Minuscoli organismi, ombre seguaci, segni di idee e cose

Minuscoli organismi, ombre seguaci, segni di idee e cose

Vita e storia delle parole in un affascinante volume curato da Giuseppe Antonelli pubblicato recentemente


Paolo Di Stefano
Paolo Di Stefano
Minuscoli organismi, ombre seguaci, segni di...

Le parole hanno una vita avventurosa. Spesso avvincente. Ogni parola, in qualche modo, è un romanzo al pari di ogni vita umana. Se non ci credete, leggete il libro curato da Giuseppe Antonelli, La vita delle parole (il Mulino). Il volume, così cospicuo (785 pagine), si articola in due parti: Le parole e la storia e Le parole e la società, equamente divise in 9 capitoli per ciascuna. Sono dunque 18 contributi di 19 diversi linguisti, oltre allo stesso Antonelli, che è il ventesimo, anzi il primo di 20. E la cosa sorprendente è che il libro è così omogeneo che sembra scritto da un solo autore. Ciò non toglie che ogni saggio, nato per la collana Le parole dell’italiano, pubblicata in edicola con il «Corriere della Sera» tra il dicembre 2019 e il giugno 2020, abbia un suo carattere specifico che nell’insieme compone un’opera molto variegata e ricca. Talmente ricca che si presta a letture molteplici, sistematiche o capricciose (perché no, ad apertura di pagina), adatte a soddisfare anche la conoscenza e la curiosità del lettore comune, ignaro ma intelligente. A ciascuno il suo sentiero con il suo bel paesaggio di colori e di intrecci lessicali. 

La metafora biologica che ispira il libro è ben detta in un pensiero di Alfredo Panzini risalente al 1905 che Antonelli opportunamente ricorda nella Presentazione: «Mirabile invero è la vita che anima questi minuscoli organismi, cioè le parole, ombre seguaci, segni di idee e cose: recano in sé uno spirito di vita, paiono nuove e sono antiche, risorgono come Fenice dalla loro morte, nascono per connubio e per gemme, da bruchi divengono farfalle, hanno percorso strano e tortuoso viaggio, son peregrine lontane ovvero fiorirono al nostro sole, ma tutte rispondono a una filosofica legge e a una varia necessità; hanno un loro movimento, quasi orbita di moto, una loro vita, o molte volte secolare od effimera, vita solitaria, o mondana». Ciascuna parola ha una sua biografia. E mettendosi nei panni del lettore curioso di cui si diceva, proviamo a navigare qua e là gettando la rete 19 volte per verificare le sorprese di quella sorta di pesca miracolosa a cui si presta il libro di Antonelli. 

1. Accattativìllo
A proposito del recupero dei dialetti, in un documentario Rai del 1969, una signora torinese esprimeva il proprio fastidio evocando il film con Sophia Loren C’era una volta: «Io non ho capito assolutamente niente, sa cosa vuol dire? Sono venuta via disgustata». 1992: nello spot pubblicitario di un prosciutto la stessa Loren si siede a tavola e dice: «Accattativìllo», in napoletano «comperatevelo». E nel 1996 lo stesso slogan in dialetto viene cantato dai milanesissimi Articolo 31 in Tranqui funky. Basti per dire che la morte annunciata delle parlate locali in realtà non è avvenuta nei termini catastrofici previsti da Pier Paolo Pasolini (lo ricorda lo stesso Antonelli).
Guarda lo spot con Sofia Loren 

2. Ragazza
Nel Due-Trecento si diceva abitualmente fanciullo e non bambino. Il maschile ragazzo voleva dire «mozzo di stalla, garzone». Il significato moderno si sviluppa solo dalla seconda metà del Cinquecento. Ragazza si diffonde un po’ più in là come «giovane donna impiegata in mestieri umili» (un tempo fante o fantesca) e poi pure come «donna non sposata». Tipica domanda: «Qual è il suo cognome da ragazza?». (Ce lo racconta Serianni)

