazioni differenti a dipendenza del luogo in cui risiedono. Quando i media occidentali parlano di donne, si riferiscono a quelle della città. Sì, loro soffrono perché le scuole e le università sono chiuse e molte hanno perso il lavoro, anche perché compagnie e agenzie sono fallite o sono state chiuse del tutto. Ma in 20 anni di presenza occidentale, le donne delle provincie hanno sempre avuto un accesso molto scarso a tutto ciò che è lavoro e educazione. Per non dire inesistente. È per queste donne che io mi batto. Per questa fascia di popolazione che non ha voce. Se riuscissimo a far cambiare questo trend, che non è mai cambiato per decenni, facendole andare a scuola e ad educarsi, si potrebbe cambiare completamente la prospettiva della società”.

Si parla spesso di persone in pericolo, di donne nascoste, che si travestono. Sicuramente è vero in alcuni casi. Ma è anche vero che molte di loro hanno voluto cercare, o cercano una via d’uscita.

“Non ho mai conosciuto, sin da quando sono nata, una donna afghana che non volesse andare in occidente. È chiaro che la maggior parte di loro ha usato questa situazione per partire e per crearsi un futuro in Europa o in America, senza essere veramente in pericolo. Vale lo stesso per i ragazzi. Ed è un problema grave per il paese, perché la gioventù educata è fuggita. Tutti questi anni di studi, formazioni, non servono a nulla se si abbandona l’Afghanistan e lo si lascia solo. Non è vero che tutte queste ragazze rischiano così tanto come si dice sui media occidentali. È vero però che ci sono molte persone, uomini e donne, che sono in pericolo. Sono soprattutto coloro che hanno criticato molto i talebani, che hanno lavorato per i servizi segreti e il vecchio governo o che hanno lavorato come giornalisti in determinati settori e dei quali i Talebani non si sono dimenticati. Molti individui sono stati freddati o sono semplicemente spariti. Ma non sappiamo se siano stati dei criminali o i talebani. Il problema è che in questo caos, è troppo facile addossare la colpa agli altri. È una situazione che rischia di degenerare. Basti pensare ai giudici uomini e donne. Quando, appena prima dell’arrivo dei talebani, il carcere di Pul-e-charkhi (storico carcere alla periferia di Kabul) è stato aperto dai soldati dell’ex-governo, i criminali sono fuggiti e per prima cosa sono andati a cercare i loro giustizieri. Loro rischiano davvero. I casi di rapimenti aumentano, tocca una parte della popolazione che interessa a qualcuno, come grandi imprenditori o politici. Non bisogna dimenticare le rese di conti mafiose e il gioco di potere.”

A settembre mi aveva detto che non c’erano donne in giro per Kabul. Oggi, la situazione sembra cambiata.

“Decisamente. Le ragazze, che all’inizio erano scomparse dalle vie, sono tornate per strada, vestite come prima, fanno shopping, sono nei caffè e chi può va in università. Non dimentichiamo che molte scuole sono chiuse anche perché professori maschi e femmine non ci sono più e altre donne hanno perso il lavoro perché non esistono più le aziende o non sono pagate. Molte lavorano già in vari settori come media, ministeri, aeroporti, banche. Ma manca l’educazione, che è la nostra richiesta. I Talebani sanno benissimo che non possono privare le donne del loro posto di lavoro. E se lo facessero, commetterebbero un terribile autogol, perché molte di loro sono diventate l’unica fonte di sostentamento per migliaia di famiglie. Continuano a dire che tutto tornerà come prima. Ma per ora, come detto, sembra tutto bloccato. Possiamo, fortunatamente, contare su una società civile diventata molto forte in questi anni, soprattutto fra le donne cittadine che si sono emancipate, partecipando a varie attività”.

Possiamo stilare una breve lista di cose positive e negative sui talebani secondo il suo punto di vista?

