Plan B. Una discussione inutile?
Dopo una settimana dal dibattito in Consiglio Comunale sul progetto legato all’utilizzo pubblico delle criptovalute, alcune riflessioni legate anche agli echi della stampa - Di Danilo Baratti
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Dopo una settimana dal dibattito in Consiglio Comunale sul progetto legato all’utilizzo pubblico delle criptovalute, alcune riflessioni legate anche agli echi della stampa - Di Danilo Baratti
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Dopo una settimana dal dibattito in Consiglio Comunale sul progetto legato all’utilizzo pubblico delle criptovalute, alcune riflessioni legate anche agli echi della stampa - Di Danilo Baratti
La “discussione generale” del Consiglio comunale di Lugano intorno al Plan B, svoltasi lunedì 6 febbraio scorso, ha attirato (e in parte deluso) l’interesse della stampa. Parto dalla copertura data dai due giornali cartacei per tornare poi a certi aspetti della discussione. Riporto titoli e occhielli usciti l’indomani: «Plan B continua a dividere Lugano. Dalla discussione generale sono emerse critiche più o meno velate da parte di PS, Verdi e Centro, mentre UdC, Lega e Plr hanno lodato l’operazione del Municipio» (Alfonso Reggiani e Mirko Sebastiani sulla «Regione»); «Dibattito quasi assente ma avanti con il Plan B. Il Consiglio comunale aveva voluto la discussione generale sul tema delle criptovalute, ma i partiti hanno praticamente riconfermato le proprie posizioni. La frecciata di Foletti: “Di solito in queste situazioni il Legislativo se la suona e se la canta”» (Federico Storni sul «Corriere del Ticino»).
Messe insieme, queste poche parole in fondo già offrono una discreta sintesi. Più convergenti i commenti del giorno successivo, dove tornano espressioni simili: «È filata liscia come l’olio la discussione generale (…) forse un’occasione persa» (Reggiani), «Troppo poco. In quantità e in qualità. Ha il sapore dell’occasione sprecata la discussione generale sul tema del Plan B» (Storni). Si può concordare: nell’insieme il retrogusto è questo.
A determinare il risultato deludente c’è sicuramente, come è stato detto dai giornalisti, una diffusa difficoltà a padroneggiare l’argomento nei suoi risvolti tecnici e finanziari (per quanto mi riguarda, ho subito dichiarato di non volermi addentrare nella natura delle criptovalute e della tecnologia blockchain). Ma anche un certo disorientamento di fronte al concetto di “discussione generale”: a Lugano non ce n’erano mai state e la preoccupazione di evitare un caotico confronto senza costrutto ha portato a organizzare troppo il dibattito, con l’ordine rituale degli interventi di capigruppo o portavoce, dal piccolo al grande. Anche questo ha un po’ ingessato la discussione.
Tutto inutile quindi? La discussione non è servita a nulla e il sindaco ha «segnato un goal a porta vuota» uscendone rafforzato? Non direi. È vero che al suo intervento c’è stata una sola replica e poi la cosa è morta via così, come osserva Storni, ma ci sono almeno tre aspetti non irrilevanti da sottolineare. Lo faccio riprendendo anche alcuni passaggi dell’intervento fatto a nome dei Verdi (se poi qualcuno lo volesse leggere integralmente, lo può trovare qui).
Il primo è che il tema è stato portato dentro quella sala. Per iniziativa del Municipio non ci sarebbe entrato. «Il Consiglio comunale – che deve dire la sua, e giustamente, su un credito supplementare di 115 mila franchi per rendere carrozzabile un tratto pedonale – non è consultato su una scelta strategica e impegnativa come questa. E nemmeno su un passo, che potremmo chiamare di politica estera, come l’accordo con il Salvador. Il grado di informazione che riceviamo “di default” – fatte salve le risposte sollecitate da interrogazioni e interpellanze – è quello dei comunicati stampa del Municipio».
Con tutti i limiti che si possono riscontrare in quella discussione, l’averla fatta – l’averla imposta – è già un risultato. Si è detto che è stato «un dibattito con discorsi precotti» (Storni) in cui «certi gruppi politici hanno ribadito le proprie posizioni retoriche» (Reggiani). Sia pure, ma queste posizioni sono state portate in aula per la prima volta (e in verità non tutte erano già note, anche se si potevano immaginare). Certo, intanto il Plan B continua tranquillamente, ma la discussione in Consiglio comunale non aveva nessuna possibilità di modificare alcunché, visto che il legislativo per ora non ha voce in materia. Da questo punto di vista, SÌ, si può anche dire che la discussione sia stata inutile, ma questo già lo si sapeva.