3. Barzelletta
Massimo disaccordo sull’etimologia. Qualcuno ipotizzò inspiegabilmente che derivasse da una forma femminile di bargello «ufficiale di polizia». Altri misero in campo la voce settentrionale barzella «bariletto»: immaginando una cantata allegra dopo il pranzo quando si spilla il vino. Altri ancora ricorsero fantasiosamente al cinquecentesco balzeretta da balzare (ballare). In realtà, l’accezione poetico-musicale trova maggiore coerenza pensando alla derivazione dal francese quattrocentesco bargerette «pastorella», che è un tipo di lirica provenzale. (Il saggio è firmato da Alessandro Parenti).

4. Desco
Il latino discus indicava, oltre al disco, anche il vassoio rotondo su cui si mangiava: da qui desco. Ma alzi la mano chi avrebbe mai immaginato che la stessa parola è all’origine del tedesco Tisch (tavola, mensa) e dell’inglese dish (piatto). (Ce lo spiega Alessio Ricci nel capitolo sui latinismi).

5. Allegra catastrofe
La parola greca katastrophé non è presente nel lessico tecnico-teatrale di Aristotele, mentre si trova nei grammatici latini del IV secolo a indicare soprattutto l’esito comico e finisce per capovolgersi, designando il finale tragico, solo a partire dal Quattrocento. Da qui lo sviluppo verso l’attuale accezione di «disastro, rovina». (I grecismi sono materia di Michele Napolitano).

6. La film
Gli anglicismi pongono una questione cruciale: il dilemma del genere, dato che in inglese la distinzione non è indicata. L’italiano è maschilista, e solo nel 30% dei casi opta per il femminile, ma alcune parole hanno oscillato nel tempo: per esempio film e party in origine erano femminili. (Il capitolo è firmato da Riccardo Gualdo). 

7. Scusate il francesismo
È detto per attenuare con ironia l’effetto di un’espressione volgare. Sapete perché? Già all’inizio del secolo scorso, ma soprattutto a partire dagli anni Trenta, con il purismo imposto dal regime, si tendeva a scusarsi per l’uso di un termine straniero (lo scrive Roberta Cella).

8. Cioccolato
Lo spagnolo, ci insegna Federico Milone, può essere una lingua di passaggio e portare nell’italiano echi di lingue esotiche: per esempio il chocolate, da cui il nostro cioccolato, proviene niente meno che dall’azteco chocolatl. 

9. Formaggio in azione
Ci sono parole dal significato strambo nell’italiano elvetico: per esempio azione, derivato dal tedesco Aktion, significa «offerta speciale, promozione, sconto». Trovare il «formaggio in azione» in un supermercato di Lugano non deve spaventare. (Leggete Sergio Lubello sui germanismi).

10. Madretta
Contro le parole esotiche nelle insegne tuonava nel 1923 il «Corriere» già fascistizzato. Al posto di nurse si consigliava madretta, puericure, vicemadre, vigilatrice. (Sugli esotismi Marco Mancini).

11. Macedonie
Ci sono termini che nascono da voci preesistenti. Per esempio, le cosiddette «parole-macedonia», espressione inventata dal grande linguista Bruno Migliorini con connotazione ironica: «Una o più parole maciullate sono messe insieme con una parola intatta». Il caso più diffuso ai nostri giorni è: apericena. (Sulla formazione delle parole, Maria Silvia Rati).

12. Monnezza
Che l’Italia sia un Paese multicentrico, lo dimostra anche il vocabolario: il nome della spazzatura è, come scrive Marcello Aprile, «un altro paradiso della geosinonimia» (cioè delle varianti regionali di sinonimi): spórco (a Bergamo), monnezza (a Roma e nel Meridione), rusco (in Emilia-Romagna), scoasse (a Venezia), sudicio (in Toscana), rumenta (in Liguria e parte del Piemonte), àliga (a Cagliari).