“I Talebani, che ho incontrato molte volte e che ho imparato a conoscere nelle strade, mi danno l’impressione di essere molto più onesti dei criminali che c’erano al potere prima. La sicurezza è aumentata decisamente. Ora esco anche la notte, cosa che prima nemmeno era pensabile.
Sembrano avere una concezione di gerarchia differente. Anche se hanno ranghi militari, si rispettano molto più fra di loro, come eguali. E non penso che siano corrotti come quelli di prima, che hanno fatto molto male al nostro paese. Ma chiaramente ci sono molti lati negativi. Non appena sono arrivati 3 mesi fa, le sensazioni non potevano essere più cupe. La gente, traumatizzata dalle loro brutalità degli anni ’90, si è fatta prendere dal panico. Lo si è visto con la tragedia dell’aeroporto. Hanno cambiato le prospettive del paese per molti, impedendo a una parte della popolazione di continuare a vivere come prima e sicuramente una parte di loro è molto intransigente su cose che la gente – soprattutto in città- dà oggi per scontate. Ma anche se molti dicono che è solo una facciata e fanno apposta a comportarsi, nella maggior parte dei casi, in maniera meno brutale, finora si sono trattenuti molto. Sembrano cambiati, e ne sono io stessa sorpresa, in alcuni comportamenti. Non possiamo dire, quindi, che sia la fine del mondo, ma bisogna tenere alta la guardia”.

Giornalisti uomini e donne, in varie parti del paese, si lamentano per una stretta nella libertà d’espressione, che il governo di prima si vantava di avere nella sua costituzione. A Kandahar, alcuni giornalisti sono spariti, a Mazar uno è stato ucciso.

“Sì, è vero. Oggi in Afghanistan non si possono criticare i talebani, non esiste la possibilità di evidenziare una cosa che l’Emirato islamico fa male. E questo è un problema. Ma prima non era meglio. La gente tende a dimenticare facilmente. Il governo era brutale, uccideva attivisti, giornalisti, metteva bombe nelle loro macchine. Ne abbiamo le prove. La cerchia del presidente Ghani e dei suoi vice era intoccabile. Se erano esposti, a pagarla erano giornalisti e attivisti. Insomma, non sembra essere cambiata molto la situazione. Ma in generale, penso che tutto questo caos non sia colpa degli afghani, ma di chi cospira da fuori e ci vuole sempre fare del male.”

A chi si riferisce?

“Gli afghani si sono sempre fidati dello straniero, sperando nel suo aiuto e credendo nel rispetto e nella fiducia. E sono sempre stati traditi. È una ferita che non si rimarginerà mai. Come il governo Ghani e l’amministrazione occidentale hanno trattato gli afghani per tutti questi anni, è una cosa imperdonabile. Tutti si aspettano e sono pronti a denunciare i Talebani per ogni atrocità che si pensa abbiano commesso senza nemmeno avere le prove. Ma le atrocità che hanno commesso gli uomini di Ghani non hanno pari. Gli afghani non si fidano più degli stranieri. Specialmente ora, in questo limbo. Stiamo tutti aspettando di vedere quale sarà la prossima mossa. Non appena ho sentito un occidentale, poco tempo fa, dire che i talebani non sarebbero rimasti al potere a lungo, mi sono spaventata. Mi sono subito chiesta, questa volta chi ci attaccherà? Chi ricomincerà la guerra? Torneranno quei signorotti della guerra corrotti come Massud, Dostum, Nur, Saleh che hanno saccheggiato, distrutto, rubato i soldi degli afghani? Sarebbero da incarcerare, non da idolatrare come si fa in occidente. Non li vogliamo. Ci hanno fatto troppo male. Questi sono i nostri veri fantasmi, le nostre paure. Questa situazione ha strappato ancora una volta l’anima all’Afghanistan”.

A suo parere si tratta dunque della stessa storia che si ripete sempre.

“Non so più cosa dire alla comunità internazionale. Siamo tutti noi afghani, talebani e non, a dover farci delle domande su dove vogliamo andare. Ho speranza e sono sicura che le cose andranno meglio. La gente che per 20 anni aveva cominciato a trovare un proprio cammino è stata brutalmente risvegliata dalla realtà dettata dall’esterno. Non sono i talebani, e qui lo sottolineo, ma il governo precedente, il quale trattando la popolazione con arroganza, supponenza, violenza, odiando i propri compatrioti, ha rovinato tutto. Oggi girano con le loro Lamborghini a Londra.
Vorrei tanto che non gli avessimo mai permesso tutto questo. Ma siamo stati noi a farlo, in primis. E ora ne paghiamo il prezzo, con tutti che scappano, lasciando il paese in balia di sé stesso.
Dobbiamo restare uniti per ricostruire un Afghanistan più forte. Perché è l’unica cosa che ci rimane”.






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