Benedetto Antonini – Che macello l’ex-Macello
Le risposte che mancano, la necessità di tenere vivo il dibattito
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Le risposte che mancano, la necessità di tenere vivo il dibattito
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Le risposte che mancano, la necessità di tenere vivo il dibattito
Sull’incresciosa vicenda dell’evacuazione della sede ventennale dei giovani autonomi e della susseguente demolizione della parte più antica dell’ex-macello di Lugano, molto è stato scritto, ma molto dovrà ancora essere scritto.
Marco Borradori, all’uscita dal tribunale dov’era stato sentito dalla Procura in qualità di persona a conoscenza dei fatti, interpellato dai giornalisti che lo attendevano impazienti, ha esclamato: “Io non ho demolito nulla!”.
Niente di più errato: di certo, lui e i suoi colleghi di Municipio, oltre al vecchio Macello hanno distrutto eccome! Hanno distrutto la credibilità dell’Autorità esecutiva della Città che si voleva il faro, il motore del Cantone.
Hanno distrutto la struttura democratica di una parte importante del Paese, la relazione tra Municipio e polizia, tra Municipio e popolazione e, purtroppo, come ha scritto Il Caffè (se ne sentirà la mancanza!) ha reso palese l’avanzare strisciante di una piega autoritaria che la politica sta prendendo in modo non troppo strisciante in tutto il Ticino, ad immagine e somiglianza di ciò che sta succedendo a livello nazionale ed oltre.
Pur perdendo buona parte delle sue iniziative, l’UDC nazionale sta dettando la politica del Parlamento bernese. Da noi, la Lega dei Ticinesi, priva di idee, si è alleata con la piccola UDC per far numero, facendosi dettare la politica dalla cugina più piccola (ma fino a quando?), la quale pur mancando di elettori, purtroppo, di idee ne ha, parecchie e non certo di quelle che mi vedono d’accordo.
A questo punto espongo tre considerazioni importanti.
La prima parte dal clima prefascista così ben descritto da Stefan Zweig: se non ci mobilitiamo per contrastare la deriva politica, le giovani generazioni si ritroveranno a dover fare i conti con olio di ricino e manganelli. Ben vengano “I Naufraghi”, ma per ora mi sembra che sia un blog che convince i convinti, un foro dove noi che abbiamo vissuto il ’68, siamo felici di dirci ciò che andiamo dicendo. Posso sbagliarmi, ma non ho mai letto nei media una citazione del “nostro” blog.
La seconda è riferita alla tolleranza, anzi, alla necessità di avere un centro giovanile autonomo che pur faccia anche un po’ di gazzarra. Si tratta di una necessità sociale che, avendo letto Edgar Morin, mi permetto di dire più vecchia dell’uomo. Sembra, infatti che i giovani maschi, soprattutto, delle specie di scimmie superiori che ci hanno generato, si comportino esattamente come i giovani autonomisti, ossia in modo diverso non conformista, dissacratore e iconoclasta. Quando esagerano vengono “messi in riga”, tuttavia è grazie allea loro esuberanza ed alla loro creatività che la “cultura” degli adulti e degli anziani, per sua natura statica e ripetitiva, evolve e progredisce.
Per una società come la nostra tanto invecchiata, emarginare i giovani, peggio ancora invitarli a riunirsi in un ex-depuratore periferico, rappresenta non solo un’offesa, ma anche un pericolo suicidario.
L’azione politica è fatta anche di simboli: tutti sanno che discariche e depuratori devono essere piazzati là dove non danno fastidio a nessuno, lungo la linea della minima contestazione. Insomma i giovani autonomisti trattati come rifiuti della società dei consumi.
La terza considerazione mi porta a dire che se si volesse cambiare qualcosa di positivo per uscire dal vicolo cieco, occorrerebbe mettere a disposizione dei “molinari” una sede decente in centro Città, come ebbe ad affermare Christian Marazzi. La sede più idonea dal profilo edile, ma soprattutto simbolico, è la parte dell’ex-Macello scampata alla furia distruttrice “degli angeli mandati da Dio” come successe a Sodoma e Gomorra. Fin dalla prima dichiarazione, il Sindaco si affrettò ad affermare che si erano limitati a demolire la parte “non tutelata” formalmente. Mi risulta, tuttavia, di non essere il solo a nutrire dubbi sulla scelta normativa di Lugano, poiché la parte demolita meritava, fosse solo per i suoi valori storico-iconici, di essere tutelata, almeno come quella risparmiata, visti i lavori di riattazione che ha subito.
Ritengo dunque che la persona, o le persone, che saranno designate per mediare un dialogo tra Autorità e Molinari dovrebbe portare in dote l’offerta di reinsediarsi nei citati edifici, con la condizione di meglio aprirsi alla popolazione, organizzando eventi un certo numero di volte all’anno.
Se però questa offerta non trovasse interesse, penso che Comune e Cantone dovrebbero acquistare l’edificio in disuso da tempo della Fondazione Vanoni e proporlo quale sede alternativa.
Il discorso non può, dunque, esaurirsi “a coda di pesce”, come probabilmente spera il Municipio, ma va tenuto acceso ed attuale, affinché la sua conclusione sia la dimostrazione di un cambiamento di politica.
Benedetto Antonini è architetto e urbanista
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