Le ex colonie si ribellano a Parigi
Dopo il Mali, anche il Burkina Faso caccia l’esercito francese sventolando bandiere russe. Nuove forme di “decolonizzazione”
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Dopo il Mali, anche il Burkina Faso caccia l’esercito francese sventolando bandiere russe. Nuove forme di “decolonizzazione”
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Dopo il Mali, anche il Burkina Faso caccia l’esercito francese sventolando bandiere russe. Nuove forme di “decolonizzazione”
Il Burkina Faso, colonia francese fino al 1960, ha deciso di estinguere l’accordo militare raggiunto nel 2018 con Parigi che autorizzava la presenza di circa 400 militari francesi sul territorio burkinabé. La forza “Sabre” aveva il compito di affiancare l’esercito nazionale nella lotta ai militari jihadisti, particolarmente attivi nel Paese dell’Africa occidentale dal 2015. Il portavoce del governo, Jean-Emmanuel Ouedraogo, ha invece dichiarato che «il Burkina conta sui propri mezzi per vincere la guerra», dando a Parigi un mese di tempo per ritirare le truppe dal Paese. «Quello che estinguiamo è l’accordo che consente alle forze francesi di essere presenti in Burkina Faso. Non si tratta della fine delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi», ha chiarito Ouedraogo. Il Paese guidato da Ibrahim Traoré, in carica a seguito di un colpo di Stato, sta seguendo le orme del vicino Mali, che nel 2022 ha ordinato il ritiro dei militari francesi e si è alleato con la Russia nella lotta al terrorismo. Nei giorni scorsi, durante una manifestazione a Ouagadougou – capitale burkinabé – centinaia di persone hanno sventolato bandiere russe e cartelloni che recitavano “No alla Francia/Ladro d’Africa”.
La decisione del nuovo governo, insediatosi lo scorso settembre con un golpe, arriva da lontano. A gennaio 2022, il primo colpo di Stato dell’anno ha portato alla destituzione del presidente Christian Kaboré, eletto nel 2015. Durante il suo mandato, sono aumentati i casi di violenza e si sono moltiplicate le manifestazioni anti-governative, alimentando così un clima di costante insicurezza. La scarsa efficacia dell’azione governativa (supportata dal 2018 dai militari francesi) contro le forze jihadiste, che oggi controllano circa due terzi del Paese, ha incrementato il malcontento della popolazione civile nonché dell’esercito, bersaglio principale delle mire terroristiche. Così, dopo l’arresto di Kaboré, la giunta militare guidata da Paul Henri Sandaogo Damiba ha sospeso la Costituzione, chiuso le frontiere e sciolto il Parlamento.
Il mancato ripristino della sicurezza e della protezione nei confronti dei cittadini ha portato al secondo colpo di Stato, per mano del capitano dell’esercito Ibrahim Traoré. Con quest’ultimo, le relazioni tra Francia e Burkina Faso si sono deteriorate. Traoré ha innanzitutto accusato Parigi di ospitare il presidente deposto, provocando l’assalto dei manifestanti all’ambasciata francese. Successivamente, ha rivendicato il diritto a cercare nuovi alleati per la lotta al terrorismo, recandosi dunque a Mosca per incontrare il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov.
Il Burkina Faso sta seguendo le orme del vicino Mali, tra golpe e cacciata delle truppe francesi dal proprio territorio. Il 17 febbraio scorso, il presidente Emmanuel Macron ha infatti annunciato il ritiro delle truppe francesi dal Mali. Tre settimane prima, i militari maliani (al potere dal 2020) avevano “invitato”, con 72 ore di preavviso, l’ambasciatore francese a lasciare il Paese. La decisione era giunta a furor di popolo, al culmine di settimane di mobilitazioni oceaniche contro l’ex colonizzatore. A sgretolare il rapporto tra i due Paesi è stata poi la scelta del governo militare maliano di dispiegare nel proprio territorio i mercenari russi del gruppo Wagner.
Le truppe francesi erano in Mali dal 2013. Inizialmente su richiesta del governo locale, che si rivolse a Parigi per contrastare i ribelli Tuareg e i gruppi armati legati ad al-Qaeda che, dopo aver conquistato le regioni del nord, stavano marciando sulla capitale Bamako. Si sono susseguite così diverse operazioni, alcune di queste con il supporto di altre nazioni e delle Nazioni Unite (come l’operazione MINUSMA). Nonostante la presenza massiccia di truppe, le potenze europee e internazionali hanno avuto scarso successo in Mali e, in generale, nella regione del Sahel, non riuscendo a limitare insicurezza e terrorismo. Tali risultati si sono tradotti sul piano sociale in un progressivo aumento del malcontento popolare e della sfiducia nella presenza europea, in particolare quella francese a causa del suo passato coloniale nella regione.
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