Car* collegh*,
asterischini per bene abiti adatti
a sembrare per quel che si può degli artisti
sempre vagamente alternativi allineati mai,
mi dite che non è più tempo questo
di politica, oppure che la politica adesso
sta nella lobby del libro, nella difesa
dei diritti (d’autore) e che davanti
ai quotidiani massacri è preferibile
la dignità del silenzio. Perdonatemi se non vedo
nessuna dignità in questo silenzio
tanto comodo, a poco prezzo dignitoso.
Così subìto, non detto. Si può dire
(si deve?) il silenzio? Non è questo
il compito di chi sceglie
la scrittura?
Vi scrivo da una cantina della storia,
un vecchio bunker trasformato in bilocale
minuscolo. Giungono qui i rumori
del mondo, gli indizi.
Gli indizi del mondo, quello distante
e l’altro, piccolo, in cui tutti viviamo: se in entrambi
una trama si tesse costante, di rapina
e violenza. Una menzogna
esibita come unica realtà.
Non anche di questo
dovremmo parlare? Non soprattutto
di questo? A modo nostro, obliquamente,
sempre parlando d’altro eppure ritornando
a questo sempre, alla cosa che attenta e va contro
la vita. Ma non sento le voci ora chiuse
e distratte. Perfette
nella loro rinuncia, che sottrae
chi potrebbe parlare al suo rischio,
all’imperfezione della parola davanti alla cosa.
L’imperfezione, l’errore, l’inesatto,
persino a volte l’ipocrita
dichiarazione con cui qualcuno credeva possibile
salvarsi l’anima e lavarsi la coscienza.
Certo. Ma oggi: meglio il silenzio? O l’entertainment?
Davvero? Ieri il ministro della guerra
del nostro neutralissimo Paese
chiedeva 32 miliardi per ammodernare
l’esercito. Ci sono domande, osservazioni, commenti?
Non vedo mani alzate, ragazzi. Va bene così,
dunque? Tutti allegri e contenti,
tutti impegnati a scrivere
libri di futuro improbabile successo
(quante copie vendute: 3000, 5000 se va bene?)
e al presente sussidiati dagli uffici
statali più o meno competenti?
Nessuna pecora nera, nessun ratto?
Conta qualcuno altrove invece i morti: altri numeri.
Gaza, più di 30.000 (forse più): soldati russi in Ucraina.
Nonsisaquantimila: in fondo al mare
o nei lager di Libia. Cifre in costante crescita, bestsellers.
Giorni fa, dentro il bar di un ospedale,
ho incontrato una donna che guidava il marito
nel suo Parkinson. Una coppia
di vecchi compagni, sulle spalle
il XX secolo. Mi ha chiesto, lei, di colpo:
dove sono finiti gli intellettuali? Cosa fanno,
dove vivono oggi? Ho saputo non ho saputo
risponderle. E certamente la domanda era sbagliata,
direte voi, non senza ragione. Ma da qui vi saluto,
da questo irragionevole dolore. Quello che vedo dalla mia finestra
non è un passato da rimpiangere. Un futuro, piuttosto,
molto incerto, da inventare. Le domande
le faccio tutte a me stesso, non temete. Quelle sbagliate,
le poche forse giuste. Sembrano uncini i punti di domanda
e come uncini lacerano la pelle del mondo vicino e lontano:
mi fanno compagnia. Li preferisco
agli asterischi, ai puntini
di sospensione un po’ patetici, al pantano.
Non ho non mi aspetto risposte.
Nota dell’autore
La poesia nasce da una serie di discussioni nate in seno all’A*ds (Associazione delle scrittrici e degli scrittori svizzeri) negli scorsi mesi. Tutto è partito verso la fine di ottobre, quando la Presidenza A*ds informava i suoi membri di non avere nessuna intenzione di assumere una posizione politica circa la situazione nel Medio Oriente, cosa che, si evinceva dal testo, alcuni membri A*ds aveva invece chiesto. È probabile che il punto di partenza fosse però la decisione della Buchmesse di Francoforte di non consegnare il premio già deciso e assegnato alla scrittrice palestinese Adania Shibli subito dopo l’attacco atroce di Hamas, subordinando così, ancora una volta, le ragioni della letteratura e dell’arte alle irragioni della politica.
Ma per me ovviamente il discorso è molto più vasto e riguarda l’assenza di una riflessione e di un dibattito di natura politica e politico-culturale in seno all’Associazione, che ormai si occupa quasi esclusivamente di aspetti tecnici legati al libro, ai diritti d’autore, e a cose del genere. Nell’articolo 2 degli statuti si legge tra l’altro:
L’A*dS s’impegna nella difesa delle diversità culturali, è contro la strumentalizzazione della cultura e incoraggia la creazione letteraria. Difende inoltre la libertà d’espressione e il rispetto dei diritti dell’uomo anche nell’ambito internazionale. Sostiene gli sforzi destinati al progresso delle libertà culturali, politiche e del diritto dei cittadini del nostro paese. S’impegna a contribuire all’edificazione di una società solidale.
Mi sembra che queste parole siano ormai da tempo lettera morta; e ha sicuramente molta ragione chi osserva che l’A*ds fa quello che i suoi membri le chiedono (o non le chiedono) di fare; è infatti verosimile che per molti dei più di mille autori soci di questa Associazione la preoccupazione di natura politica e civile sia minima, se non addirittura inesistente. Molti membri dell’A*ds vogliono probabilmente essere soltanto tutelati in quanto scrittori, a proposito di diritti d’autore, minacce che provengono dall’intelligenza artificiale, e via discorrendo; e non credono che l’A*ds in particolare, e la letteratura in generale, debbano interessarsi troppo di politica.
Dunque, il problema riguarda secondo me il ruolo della letteratura in Svizzera, e ciò che la letteratura vuole o non vuole, può o non può essere. Una trentina di anni or sono Moritz Leuenberger, che allora doveva essere Presidente del Consiglio Federale, aveva invitato gli scrittori svizzeri a essere costantemente e coraggiosamente critici nei confronti del potere. Mi sembra che oggi lo Zeitgeist sia profondamente diverso, sia dal punto di vista del potere politico sia, purtroppo, da quello degli scrittori.
Non si tratta dunque soltanto dell’impegno o del disimpegno individuale di questo o di quello scrittore svizzero; né personalmente auspico delle generiche “prese di posizione” su argomenti di natura politica, bensì una riflessione e un dibattito sul senso stesso dell’attività letteraria, e sulla responsabilità che un’associazione mantello degli scrittori svizzeri intende o non intende assumere.
Visto che i tentativi di innescare un dibattito su questi argomenti, portati avanti nei mesi autunnali del 2023, non sembrano aver sortito alcun effetto, ho deciso di rassegnare le mie dimissioni dall’A*ds.