La polvere della farfalla
Un testo di Antonio Tabucchi per ricordare Marilyn Monroe, a sessant’anni dalla scomparsa
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Un testo di Antonio Tabucchi per ricordare Marilyn Monroe, a sessant’anni dalla scomparsa
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Un testo di Antonio Tabucchi per ricordare Marilyn Monroe, a sessant’anni dalla scomparsa
Nella notte fra il 4 e il 5 agosto 1962 viene trovato esanime, nella casa di Brentwood (Los Angeles), il corpo di Marilyn Monroe. Si chiude in modo tragico, quella notte, un percorso biografico fatto di traumi, di sofferenze di un’attrice adulata ed insicura; un percorso costellato di sogni infiniti da parte di un pubblico che in tutto il mondo ne ha fatto, nel dopoguerra, una vera e proprio icona femminile. Di Marilyn Monroe, ovvero Norma Jeane Mortenson Baker, nata il 1 giugno del 1926, si sa tutto, eppure, per finire, si continua a ritenere che la sua vita e la sua figura rimangano un mistero. E non solo per le strane circostanze che ancora destano non pochi sospetti sulla sua morte, ma anche per l’ineffabilità che sempre ha avvolto e nutrito una ragazza e poi donna attratta dal glamour e dalla cultura e nello stesso tempo atterrita dalla paura di essere sempre e comunque inadeguata. Punteggiata da miriadi di fotografie che la ritraggono in studio come nell’intimità e segnata naturalmente da film in cui ha completamente catturato la scena ed il pubblico con quel suo misto di procace ed ingenuo, la parabola di Marilyn rimane una sorta di volo, troppo breve, di una farfalla in un giorno d’estate pieno di nostalgia, come ce la raccontano le parole dello scrittore Antonio Tabucchi nell’introduzione ad un volume, “Fragments”, pubblicato da Feltrinelli, che della Monroe raccoglie appunti, testi poetici ed epistolari ritrovati dopo la sua scomparsa.
Ne proponiamo qui, per l’occasione un breve estratto. (red.)
Se fosse un film sarebbe un flashback. Si vedrebbe una bambina dal viso dolce e dagli occhi grandi che si chiama Norma Jeane, indossa una calzamaglia con due alucce trasparenti sulle spalle che la fa sembrare una creatura uscita dal mondo di Peter Pan, cammina su un cavo teso in alto, molto in alto, come un’acrobata, con le braccia che fanno da bilanciere, avanza in precario equilibrio, eppure sembra sicura di sé, con la sicurezza inconsapevole dei sonnambuli. Ma non dorme, è ben sveglia; che strano, non è un cavo d’acciaio, l’obiettivo si avvicina, è un filo di seta che oscilla pericolosamente nell’aria. Come può un filo così sottile reggere una bambina sospesa nel vuoto?
La bambina guarda in basso, verso l’abisso. Da una parte c’è una casetta modesta a cui il misterioso regista del film ha fatto togliere il tetto affinché si possa vedere l’interno come nelle maquettes delle agenzie immobiliari. Dentro c’è una donna dall’aria disperata, indossa una vestaglia, ha una bottiglia di liquore sul comodino, il letto è disfatto, accanto a lei c’è un marinaio dall’aria rozza che ride, ma senza che si possa udire, e che tende le mani verso la bambina per afferrarla. Ha braccia mostruosamente lunghe, anzi, che si stanno allungando fino a sfiorare i piedi della bambina. Ma lei avanza senza paura e guarda dall’altra parte del filo, verso la parete di un grattacielo di New York; allora appoggia i gomiti nell’aria come se si affacciasse a un balcone. In fondo all’abisso, sul marciapiede di una strada percorsa dalle automobili, c’è una folla che la invoca con ampi gesti, la acclama, tende le braccia verso di lei, e tutte quelle braccia di tutta quella folla cominciano ad allungarsi mostruosamente fino a sfiorarle i piedi. La vogliono, la reclamano, urlano. Ma si vedono solo bocche spalancate, perché il film è muto e in bianco e nero. Da quale parte scendere?
A questo punto nel film irrompe una voce off. Viene dalla bambina, ma lei non apre bocca: dolce e un po’ nasale, infantile ma adulta, sembra implorare la vita di guidare i suoi passi.
Vita
Ho in me entrambe le tue direzioni
Restando come appesa all’ingiù
più spesso
ma forte come la tela di un ragno al
vento – esisto di più nella fredda brina scintillante.
Ma i miei raggi perlati hanno i colori che ho
visto in un quadro – ah vita ti hanno
imbrogliata
La voce off sta recitando una poesia di Marilyn Monroe. Non è più un flashback, è un flashforward. Non è più un film, è la vita vera, […] quella di un’altra Marilyn rispetto all’immagine che il cinema ha lasciato di lei: un’immagine in cui prevale, al di là di quella di registi come Huston o Hathaway che l’hanno chiamata per ruoli complessi come la sua personalità meritava, la figura di una bellissima donna bionda, all’occorrenza candida, o comunque dotata di un’intelligenza che non disturbi l’intelligenza maschile, una donna affascinante e nata con la funzione di sedurre gli uomini: la donna che ogni uomo sognerebbe di avere, soprattutto “quando la moglie è in vacanza”. […]
Come sarebbe stata la storia se Marilyn, invece di avere quella straordinaria bellezza che la rese celebre per il cinema, fosse stata una donna dall’aspetto comune? Avrebbe pubblicato in vita quello che noi leggiamo ora e probabilmente si sarebbe suicidata come si è suicidata Sylvia Plath. E forse si sarebbe detto che come Sylvia Plath si era suicidata perché era troppo sensibile e troppo intelligente, e le persone troppo sensibili e troppo intelligenti soffrono di più delle persone poco sensibili e poco intelligenti e tendenzialmente si suicidano (questo lo sostengono gli psichiatri e le statistiche). Se le persone scarsamente sensibili e intelligenti tendono a fare del male agli altri, le persone troppo sensibili e intelligenti tendono a fare del male a se stesse: chi è troppo sensibile e intelligente conosce i rischi che comporta la complessità di ciò che la vita sceglie per noi o ci consente di scegliere, è consapevole della pluralità di cui siamo fatti non solo con una natura doppia, ma tripla, quadrupla, con le mille ipotesi dell’esistenza.
Questo è il grande problema di coloro che sentono troppo e capiscono troppo: che potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga ad essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo.
Da A.Tabucchi, “La polvere della farfalla”, intr. al volume “Marilyn Monroe – Fragments”, Feltrinelli, 2010, pp. 11-12
Per Barbara Garlaschelli, di cui è appena uscito il nuovo libro “Sirena nel tempo che cambia”
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