Manager svizzero a processo in Svezia
Un dirigente del gruppo petrolifero Lundin è accusato di complicità in crimini di guerra avvenuti in Sudan
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Un dirigente del gruppo petrolifero Lundin è accusato di complicità in crimini di guerra avvenuti in Sudan
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Un dirigente del gruppo petrolifero Lundin è accusato di complicità in crimini di guerra avvenuti in Sudan
Si è aperto in Svezia il processo contro due ex dirigenti della società petrolifera Lundin Energy (oggi Orrön Energy). L’ex presidente e azionista di maggioranza Ian Lundin e l’ex amministratore delegato, lo svizzero Alex Schneiter, sono accusati di “complicità in crimini di guerra” in Sudan tra il 1999 e il 2003. Entrambi basati in Svizzera, i due avrebbero chiuso un occhio sulle azioni del regime di Omar Bechir per assicurarsi l’accesso ad un giacimento di petrolio. Le decisioni incriminate presenti nell’atto d’accusa sono state tutte prese a Ginevra. Secondo le parti civili, le esplorazioni petrolifere effettuate dal gruppo Lundin nel Sudan meridionale alla fine degli anni novanta hanno scatenato una guerra civile che ha causato migliaia di morti, lo sfollamento forzato di quasi 200.000 persone e numerosi casi di stupro e tortura. I due top manager sono i primi dirigenti d’azienda a essere processati con l’accusa di complicità in una flagrante violazione del diritto internazionale dal 1945.
Questo processo, che con 220 giorni di udienze previste sarà il più lungo della storia svedese, potrebbe anche avere una dimensione internazionale: se si concludesse con una condanna per complicità in crimini di guerra, invierebbe un chiaro segnale agli attori economici che operano in zone di guerra e costituirebbe un precedente per i procuratori e i giudici che si occupano di casi simili, anche in Svizzera.
In questi mesi la lotta contro i peggiori crimini umani nella Confederazione sembra avere preso il turbo. Condanne, rinvii a giudizio, e prossimi processi: l’elenco di buone notizie in questo 2023 è sostanzioso. Lo scorso mese di giugno la Corte d’Appello del Tribunale penale federale ha condannato a vent’anni per crimini contro l’umanità l’ex comandante ribelle liberiano Alieu Kosiah. Nel frattempo, pochi giorni fa, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha rinviato a giudizio l’ex ministro della difesa e generale algerino Khaled Nezzar, accusato di aver violato il diritto internazionale bellico e di aver commesso crimini contro l’umanità tra il 1992 e il 1994 nel contesto della guerra civile in Algeria. Nezzar sarà il più alto funzionario militare mai processato al mondo per tali crimini sulla base della giurisdizione universale che permette agli Stati di indagare coloro che sono sospettati di aver commesso crimini internazionali, indipendentemente dal luogo in cui sono stati commessi e dalla nazionalità dei sospetti e delle vittime.
Sempre di recente è stato reso noto il fatto che la Procura federale ha emesso un mandato d’arresto internazionale nei confronti dell’ex vicepresidente siriano Rifaat al-Assad. L’uomo è sotto indagine in Svizzera per il suo presunto ruolo nei massicci crimini di guerra commessi nella città di Hama nel 1982.
In primavera, l’MPC aveva poi promosso l’accusa nei confronti dell’ex ministro dell’interno del Gambia, Ousman Sonko. L’uomo è accusato di crimini contro l’umanità per aver sostenuto e partecipato alle politiche repressive messe in atto dall’ex presidente Yahya Jammeh. Infine, occorre segnalare che il prossimo 19 e 20 settembre, comparirà davanti a un tribunale penale di San Gallo Yuri Harauski, ex membro dell’Unità speciale di intervento rapido (SOBR) del presidente bielorusso Aliaksandr Lukashenko. Yuri Harauski dovrà rispondere della sparizione forzata di tre oppositori politici in Bielorussia nel 1999.
Questo susseguirsi di fatti durante il 2023 segna sicuramente un cambio di passo della giustizia svizzera. Per la lentezza delle inchieste e la maniera con la quale sono condotte, la Confederazione è stata in passato parecchio criticata dalle ONG attive in questo ambito. Ma non solo: due commissari speciali del Consiglio dei diritti umani della Nazioni Unite hanno interpellato il Consiglio federale su «l’apparente mancanza di volontà politica della Svizzera di indagare sui crimini internazionali» denunciando anche «ingerenze politiche». Certo, alcuni casi sono complessi, lontani nel tempo e rischiano di intralciare alcune relazioni diplomatiche. Lo si è visto di recente: dopo la notizia del deferimento di Khaled Nezzar, l’Algeria ha preso subito posizione, giudicando “inammissibile” il futuro processo nei confronti del suo ex ministro. Perseguire Rifaat al-Assad, zio del presidente e dittatore siriano Bachar al-Assad, significa mettersi in una situazione complessa con la Siria. Ma la giustizia svizzera deve fare il suo corso, indipendentemente dalla politica e dalla real politik diplomatica.
L’attuale procuratore federale Stephan Blättler ha messo il perseguimento dei crimini internazionale tra i suoi quattro pilastri e sembra avere operato una rottura rispetto all’era Michael Lauber. Sotto la conduzione di quest’ultimo, infatti, la Procura federale non ha certo messo tra le priorità il perseguimento di questi crimini. Anche le ONG attive in questo ambito, come Civitas Maxima o Trial International, hanno apprezzato il cambiamento di atteggiamento di Blättler rispetto al suo predecessore. Anche perché sembra esserci, almeno a parole, la volontà di esaminare anche il ruolo degli attori svizzeri nel saccheggio delle materie prime in contesti bellici. Tra le procedure aperte vi sono quella che riguarda un’impresa di Zugo che avrebbe venduto del petrolio ad un gruppo armato in Libia e quella che concerne un uomo d’affari svizzero attivo nel settore minerario in Congo. In questo senso, quanto succederà in Svezia durante il processo Lundin potrà essere molto importante.
Articolo scritto per “areaonline”
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