C’era una volta l’autogestione
È chiaro che la strategia del Comune era pronta da tempo: al primo pretesto cancellare, anche fisicamente, l’idea dell’autogestione da Lugano
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È chiaro che la strategia del Comune era pronta da tempo: al primo pretesto cancellare, anche fisicamente, l’idea dell’autogestione da Lugano
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È chiaro che la strategia del Comune era pronta da tempo: al primo pretesto cancellare, anche fisicamente, l’idea dell’autogestione da Lugano
Ieri, nel pomeriggio, e susseguentemente nella notte a Lugano è stata tritata, piuttosto che una o più persone fisiche, l’idea di autogestione. Un’idea e una prassi che Lugano e il Ticino conoscono concretamente da circa 25 anni, dalla metà degli anni Novanta data infatti la prima occupazione di uno stabile nella città sul Ceresio. Tra alti e bassi, quello che è poi stato denominato il centro sociale Il Molino ha svolto le sue attività per un quarto di secolo, osteggiato da una parte della politica e ben frequentato da una importante fetta della popolazione giovanile della città.
Ieri e stanotte, con un colpo di spugna (“Non tollereremo altre provocazioni” è il refrain “politico” di certuni), con una manovra che ai più è parsa preparata in anticipo, il Municipio neoeletto di Lugano ha dato via
L’intento, neppure malcelato, è stato quello di cancellare, anche fisicamente, l’idea dell’autogestione da Lugano eliminandone ogni traccia.
Ma andiamo con ordine: nel primo pomeriggio di ieri i “molinari” organizzano una pacifica (anche se non autorizzata) manifestazione in centro città. Tutto si svolge tranquillamente fino al momento in cui gli autogestiti inscenano un corteo che percorre la città dirigendosi, ohibò, non al sedime del Molino ma in via Vanoni, dove sorge un edificio da anni vuoto, un tempo un centro di aiuto per l’infanzia. Gli autogestiti “occupano” o piuttosto rivendicano quello spazio inutilizzato issando striscioni rivendicativi sulla struttura, mentre dall’altra parte del fiume comincia (la tempistica non è molto chiara) lo sgombero del sedime occupato, sgombero effettuato dalla polizia (anche quella romanda, giunta in forze in città) fondamentalmente per “vendetta municipale” visto che “non si tollereranno altre provocazioni”. La netta sensazione è che il Municipio, una volta votato lo sgombero agli sgoccioli della passata legislatura (con voto 4 a 3 a favore, ricordiamolo), abbia atteso – avendo preparato nei dettagli lo scenario dello sgombero – l’occasione buona per metterlo in atto.
Ieri sera e ieri notte ero presente sia in via Vanoni sia poi davanti all’ex centro occupato in via di demolizione. Il capo della polizia presente in via Vanoni mi ha pure consentito, accanto allo storico leader molinaro Teo Casellini, di tentare una mediazione con gli “occupanti” (occupanti più che altro della strada prospiciente all’edificio), mediazione che un paio d’ore dopo è scaturita, nella sostanziale calma (c’è stato, è vero, un isolato assalto delle forze dell’ordine ai “molinari” senza un’apparente ragione), con l’identificazione e l’abbandono del luogo da parte degli “occupanti”.
A due passi dal Cassarate andava invece in scena la vergognosa “istantanea” demolizione dell’edificio già occupato dai “molinari”: un rutilante assalto di ruspe e benne all’idea che, a Lugano e in Ticino, ci possa essere anche un modo alternativo di concepire la vita in società, lontano dai costosi biglietti d’ingresso e dai toni paludati di fare e fruire la cultura. I poliziotti romandi che “difendevano” la demolizione ci hanno risposto: “Vous savez a qui vous devez vous adresser” alla nostra domanda sul cosa e perché ci facessero lì in quel momento.
Sapremo pure a chi indirizzarci, nelle prossime settimane e mesi, quando sarà stata posta la domanda – perché la domanda si pone, checché ne pensi il vendicativo Municipio luganese – sul come, dove e quando le forze giovanili che hanno a cuore una socialità orizzontale invece che verticale potranno riunirsi per promuovere le loro attività; attività magari non coincidenti in tutto e per tutto con l’ideale (?) “cresci (economicamente) e non rivendica (politicamente)” che ha pervaso negli ultimi decenni quella parte della società e della politica che ama demolire gli spazi e le opportunità di chi ha un’idea diversa dalla loro o che, semplicemente, non ci crede.
Sergio Roic fa parte di AIDA (Associazione idea autogestione)
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