Caro signor G
A vent’anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber - "Destra-Sinistra", di Erika Zippilli Ceppi
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A vent’anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber - "Destra-Sinistra", di Erika Zippilli Ceppi
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A vent’anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber - "Destra-Sinistra", di Erika Zippilli Ceppi
Caro Signor G,
il nostro è stato un incontro tardivo, preceduto da qualche “scontro” precoce. A lungo ti ho tenuto sullo scaffale, come si tiene un libro che interpella, ma di cui scorriamo solo un paio di capitoli a seconda di come girano i tempi e le lune, rinviando il tutto ad un futuro che immaginiamo al servizio di una maggiore ampiezza intuitiva.
Era il 1961 e stavo in collegio dalle suore. Tu sussurravi, voce suadente e chitarra avvincente “Non arrossire”, mentre noialtre educande si arrossiva al solo pensiero di arrossire, il Sessantotto essendo di là da venire! Oltretutto, alle stesse educande, era assai complicato immaginare come si potesse non “fare del male” lasciandosi andare. Insomma, diciamo che quello era il tempo delle emozioni semplici per te che le cantavi, intricate/intriganti per me che le ascoltavo, preferibilmente di nascosto.
Gli anni passano, le bimbe crescono, gli artisti cambiano. E così ti ritrovo a bordo di una fiammante “Torpedo blu”, doppiopetto scanzonato e sigaro in bocca, in attesa di una lei in elegante maxigonna. Difficile entrare in sintonia, il Sessantotto essendo frattanto divenuto realtà. Sono diversi i nostri sogni? Beh, anche se somiglianti, le strade per tentare di realizzarli mi appaiono quasi divergenti. La mia confluisce in quella sinistra extra, che occupa case popolari e organizza espropri proletari. Quella che si/mi vieta di simpatizzare con testi “borghesi”, ancorché ironici e accattivanti. Eppure anche tu vuoi e proponi un cambiamento. Ti so infatti in giro per il Paese col Teatro Canzone, di cui sei stato il geniale inventore. Confesso di trascurarti, seguo poco e male il tuo percorso teatrale, mai dal vivo, purtroppo. I tuoi monologhi urticanti contro l’omologazione culturale e la dabbenaggine dilagante mi arrivano filtrati dal piccolo schermo.
Fine anni Settanta. La nostra generazione che ha visto “le piazze gremite” ha perso. Entrambi abbiamo alle spalle un decennio esaltante/pensante/pesante: gli anni di piombo, il delitto Moro. Entusiasmi e sogni traditi. Davanti a noi ripensamenti e bilanci amari con cui fare i conti. I tuoi testi, lontani anni luce dai ritornelli scanzonati, sono impegnati e sferzanti, sollevano polemiche. Pochi ti capiscono, molti ti fischiano. Ma il decennio seguente vedrà il successo con le stagioni del “tutto esaurito”.
Anni Novanta, Tangentopoli sparge nuove illusioni. Ti sento dire: “Non ho paura di Berlusconi in sé, ho paura di Berlusconi in me.” Una battuta che inizia a lavorarmi dentro e inverte la rotta del mio modo di percepirti: forse per l’Italia è davvero una fortuna poter vantare un artista con la coscienza civile del signor G. Ascolto la ballata “Mi fa male il mondo”: un misto di delusione-sconforto, tuttavia non privo di speranza, poiché “mi fa bene comunque credere che la fiducia non sia mai scomparsa.”
Nel 1994 arriva “Destra-Sinistra” e sento che la cosa mi riguarda. Rilasci un’intervista: “Sono convinto che in questo momento la politica abbia poche possibilità di risolvere i nostri problemi e che esasperare i contrasti (tra destra e sinistra) non faccia bene al Paese. La canzone nasce per smontare questo dualismo violento e riportare tutto alle cose che riguardano la gente.” Sono perplessa. E che è? Una discutibile esemplificazione del disastro che inquina la politica? Un invito a rigettare l’obbligo di schierarsi? Una ventata di snobismo qualunquista? Dichiari: “Di quelli che mi diranno che sono un qualunquista non me ne frega niente”.
E che diamine! Da secoli “destra” e “sinistra” sono termini antitetici, una/o non può dirsi contemporaneamente di destra e di sinistra, sono e saranno sempre due parti in conflitto. Quale dualismo vorresti dunque smontare? “L’ideologia dove è andata non si sa, l’ideologia, malgrado tutto credo ancora che ci sia, è il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché, con la scusa di un contrasto che non c’è.” Caro signor G, l’albero delle ideologie non è forse un sempreverde? Ci rifletto. Può anche darsi che alla fine rinsecchisca, quando il tronco teorico cessa di spiegare il mondo. E proprio di fronte alla sempre maggiore indecifrabilità del mondo, pure io mi chiedo se le opposte sponde siano ancora realmente opposte o se invece vadano troppo spesso a sovrapporsi.
Tra il bianco e il nero s’incunea forse un intruso grigio? Destra-sinistra… Accidenti, dici che basta snocciolare un elenco di luoghi comuni per mettere in forse la possibilità di ancorare la sinistra a qualcosa di solido che ancora la distingua? Magari il tuo intento di giocoliere che lavora con le parole è un altro. Vuoi disegnare qualcosa di più vicino ad un’esperienza personale autentica. Il personale è politico e viceversa. Mi soccorre il tuo amico Jannacci: “Le parole definiscono il mondo, stanno ferme, invecchiano, perdono di senso, e noi continuiamo ad usarle senza accorgerci di parlare di niente.” Dunque per te il punto non è tanto l’ideologia in sé. Ciò che ti sta a cuore è l’importanza delle parole. Le parole che ingannano, una volta svuotate e/o private del loro significato originario. Vuoi mettermi in prima persona davanti al senso delle parole, compreso quello abusato e smarrito di Libertà. Vocabolo dal destino stravagante, bandiera della sinistra negli anni Sessanta e decenni dopo slogan della destra.
Oggi, mentre perdiamo pezzi e pretendiamo di tenere le cose sotto controllo, sosteniamo una guerra di cui non si può discutere se sia giusta o sbagliata, in quanto minaccia di un conflitto planetario. Ma ci hanno convinte/i che durerà poco e che in ogni caso al massacro ci vanno gli altri. Andiamo avanti, da un disastro all’altro, mai che ci si prenda una pausa per sedersi sull’argine del fiume e capire che butta davvero male. Capire tutto l’orrore che davvero sta nella parola Guerra. Capire che, alla fine, sono “I mostri che abbiamo dentro / che vivono in ogni mente / che nascono in ogni terra / inevitabilmente ci portano alla guerra.”
Ho tolto il libro del signor G dallo scaffale e l’ho concluso. Avverto affinità e ne sono contenta.
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