Dell’Indifferenza e del  Centro

Dell’Indifferenza e del Centro

Attorno a due parole emerse in questi giorni


Silvano Toppi
Silvano Toppi
Dell’Indifferenza e del Centro

Due parole sono emerse negli scorsi giorni. Per circostanze e motivi l’una all’altra lontani anni luce. Ma forse no. La prima: indifferenza, che è la chiave per comprendere le ragioni del male, perché quando credi che una cosa non ti riguarda, allora non c’è limite a niente e l’indifferente è complice dei misfatti peggiori. Sappiamo perché quella parola è emersa (la memoria della Shoah). L’altra: centro che, inteso come centro partitico o politico, è stato venduto come la collocazione politica ideale e necessaria per conquistare gli elettori.

La società dell’indifferenza

Interroga Andrea Ghiringhelli in un suo scritto, apparso anche su questo sito, sul “peccato dell’indifferenza”: “Chi avrebbe immaginato il successo delle democrazie illiberali che fanno della negazione dei diritti umani il vanto della loro politica?”. Forse il “degrado etico e civile che continua” (e che denuncia) non è però solo di quelle democrazie che definiamo “illiberali”. Campeggia e trionfa anche nelle cosiddette democrazie liberali, anche come seppellimento di diritti. E non è solo carenza di coscienza storica (che comunque c’entra, eccome!).

Claude Lefort, filosofo (politico), uno dei primi teorici del totalitarismo, nel suo testo su Hannah Arendt (filosofa-politologa-storica ebrea, che ne “Le origini del totalitarismo” rilevò le radici dello stalinismo e del nazismo) ) scrive che: “si può parlare di politica solo laddove si manifesta una qualche differenza fra lo spazio in cui gli esseri umani si riconoscono l’un l’altro come cittadini, situandosi tutti insieme nell’orizzonte di un mondo condiviso, e la vita sociale propriamente detta, dove essi fanno solo esperienza della loro dipendenza reciproca”. Se ne deduce che la politica, in quanto spazio autonomo per l’espressione dei cittadini nella vita pubblica, è sempre destinata ad affievolirsi, impoverirsi e scomparire non solo dove lo Stato finisce per annullare lo spazio civile (totalitarismo), ma anche dove – forse, ma non sempre, più subdolamente o anesteticamente – l’esplosione e predominanza della sfera economica, con tutta la sua potenza o forza del ricatto o anche della corruzione, liquida facilmente l’autonomia del politico oppure offre agli Stati i motivi d’intervento e di accaparramenti.

Ed è  lì che si afferma e si espande la “società dell’indifferenza”. Ed è anche lì che la Storia ci darebbe tutto quanto è necessario per indagare, sapere, non dimenticare, non ripetersi.

La libidine del centrismo

Già furono assieme, liberali-radicali e pipidini (2019) e finì in un fiasco e in accuse reciproche. Ora, a quanto pare, ritenta su piano nazionale, con offerta antisinistra, l’Udc di Chiesa con il Plr. Ha scritto Gianni Righinetti sul CdT: “Paradossale è constatare che il centro, per definizione punto di equilibrio e luogo di mediazione, oggi sia più litigioso e astioso rispetto ai poli”. Se la causa, come sostiene Righinetti, fosse l’incompatibilità tra i due “due maschi Alfa” (Dadò e Speziali), saremmo non al centro, ma nel vuoto assoluto della politica (con la P maiuscola, come ragione comanderebbe).

Una delle creazioni forse più politicamente miserande degli ultimi anni, non solo da noi, è la consacrazione o la libidine del centrismo. Che, in ultima analisi, esprime la voglia di dare corso legale all’ideologia. Tanto che (non senza una grande coerenza, bisogna positivamente riconoscerlo) si è evitata anche l’etichetta di “cristiano”.

Sembra che si sostenga: dato che c’è un solo sistema possibile (e sapete quale) e dato che non c’è o non deve esserci alternativa (tanto più di sinistra, fosse di estrema destra si potrebbe anche agganciarla), tutto può solo convergere in un punto: il centro. 

Nella cultura dell’eufemismo il centro è re, è il vittorioso. Anche perché nel centro, spazio vuoto, tutte le ideologie si neutralizzano, evaporano e il centro è il luogo ideale per decretare la dissoluzione della politica. E se c’è niente da dirsi… ci sarà solo da amministrare e da “condividere”. È quindi il movimento per il movimento, una pretesa avanguardia decaffeinata, forse (da vendere ai giovani) una forma pop del conservatorismo. Non si può negare che si è anche avvantaggiato della incapacità propositiva o oppositiva della sinistra. E da questo punto di vista, non si capisce perché si abbia come obiettivo quello di annientarla.

Il Centro, che tende così a super affollarsi, con partiti che non si distinguono neppure nell’etichetta, si riduce in sostanza all’espressione di una egemonia ideologica, solo disturbata dalla presenza di una politica democratica: è quella del liberismo economico che non va confuso con il liberalismo politico e che non bisognerebbe permettergli di nascondersi dietro il liberalismo politico, come avviene (e come continua con scritti a predicare anche ai suoi , in questi giorni, sempre inascoltato, l’ultimo dei mohicani, lo scrittore Arnaldo Alberti).

Nell’immagine: il Gran consiglio ticinese risucchiato al centro

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