La seconda è che molte domande sono rimaste senza risposta. Ne riprendo qualcuna delle mie. «È opportuno allearsi a una società di cui non si conosce la struttura proprietaria, che non è trasparente sui suoi mezzi propri, non ha un bilancio pubblico, non è soggetta a nessun organo di controllo e revisione, e che ha sede in un paradiso fiscale?» (…) «Prima di accogliere a braccia aperte questa collaborazione è stata fatta un’analisi accurata dei rischi, anche reputazionali? E da chi? Come è nata esattamente questa iniziativa: chi ha contattato chi? E quando? Si sono valutate altre opzioni, altri possibili partner, per lanciarsi come “capitale europea della blockchain”?»
(…) «Come è avvenuto l’avvicinamento tra Bukele e Lugano? Chi ha fatto da intermediario? Non è che la città di Lugano possa essere usata, e con lei di riflesso il “marchio” svizzero, come fiore all’occhiello o come foglia di fico per il disinvolto agire economico e politico di questo autocrate rampante?». Su tutto questo l’unica cosa detta del sindaco è che l’operazione, date le sue dimensioni, si poteva fare solo con Tether. Anche le risposte non date vanno considerate nella valutazione politica del dibattito.
La terza è che la discussione è continuata fuori dall’aula. Per esempio, con questo appunto di Federico Storni:
«Questa affermazione di Foletti, per esempio, non ha fatto alzare nemmeno un sopracciglio: “È chiaro che l’adozione del bitcoin in El Salvador non piace: le banche americane hanno perso 400 milioni di dollari all’anno in commissioni sui soldi che i salvadoregni espatriati hanno rimandato a casa”. Parlava a braccio, il sindaco, e forse si è spiegato male. Fatto sta che l’affermazione è come minimo fuorviante. Quattrocento sono i milioni che le società di servizi finanziari come Western Union (non le banche) potrebbero perdere se tutti i soldi degli expat tornassero in patria in bitcoin. È un grosso “se”, dato che nel primo anno di implementazione i soldi effettivamente versati in bitcoin sono stati fra l’1 e il 2% del totale. Per una perdita in commissioni che si situa quindi fra i 4 e gli 8 milioni. Non 400. Nessuno lunedì lo ha contestato, però».
È vero, nemmeno io che avevo pur letto gli articoli di Gianni Beretta su Naufraghi/e e sul «manifesto» (silenziosamente un sopracciglio l’ho alzato: mi ronzava nella testa quel 2%, ma non avevo gli altri riferimenti sottomano). Però lo ha poi contestato lo stesso Storni in altra sede, e tanto meglio.
Un’altra nota di Storni: «la tecnologia blockchain è stata praticamente plebiscitata dal Legislativo. Il suo sviluppo in città, per Lorenzo Beretta Piccoli (Il Centro), è “un possibile antidoto contro la fuga dei cervelli” e addirittura il socialista Carlo Zoppi ha detto che è “indubbio” che avrà un grande sviluppo in futuro. Non sono soli: anche diversi istituti finanziari tradizionali – alcuni sono peraltro coinvolti nel Plan B – stanno sperimentando questa tecnologia. Per alcuni è la parte sana del progetto della Città.
Ma anche la blockchain ha i suoi critici. Negli scorsi mesi 1.500 informatici, ingegneri del software e tecnologi hanno invitato alla prudenza. L’hanno definita “una soluzione in cerca di un problema” e non credono che possa avere un futuro, o che debba averlo (la presa di posizione si trova su concerned.tech, in inglese)».
Devo dire che anch’io sono rimasto un po’ sorpreso dall’assenza del minimo dubbio sulla tecnologia in sé. Ma solo un po’, considerato il generale abbaglio sulle «magnifiche sorti e progressive». Vedo però che venerdì 10 febbraio il PS cittadino ha inoltrato un’interrogazione (n. 1319) dal titolo «11 domande sull’accordo Lugano-Tether e sul Plan B»: la domanda 10, grazie all’imbeccata indiretta del «Corriere del Ticino», richiama proprio la posizione dei 1500 esperti.
Anche questo mostra che la discussione continua, dentro e fuori. Al di là di quel che è in grado di fare il Consiglio comunale, è importante creare una rete critica, una comunità vigile, che metta in circolo le informazioni utili a trasformare dubbi e preoccupazioni in un discorso più articolato e preciso. Anche Naufraghi/e ha portato vari contributi interessanti in questo senso.
Danilo Baratti è Consigliere comunale de I Verdi a Lugano
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