La Svizzera confisca un conto al Principe del narcotraffico
Una vicenda giudiziaria che potrebbe aprire un nuovo capitolo nella lotta contro il denaro sporco
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Una vicenda giudiziaria che potrebbe aprire un nuovo capitolo nella lotta contro il denaro sporco
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Una vicenda giudiziaria che potrebbe aprire un nuovo capitolo nella lotta contro il denaro sporco
Dal carcere sardo dove è detenuto dal 2013, Massimiliano Avesani, detto “il Principe”, ha scritto un libro che ha vinto il premio letterario Castelli. Il romanzo racconta la storia di un giovane traduttore incaricato di lavorare alla biografia di un famoso trafficante colombiano. Quest’opera di finzione ha collegamenti con il passato criminale dell’autore. Un passato che la giustizia elvetica ha recentemente deciso di riesaminare.
I guai di Massimiliano Avesani in Svizzera sono iniziati nel 2020, quando il Lussemburgo ha segnalato a Berna un conto aperto nel 1996 a nome della moglie. A seguito della chiusura della banca lussemburghese che lo ospitava, il conto è stato trasferito a Ginevra nel 2019. Da qui la segnalazione del Granducato. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha quindi avviato una procedura di confisca indipendente. Questa prassi consente di confiscare i beni al di fuori di un procedimento penale, a condizione che i fondi appartengano a un’organizzazione criminale.
Le informazioni sono contenute in due sentenze recenti del Tribunale penale federale (TPF). Attraverso due ricorsi, la moglie di Massimiliano Avesani ha cercato di opporsi alla confisca decisa dal Procuratore federale Sergio Mastroianni, responsabile dei casi legati alla criminalità organizzata italiana. Non ha avuto successo.
Va detto che il marito ha una lunga fedina penale. In un video realizzato mentre era in carcere, l’uomo spiega come è diventato un trafficante, attività che lo ha portato a una condanna a vent’anni di carcere nel 2006. È stato condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Sebbene la pena sia stata ridotta di due anni in appello, Massimiliano Avesani non è riuscito a farla annullare dalla Corte di Cassazione. Quando, nel 2011, il suo ricorso è stato respinto, l’uomo si è dato alla fuga prima di essere definitivamente arrestato a Roma due anni dopo.
Roberto Saviano ha raccontato nel suo libro inchiesta ZeroZeroZero come, da Malaga, grazie a collegamenti esclusivi nella malavita internazionale, dal Marocco al Venezuela passando per la Spagna, Massimiliano Avesani si procurasse enormi quantità di cocaina per la ‘ndrangheta. Il Principe era un broker del traffico di hashish dal Marocco e di cocaina dal Sudamerica. Era una sorta di personaggio di collegamento fra la storica malavita romana e la ‘ndrangheta, in particolare la cosca Parrello di Palmi. L’uomo è stato molto attivo in Spagna, nella Costa del Sol, dove è stato anche accusato dell’omicidio, nel 2003, del narcotrafficante Rafael Castilla Lajiara.
Sulla base di precedenti sentenze italiane, i giudici svizzeri hanno convalidato l’appartenenza di Massimiliano Avesani a un’organizzazione criminale “articolata e complessa”, di cui era leader. Si tratta di una criminalità organizzata di “alto livello”, “difficile da infiltrare”, impegnata in “traffici transnazionali molto importanti”. Il Principe era attivo in un contesto tipico della criminalità organizzata in cui si sono verificati eventi che hanno portato alla morte violenta di diverse persone. “Crimini spregevoli” per mantenere la supremazia nella gestione del mercato della droga in un’area strategica come la Costa del Sol spagnola. Per questo, l’uomo era ricercato anche dalla Spagna e nel Principato di Monaco, dove è stato condannato in contumacia per riciclaggio di denaro.
La moglie di Avesani si è opposta alla confisca sostenendo che i beni depositati sul suo conto appartengono a lei e che non ci sono prove dell’origine illecita dei fondi. Questa argomentazione non ha convinto i giudici, che hanno ritenuto che questo denaro sia stato “per diversi anni a disposizione di Avesani e quindi dell’organizzazione criminale, nel periodo in cui ha partecipato a questa organizzazione, essendone addirittura il capo”. La confisca è quindi confermata.
La decisione della Procura federale, avallata dal TPF, conferma la capacità della Svizzera di utilizzare l’arma della confisca. Questo caso potrebbe servire da esempio, dato che il nuovo procuratore generale Stefan Blättler ha ripetutamente affermato che la lotta al denaro sporco fa parte della strategia svizzera per combattere le organizzazioni criminali. Peccato solo che, contattata, la Procura federale non abbia voluto sbilanciarsi sull’importo totale confiscato. L’avvocato della donna non ha risposto ai nostri messaggi.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente in lingua francese nel sito svizzero di inchieste “Gotham City”
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