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• 23 Dicembre 2022 – Aldo Sofia

All’inizio dell’invasione russa la Casa Bianca propose a Volodymyr Zelensky di rifugiarsi negli Stati Uniti. “Non voglio un taxi per fuggire”, fu la risposta del presidente ucraino. Vladimir Putin, e molti altri, ritenevano che Kiev fosse condannata a cadere in poche ore, in un blitz che come minimo avrebbe imposto un governo fantoccio agli ordini del Cremlino, che infatti aveva chiesto ai suoi ufficiali di portarsi anche la divisa per la scontata parata dei vincitori lungo i viali della capitale conquistata. Esattamente trecento giorni dopo, con un aereo decollato nella notte dalla Polonia, e scortato per tutto il viaggio da caccia americani, Zelenski è atterrato a Washington da cittadino in guerra ma libero, grazie a quella che anche il filosofo pacifista Noam Chomsky, contrario alla politica americana e della Nato, ha definito ‘l’eroica lotta” di un popolo aggredito.

L’intero Congresso gli ha attribuito una corale standing ovation, democratici e repubblicani per una volta uniti, e già sul piano simbolico s’è trattato di un successo politico per Zelensky. Si sa che il principale timore del leader ucraino è stato, e forse ancora è, che il principale alleato e di gran lunga maggiore fornitore di armamenti a Kiev potesse allentare il suo appoggio dopo una eventuale sconfitta di Joe Biden nelle recenti Mid Term Elections: con la prospettiva di un ritorno al potere di Donald Trump, che all’inizio del conflitto definì “geniale” la decisione di Putin, al quale non ha mai risparmiato il suo pubblico (e ricambiato) apprezzamento. Anche qui, previsioni smentite. Biden non ha vinto ma nemmeno ha perso il test elettorale, soprattutto ha mantenuto la maggioranza al Senato, e non pochi candidati sponsorizzati dal ‘tycoon’ ci hanno lasciato le penne. Questo ha sicuramente reso più agevole la decisione della Casa Bianca di mettere a disposizione dell’Ucraina altri 45 miliardi di dollari (che si aggiungo al pacchetto di 40 miliardi già varato in maggio), e soprattutto i missili ‘Patriot’, ritenuti indispensabili per contrastare (abbattendo i missili nemici) i pesanti bombardamenti russi soprattutto contro centrali elettriche e abitazioni civili, con cui Mosca vuole mettere in ginocchio la resistenza dell’Ucraina, paese indipendente che l’autocrate avrebbe voluto (ma ora non ne parla più) ripulire da “una banda di nazisti e drogati”.

A conferma, come è stato scritto, che “Zelensky ha le mani sul volante, ma è Biden a controllare freni e acceleratore”. Dunque, il primo viaggio all’estero del presidente ucraino in guerra non poteva che essere negli Usa. Dall’inizio dell’invasione (dati di fine novembre dell’ “Institute for the world economy”, con sede in Germania) gli Stati Uniti hanno stanziato armi per quasi 23 miliardi contro i 3 dell’Unione europea, i 4 della Gran Bretagna, i 2,4 della Germania, i 470 milioni della Francia e i 310 dell’Italia. Anche se è vero che, per sostegno umanitario ed economico, l’UE ha staccato un assegno di 52 miliardi di euro contro i 48 miliardi dell’America (ma prima dell’ultimo recentissimo pacchetto votato dal parlamento di Washington).

Cifre folli. Che continueranno a crescere, visto che non si riesce nemmeno a intravedere la possibilità di una tregua, tanto sono distanti e contrapposte le richieste delle parti per avviare una trattativa di pace: ‘ritiro militare russo dalle regioni annesse’ per Kiev (sostenuta dall’Occidente), ‘mantenimento per sempre degli Oblast finora conquistati’ per Mosca. Peggio di un vicolo cieco. E se da una parte si ricorre ai Patriot, dall’altra si preannuncia il reclutamento complessivo di un milione e mezzo di soldati da inviare al fronte. In mezzo, un largo e insuperabile deserto negoziale.

E se c’è una constatazione amara sul ‘viaggio blindato’ del presidente ucraino è che l’occasione non sia minimamente servita ad aprire anche solo uno squarcio in questa impenetrabile cortina d’acciaio. Restano i canali comunicativi da tempo aperti, ma finora non risolutivi, fra Washington e Mosca. Davvero troppo poco per sperare nell’inizio della fine delle pretese di chi al Cremlino ha scatenato questo scenario infernale. E nemmeno è sicuro che il contemporaneo e brusco crollo del prezzo del gas sul mercato internazionale, ‘arma letale’ del presidente russo, possa indurre Putin a superare almeno in parte i suoi categorici ‘nyet’.






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