Cose semplici, cose complesse
Alcuni temi politici, antichi e recentissimi, che mostrano la difficoltà di rapportarsi al reale
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Alcuni temi politici, antichi e recentissimi, che mostrano la difficoltà di rapportarsi al reale
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Alcuni temi politici, antichi e recentissimi, che mostrano la difficoltà di rapportarsi al reale
“Relative Gleichbehandlung”: un fondamentale concetto costituzionale che, nella sua teutonica oscurità, suona più innocuo nella sua formulazione tedesca che non in quella italiana, “parità di trattamento relativa”. In effetti, questo principio non chiede certo di mettere un limite alla parità di trattamento, ma di ben chiarire che – com’è ovvio – cose uguali devono essere trattate nello stesso modo e cose diverse, appunto, diversamente. A corollario ciò significa che, se data, la complessità osta a soluzioni semplici; e, di converso, che questioni semplici richiedono soluzioni a misura appunto della loro semplicità.
Ne parlo soprattutto alla luce di due recenti iniziative, che ipotizzano soluzioni semplici per questioni in realtà complesse, in quanto richiedono un esercizio attento di differenziazione.
Da una parte, la richiesta degli ufficiali svizzeri di imporre il servizio militare anche alle donne, che secondo costoro dovrebbero finalmente avere l’onere di pari doveri se pretendono di accedere a pari diritti; in filigrana si coglie il consueto pensiero troglodita che alligna ancora – e financo trionfa, anzi sembra titolo di merito e premessa per la carriera – in certi ambiti della società e dell’economia, cioè che se le donne alzano la cresta occorre che qualcuno gliela faccia abbassare, magari a suon di ordini urlati maschiamente nelle orecchie, di scuole di sezione e di servizi di parco. Qualcuno dovrà forse chiarire che il tema non è di semplice soluzione, soprattutto perché i ruoli imposti alle donne dalla biologia ma soprattutto da strutture sociali inadeguate rendono complesso il loro inquadramento nell’esercito. A prescindere dal fatto che non sembra ragionevole aggiungere un ulteriore, e costoso, tassello a un’istituzione che ha una funzione unicamente retorico-sociologica, oltre che psicologico-psichiatrica per i trogloditi di cui sopra, e non ha giustificazione vera nei fatti.
Poi, la richiesta dei giovani lib-lib che chiedono un aumento progressivo dell’età del pensionamento, tenendo conto della migliorata speranza di vita e delle piangenti casse dell’AVS. Da un punto di vista generale, non è contestabile che si viva di più e meglio, che l’incertezza del futuro e un po’ di egoismo conduca a figliare meno, e che quindi la società invecchi al punto tale che ci sono ormai sempre meno pagatori di contributi a fronte di un numero sempre maggiore di arzilli percettori di rendite. Ma anche qui un mero criterio anagrafico non può certo gestire una pluralità di casi, ad esempio quelli che concernono professioni usuranti. Insomma, non c’è una soluzione semplice se il problema è complesso; e quella proposta è una soluzione troppo semplice, e fa comprendere come l’assoluta parità di trattamento possa condurre a soluzioni inique.
A fronte di questo, vi sono alcune cose semplici che vengono, a torto, trattate come complesse e quindi oggetto di decennali e sterili discussioni. Mi riferisco al tema, banale quant’altri mai, della tassazione dei coniugi, che dovrebbero finalmente poter pagare le tasse come se fossero due soggetti fiscali indipendenti, e non scontare una sorta di “progressione a freddo” dell’aliquota derivante dal loro mutato stato civile. Altro aspetto, quello della parità salariale tra uomini e donne, a parità di prestazione professionale; un criterio di ovvia giustizia ed equità che richiederebbe un intervento deciso, ma che si scontra con una deficiente volontà politica, con resistenze imprenditoriali e con il solito Neanderthal-pensiero. Ricordo un consigliere di Stato, forse obnubilato dalla dieta, che aveva sostenuto serenamente che in fondo le donne possono prendere meno perché il loro è un salario aggiuntivo/ancillare rispetto a quello del loro signore-e-padrone; per dire. Accanto a questi temi, la defiscalizzazione del valore locativo e, forfetariamente, del canone di locazione: interventi di banale giustizia ed equità fiscale che però vengono messi sotto il tappeto da decenni per motivi anch’essi fiscali, financo da coloro (antistatalisti e risparmisti di ogni sponda) che potrebbero farne popolarissimi cavalli di battaglia.
Probabilmente l’epoca dei social, la diffusa ostentata ignoranza e la convinzione che l’immediatezza di internet possa sostituire la fatica “classica” dell’apprendere, rendono più difficile rendersi conto non solo della complessità del mondo e delle cose, ma anche a volte della sua linearità. E la politica è diventata, purtroppo, uno dei luoghi in cui questo deficit di cultura e di capacità di analisi si manifesta in modo più flagrante, e rischioso per noi tutti.
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