Combustibili fossili ed economia del clima alla COP 28
Il presidente della COP28 dice cose false e sbagliate, dentro un contesto in cui, per parlare di crisi climatica, dominano le lobby petrolifere
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Il presidente della COP28 dice cose false e sbagliate, dentro un contesto in cui, per parlare di crisi climatica, dominano le lobby petrolifere
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Il presidente della COP28 dice cose false e sbagliate, dentro un contesto in cui, per parlare di crisi climatica, dominano le lobby petrolifere
“Oltre ogni immaginazione”, “Farsesco”, “Menzogne”, “Quando si mette il Conte Dracula a capo della Banca del Sangue…”. Hanno suscitato un’ondata di riprovazione globale le affermazioni del presidente della COP28, Sultan Al Jaber, rese pubbliche dal Guardian e dal Centre for Climate Reporting domenica scorsa.
Due settimane fa nel corso di un incontro online, moderato da Mary Robinson, l’ex Presidente dell’Irlanda, ora importante sostenitrice della transizione ecologica, Al Jaber – che, oltre della Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima in corso a Dubai, è anche a capo di Adnoc, la compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi Uniti, e di Masdar, la società statale di energia rinnovabile – ha affermato che non esiste alcuna prova scientifica che dimostri che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili sia necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C al di sopra dei livelli preindustriali, e che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non consentirebbe uno sviluppo sostenibile a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne.
Parole che richiamano drammaticamente slogan propugnati da chi da decenni semina dubbi sul cambiamento climatico e cerca di logorare ai fianchi e sabotare la transizione ecologica necessaria per rallentare il riscaldamento globale ed evitare che si inneschi una serie di effetti a catena e vengano superati pericolosi punti di non ritorno.
Climatologi attivisti ed esperti di diritti umani sono intervenuti evidenziando la gravità delle parole del dirigente petrolifero emiratino e presidente della Conferenza sul clima di Dubai. Per Teresa Anderson, responsabile globale per la giustizia climatica di ActionAid International, le affermazioni di Al Jaber “avulse dalla realtà” vissuta da “centinaia di milioni di persone in prima linea nella catastrofe climatica”.
“È incredibilmente preoccupante e sorprendente sentire il presidente della COP28 difendere l’uso dei combustibili fossili. È innegabile che per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C dobbiamo tutti ridurre rapidamente le emissioni di carbonio ed eliminare gradualmente l’uso dei combustibili fossili entro il 2035. L’alternativa è un futuro ingestibile per l’umanità”, ha commentato il prof. Sir. David King, presidente del Climate Crisis Advisory Group ed ex consulente scientifico capo del Regno Unito Mohamed Adow, direttore di Power Shift Africa, ha invece sottolineato come i commenti di Al Jaber dimostrino “quanto lui sia radicato nella visione dei combustibili fossili e sia chiaramente determinato a far sì che questa COP non faccia nulla per danneggiare gli interessi dell’industria del petrolio e del gas”.
Nelle stesse ore in cui Guardian e Centre for Climate Research divulgavano le affermazioni di Al Jaber, veniva diffuso un rapporto, redatto da importanti scienziati del clima per Future Earth, Earth League e World Climate Research Programme, che va nella direzione esattamente opposta a quanto sostenuto dal presidente di COP28, dando la dimostrazione plastica della spaccatura tra comunità scientifica e organizzazione emiratina del vertice sul clima. Secondo il rapporto, la COP28 dovrebbe “compiere passi inequivocabili verso impegni chiari per un’eliminazione gestita di tutti i combustibili fossili”.
Lo scienziato del clima Michael Mann ha chiesto le immediate dimissioni di Al Jaber o il boicottaggio della COP28 da parte di tutti. Assegnare l’organizzazione della COP agli Emirati Arabi Uniti e la presidenza a Sultan Al Jaber, “è stato un terribile errore o un astuto stratagemma per permettere ai veri colori dell’industria dei combustibili fossili di brillare attraverso la foschia petrolchimica di Dubai?”, si chiede il giornalista del Guardian Daniel Carrington.
In un commento a caldo, Joeri Rogelj, professore di scienza e politica del clima all’Imperial College di Londra e uno dei principali autori dei rapporti dell’IPCC (il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite), ha consigliato al presidente di COP28, Al Jaber, di “chiedere in giro l’ultimo rapporto dell’IPCC”, approvato all’unanimità da 195 paesi, tra cui anche gli Emirati Arabi Uniti. Nel rapporto, spiega Rogelj, Al Jaber potrà rendersi conto che tutti i modi per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C hanno in comune la stessa cosa: un’eliminazione de facto dei combustibili fossili nella prima metà del secolo. “Tutto questo riporterà il mondo nelle caverne? Assolutamente no, se non per rinfrescarsi durante la prossima ondata di caldo torrido”, ironizza Rogelj. […]
Dopo le rivelazioni di Guardian e Centre for Climate Reporting, Al Jaber ha organizzato una conferenza stampa in cui ha rivendicato il suo background di economista e ingegnere e ha sostenuto che chiesto più volte l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e che i suoi sforzi per sostenere il cambiamento climatico sono stati ignorati dai media. “Rispetto la scienza in tutto ciò che faccio – ha detto Al Jaber – e le mie affermazioni sono state travisate e riportate fuori dal contesto in cui sono state pronunciate”. Ma le parole del presidente della COP28 non devono sorprendere più di tanto perché in realtà sono meno sprovvedute di quanto si possa pensare. E sono difficilmente travisabili come egli stesso sostiene. “Finalmente si è tolto la maschera”, ha commentato l’ex vicepresidente statunitense Al Gore. “Era solo questione di tempo prima che venisse smascherato il suo assurdo travestimento per nascondere il più sfacciato conflitto di interessi nella storia dei negoziati sul clima”.