13. Cretino
Con gli specialismi o linguaggi settoriali non si finirebbe mai (ne scrive Stefano Telve). C’è oggi la cretineria o la cretinata, c’era una volta il cretinismo, con cui già a fine Settecento veniva definita una grave infermità, ovvero un ritardo dello sviluppo (magari con gozzo), come attestato da un trattato dell’anatomista piemontese Vincenzo Malacarne. La vera sorpresa è che il nostro cretino (con valore di «stupido» e simili) proviene dal greco christianós attraverso il latino christianus e il francese crétin, che una volta perso il senso religioso originario comincia ad assumere quello dispregiativo di «povero cristo, poveraccio».

14. Mezzorado
Sapete che cos’è il mezzorado? È lo yogurt casalingo che il prof. Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginzburg, aveva imparato a fare durante il suo soggiorno sardo. Tipica parola da lessico famigliare, come tante altre espressioni esclusive del clan domestico. Quando il padre di Natalia aspettava la visita di un collega, chiedeva alla moglie Lidia se aveva preparato un po’ di trattamento, ovvero una merenda a base di tè e biscotti. Tutti noi abbiamo un lessico privato più o meno fantasioso che ci rende riconoscibili a noi stessi. (Il capitolo è affidato a Rita Fresu).

15. Tangenziale
Quanti modi di dire usiamo senza bisogno di spiegarne il significato? Tantissime quelle formate con l’acqua: avere l’acqua alla gola, fare un buco nell’acqua, essere come il diavolo e l’acqua santa, essere un pesce fuor d’acqua, scoprire l’acqua calda… Le frasi idiomatiche vanno usate sempre con cautela, avverte Lucilla Pizzoli, perché è sempre facile «partire per la tangenziale…», cioè cadere nello strafalcione ridicolo.

16. Scarrafone
Ci sono parole che pur essendo usate da tempo a livello nazionale non hanno mai perso la particolare sfumatura espressiva regionale (nella fattispecie, napoletana). E ci sono parole prive di specificità fonetiche la cui provenienza è indubbia per altri motivi: vedi alle voci cassata e gondola. (Su dialettalismi e regionalismi, Nicola De Blasi). 

17. Strucibalda
«Potremmo metterla così: dove c’è un gruppo stabile, molto presto si forma un gergo», scrive Gianluca Lauta. Le esperienze condivise dai giovani presto generano un gergo. Due giovanilismi storici mai tramontati: secchione e bocciare. Di altri, usati rispettivamente negli anni Cinquanta, Sessanta, Ottanta, non c’è più traccia: zampare («camminare»), strucibalda («ragazza sfacciata»), cantinare («seccare, infastidire»). Esempio indimenticato di grammelot adulto: è la supercazzola di Tognazzi & co. 

18. Frocio
Le male parole continuano a esistere nonostante il politicamente corretto. Pietro Trifone, esperto dell’epiteto scurrile, ci spiega come dal romanesco parlà frocio, cioè «parlare straniero», si arriva all’accezione odierna, passando da ipotesi varie come l’equivalenza tra froscio e «tedesco» (frequente nei sonetti di Giuseppe Gioachino Belli) o la derivazione da frosce, «froge, narici» (frocio sarebbe lo straniero del Nord individuato come «uomo dalle narici grosse»). Più probabile l’origine da floscio riferito alla pronuncia francese della erre (moscia). 

19. Fognicolo
Infine, arrivarono gli scrittori con le loro invenzioni verbali: il capitolo di Davide Colussi e Paolo Zublena è una eccitante gimcana tra Gianni Brera, Dante, Galileo Galilei, Cesare Lombroso, Gabriele d’Annunzio, Carlo Dossi, Carlo Emilio Gadda, tra Eupalla, velivolo, tramezzino, mattoide, catenaccio, fognicolo, cannocchiale… E qui si capisce al meglio quanto questo libro possa essere aperto con spirito ludico. La vita è anche un supremo sublime divertente gioco di parole.

Articolo scritto per il Corriere della Sera

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