Lucio Dalla: funambolico, trasformista, inarrivabile

Lucio Dalla: funambolico, trasformista, inarrivabile

L’ottantesimo della nascita e il decennale della scomparsa hanno riportato il cantautore al centro dell’attenzione. Complice anche una splendida mostra itinerante


Michele Ferrario
Michele Ferrario
Lucio Dalla: funambolico, trasformista,...


Cantautore? Certo, ma non solo. Anzi, inizialmente nemmeno questo: i testi dei 3 album più politici e militanti, pubblicati tra il 1973 e il 1976, in cui si parla di lavoro, alienazione, delinquenza minorile, ambiente, sud, sono di Roberto Roversi, poeta, libraio e intellettuale, bolognese anch’egli. 

Nel 1971 Dalla esce con il suo terzo LP, il primo di qualche successo commerciale: si intitola Storie di casa mia e comprende 11 canzoni: la notissima 4/3/1943 (nel titolo la data di nascita di Dalla, ma anche il giorno del suo funerale) e Itaca, il cui protagonista non è Ulisse, che in ogni porto trova una principessa pronta ad accoglierlo, bensì i suoi soldati e marinai che chiedono soltanto di tornare finalmente a casa. Un brano del quale esistono varie letture e varie interpretazioni, ma che ogni Naufrago dovrebbe avere a cuore. 

Dopo il Dalla politico e impegnato ecco, nel giro di pochissimi anni, la svolta pop. Lucio Dalla (1979) e Dalla (1980) sono due album memorabili, in cui musica, parole, interpretazione raggiungono livelli altissimi, uno stato di grazia. Perle che hanno accompagnato me e i miei coetanei durante la scuola reclute, i corsi di ripetizione, i primi anni di università: 17 canzoni perfette, immancabili, molte delle quali (Anna e Marco, Balla balla ballerino, Futura, L’anno che verrà) reinterpretate ininterrottamente in ogni concerto, fino all’ultimo, la sera di mercoledì 29 febbraio 2012 all’Auditorium Stravinski di Montreux, ultima tappa di una 3 giorni svizzera che aveva toccato anche Lucerna e Zurigo.

Al percorso artistico di Lucio Dalla è dedicata una bella mostra itinerante, visitabile attualmente e fino al 5 novembre a Pesaro (particolarmente spettacolare una delle due sedi, il Centro Arti Visive Pescheria, negli spazi dell’ottocentesco mercato del pesce) e interamente basata su materiali della Fondazione Dalla di Bologna. In questo senso, chi non potrà recarsi sulla Costa Adriatica, potrà comunque rifarsi visitando, più avanti, la sua casa bolognese (via D’Azeglio 15, in pieno centro, a pochi passi da Piazza Maggiore, ma solo su prenotazione). Sul campanello accanto al portone figura ancora il Comm. Domenico Sputo, pseudonimo che Dalla usava nelle collaborazioni con altri cantanti, dagli Stadio a Ron a Luca Carboni. Al pianterreno, segno dei tempi, una boutique Nespresso sembra voler far durare il legame tra Lucio e la Svizzera ( con gli Angeli di Lugano, e con la RSI) ben oltre la sua morte. Qualcuno, non senza ragione, ha detto che quella casa sta a Lucio come il Vittoriale sta a d’Annunzio o la Casa Museo Mario Praz di Roma al grande critico, anglista e collezionista, morto nel 1982.

Il percorso espositivo di Lucio Dalla. Anche se il tempo passa è ricco, completo, multimediale come lo richiede un uomo e un artista che ha nutrito di suoni, parole, collaborazioni d’ogni genere la propria esistenza. Moltissimi i documenti, i ritratti fotografici, le lettere scritte e ricevute da amici, colleghi e ammiratori (tra i quali anche Silvio Berlusconi, che lo definisce “il mio idolo”). Il mondo di Dalla (il suo amore per l’arte e il fumetto, di cui è attento collezionista; la passione per il calcio (Bologna), ma soprattutto per il basket (Virtus), mentre “della Formula Uno mi piace la partenza, poi dopo ho uno shock da noia terribile”) è aperto e trasversale quanto lui stesso è stato poliedrico: a 3 anni già si esibisce con una compagnia teatrale insieme alla di poco più vecchia di lui Piera Degli Esposti, compagna di scuola e amica di una vita. Canta, balla e suona prima la fisarmonica, poi il clarinetto, che mamma Jole gli regala. Autoironico: “Ero un bambino prodigio. Ero un comico fondamentale per la Compagnia Primavera d’arte. Poi, a 15 anni, ho smesso per motivi evidenti: non ero più né bambino né prodigio”. Si avvicina al musical americano e poi al jazz: “Bologna era all’avanguardia: nei primi anni Sessanta c’erano grandi musicisti che venivano qua, c’era Chet Baker, grandi jam session, e sembra che io ho imparato così. Poi sono diventato un cantante”. Decenni più tardi irrompono anche la lirica e il melodramma (“Potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso”: chi non conosce la sua canzone più nota e più venduta in assoluto, Caruso, del 1986?

La mostra è suddivisa per capitoli: al cinema Dalla è stato attore in una quindicina di film firmati, tra gli altri, dai fratelli Taviani, da Renato Castellani, dagli amici Pupi Avati (insieme suonavano il clarinetto nella stessa band) e Mimmo Paladino, autore di colonne sonore (sempre per Avati, ma anche per Monicelli, Antonioni, Enzo d’Alò e Carlo Verdone). 

A teatro è stato attore, voce narrante (in Pierino e il lupo, del 1996), autore, regista, direttore d’orchestra: l’esito più fortunato fu il musical Tosca (2003). 

C’è poi il Dalla personaggio televisivo, fisiognomicamente in grado di bucare lo schermo facendo perno su un repertorio canoro ormai vastissimo, ospite sempre più richiesto in contenitori nazional-popolari: accanto ad un altro grande amico, Gianni Morandi (C‘era una volta un ragazzo, del 1999) e a Sabrina Ferilli in La bella e la bestia, 5 prime serate, nel gennaio 2002, il sabato, su Raiuno.

Nelle sale della mostra sono documentati i rapporti – tutti di grande e fertile amicizia – con i colleghi: i conterranei Guccini, Morandi, Bertoli, Carboni, Bersani; ma anche la Vanoni, Pino Daniele, Paolo Conte, il comasco Marco Ferradini, i romani Gabriella Ferri, Baglioni, Venditti e, soprattutto, Francesco De Gregori: insieme compongono, nel 1974, Pablo e, nell’estate del 1979, con Banana Republic, riportano i grandi concerti negli stadi, disertati durante gli anni di piombo.

Tra le moltissime testimonianze del catalogo (Skira, 2023, 35 euro), scelgo quella di Vincenzo Mollica: “Lucio Dalla era multiforme nel corpo e nell’anima. Era il multiplo di sé stesso. Il suo genio artistico gli permetteva di essere chi voleva. Poteva essere uno e insieme una moltitudine. Al suo apparire, tutto intorno a lui diventava visionario, magico. Era come se a ogni passaggio lasciasse una scia fatta di emozioni. Lui era il quadro, tutto il resto era cornice”.

Una segnalazione, infine, doverosa, merita la recente serata speciale “Com’è profondo Lucio” che si è tenuta all’Auditorio Molo di Besso con la conduzione di Silvia Spiga e Gianluca Verga. La si può ritrovare nel sito RSI.

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