Ogni anno, da 28 anni, i firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) si riuniscono per la Conferenza delle Parti della Convenzione, nota anche come COP, scegliendo ogni anno un paese organizzatore e un presidente. La COP ruota tra le regioni del pianeta, con gli Stati di ciascuna regione che scelgono chi si candiderà per organizzare il vertice – un piano che deve poi essere approvato da un comitato globale di rappresentanti regionali ospitato dal Segretariato delle Nazioni Unite per il clima. Se nessun paese della regione interessata si offre di ospitare la conferenza, questa si tiene di solito nella sede del Segretariato a Bonn, in Germania. Di solito, lo Stato o gli Stati che ospitano la conferenza detengono la presidenza della COP, come nel caso degli Emirati Arabi Uniti quest’anno.
Le affermazioni di Al Jaber sono politiche e perseguono un preciso obiettivo: ritardare quanto più possibile l’eliminazione dei combustibili fossili e la transizione ecologica con la loro sostituzione con soluzioni energetiche alternative. In che modo? Innanzitutto, puntando sul “phase down” (“diminuzione graduale”) invece che sul “phase out” (“eliminazione graduale”) dei combustibili fossili. Gli scienziati del clima sostengono con forza la seconda ipotesi per ridurre rapidamente le emissioni di petrolio e gas, mentre Al Jaber e l’industria dei combustibili fossili tengono aperta la porta alla prima. E poi, spostando la bilancia dei negoziati della Conferenza sul clima tutta sul finanziamento ai danni e alle perdite causate dai devastanti fenomeni meteorologici estremi (che molto spesso hanno colpito paesi già fortemente indebitati) e sulle azioni di adattamento (qui in realtà siamo lontani da un accordo: i paesi ricchi hanno offerto solo 160 milioni di dollari di contributi al Fondo per l’adattamento – appena la metà dell’obiettivo prefissato per quest’anno – ed è grande il timore che buona parte dei finanziamenti siano stati drenati dal fondo “perdite e danni”).
Due sono infatti gli assi principali sui quali ci si muove nelle politiche climatiche: azioni di mitigazione del cambiamento climatico, attraverso l’eliminazione graduale delle emissioni di gas climalteranti, e interventi di adattamento per prevenire gli effetti della crisi climatica, come le difese contro le inondazioni e i sistemi di allerta precoce.
La COP28 si è aperta con un importante accordo sul fondo “perdite e danni” ma, come spiegano anche Mann e van Ypersele nella loro lettera indirizzata ad Al Jaber, intervenire solo su questo aspetto non risolve il problema. Anzi, in futuro, ci vorranno più soldi, almeno fino a quando ci sarà ancora spazio per poter intervenire. […]
La decisione tra l’eliminazione o la riduzione graduale dei combustibili fossili potrebbe stabilire il successo o il fallimento del vertice sul clima di Dubai.
È ancora presto per dire se le parole di Al Jaber abbiamo affossato già in partenza la COP28. I segnali, però, non sono incoraggianti. La COP si è aperta con la rivelazione da parte di un’inchiesta di BBC News e Centre for Climate Reporting che gli Emirati Arabi Uniti hanno pianificato di utilizzare il loro ruolo di organizzatori della Conferenza sul clima per concludere accordi “segreti” sul petrolio e sul gas dietro le quinte del vertice. Al Jaber ha respinto le rivelazioni definendole “accuse false, non vere, non corrette e non accurate”.
Secondo un’altra inchiesta condotta sempre dal Centre for Climate Reporting, questa volta insieme a Channel 4 News, l’Arabia Saudita avrebbe un piano per aumentare “artificialmente” il consumo di petrolio nei paesi africani e asiatici. In un’operazione sotto copertura, i giornalisti del Centre for Climate Reporting si sono spacciati per investitori petroliferi e hanno chiesto ai funzionari del ministero dell’Energia saudita se il paese avesse in programma di aumentare la domanda di petrolio in alcuni mercati. “Sì… è uno degli obiettivi principali che stiamo cercando di raggiungere”, è stata la risposta di uno dei funzionari. Il governo saudita non ha voluto commentare l’inchiesta. Inoltre, stando ai dati raccolti dalla coalizione Kick Big Polluters Out, alla COP28 si sarebbero iscritti 2.456 lobbisti dell’industria fossile, il quadruplo rispetto alla COP27 di Sharm el-Sheikh del 2022 (per AP sarebbero oltre 1.300, il triplo dello scorso anno). Si tratta della terza “nazione” più rappresentata alla Conferenza, in numero nettamente superiore al totale degli delegati delle dieci nazioni considerate più vulnerabili ed esposte alle conseguenze della crisi climatica. […]
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