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Il coraggioso discorso sulla libertà e la resistenza della premier estone Kaja Kallas
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Il coraggioso discorso sulla libertà e la resistenza della premier estone Kaja Kallas
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Il coraggioso discorso sulla libertà e la resistenza della premier estone Kaja Kallas
Da Linkiesta
Pubblichiamo il discorso della premier estone Kaja Kallas alla cerimonia di premiazione del Premio Grotius, ricevuto a Londra, in giorni particolarmente difficili per il suo governo di chiaro orientamento antiputiniano, minacciato dalle pressioni di schieramenti più vicini a Mosca.
Signore e signori,
Sono davvero onorata di essere qui oggi. In realtà è alquanto incredibile che io riceva questo premio, perché Hugo Grotius è stato letteralmente l’argomento della mia prima lezione alla facoltà di giurisprudenza. È stato anche il primo esame in cui sono stata bocciata. Se qualcuno mi avesse detto nel 1995 che un giorno avrei ricevuto il premio Hugo Grotius avrei riso tanto – e così avrebbero fatto i miei professori. Ma i miracoli accadono ed eccomi qui.
L’ordine internazionale basato sulle regole inizia da casa. Ero una adolescente 30 anni fa quando l’Estonia è uscita dalla sua prigione totalitaria, nel 1991. Il totalitarismo è basato sulla distruzione degli individui e sulla libertà. Nell’autocrazia l’individuo non ha importanza. L’individuo non ha alcun diritto.
Dopo aver ripristinato l’indipendenza e la libertà, dopo l’occupazione sovietica, l’Estonia ha avuto un compito molto difficile: costruire una società libera e aperta, una democrazia parlamentare con lo stato di diritto al centro. Non è stato un compito facile: ristabilire un rapporto democratico tra il cittadino e lo Stato non è qualcosa che si possa fare dall’oggi al domani, e non è qualcosa che si possa ricavare dai libri.
Siamo partiti da zero o addirittura da sotto zero poiché l’Unione Sovietica aveva normalizzato la corruzione, non c’era uno Stato di diritto: la causa collettiva ha sempre prevalso sui diritti e sulle libertà individuali. Ciò è meglio illustrato dal fatto che durante l’occupazione sovietica avevamo praticamente solo il diritto penale, in quanto non esisteva la proprietà privata, quindi non esistevano leggi per la tutela dei diritti individuali.
Gli autocrati non si preoccupano delle persone, si preoccupano solo del loro potere. Il premio Nobel per la pace dell’anno scorso Dmitri Muratov ha definito questa un’antinomia tra, e cito, «le persone per lo Stato o lo Stato per le persone».
La vita sotto l’occupazione sovietica ha plasmato l’atteggiamento del nostro popolo: a quei tempi lo Stato non era nostro ma loro, degli occupanti, quindi andava bene rubare allo Stato.
L’instaurazione del libero mercato e della democrazia parlamentare richiedeva un’inversione di tendenza negli atteggiamenti e nell’identità: lo Stato non era più loro ma nostro. I beni non erano più loro ma nostri. I diritti degli individui e lo Stato di diritto sono stati posti al centro del governo. Ciò significava sradicare la corruzione e costruire istituzioni solide a sostegno di una società che salvaguardasse i diritti individuali.
Sono un avvocato di professione. Il rispetto degli impegni e delle leggi concordati è fondamentale per la mia visione del mondo. Ciò garantisce stabilità a livello nazionale e internazionale; infatti il modo in cui gli Stati trattano i propri cittadini la dice lunga sul loro comportamento internazionale.
Rimanere fedeli a leggi e norme è una questione di convivenza pacifica: dovrebbe impedire ai paesi di conquistare i loro vicini. Dovrebbe consentire ai Paesi di scegliere le proprie strade, i propri orientamenti di politica estera e le proprie alleanze senza essere minacciati dalla forza. Dovrebbe mantenere gli individui al sicuro e prevenire gravi sofferenze umane.
Il modo migliore per garantire pace e stabilità è rimanere fedeli ai principi e agli impegni che ci siamo presi gli uni con gli altri. Oggi non è il caso.
La Russia è la minaccia più diretta alla sicurezza europea in questo momento. In effetti, se dovesse affermarsi con la sua aggressività, minerebbe la pace e la sicurezza in tutto il mondo: se l’aggressione paga da qualche parte, diventa un invito a usarla altrove.
Questo è il motivo per cui siamo così impegnati ad aiutare l’Ucraina a respingere l’aggressione russa. Ciò che stiamo difendendo è l’idea stessa di libertà, integrità territoriale e sovranità, ovvero il diritto di esistere come Paese e il diritto di vivere liberi dalle repressioni.
Garantire e stabilire questa stessa idea era al centro degli obiettivi quando il mio Paese è nato nel 1918. Il Regno Unito ha svolto, all’epoca, un ruolo chiave nella nostra capacità di far rispettare questa idea.
Il momento decisivo per la guerra d’indipendenza estone contro la Russia sovietica più di cento anni fa arrivò quando uno squadrone navale britannico arrivò a Tallinn. L’arrivo delle navi britanniche impedì lo sbarco della flotta sovietica a Tallinn in un momento in cui le truppe estoni probabilmente non avrebbero saputo resistere.
La Marina britannica nel Golfo di Finlandia assicurò la sicurezza marittima dell’Estonia praticamente durante l’intera Guerra d’Indipendenza dal 1918 al 1920. E le armi che ha inviato nell’inverno e nella primavera del 1919 sono risultate di fondamentale importanza per il fronte di battaglia estone. Ciò ha assicurato all’Estonia 20 anni di indipendenza prima di cadere sotto l’occupazione sovietica per 50 anni. Non è necessario cercare con attenzione i parallelismi con i nostri giorni e l’importanza di dare sostegno all’Ucraina. Il Regno Unito svolge oggi un ruolo di leadership essenziale nell’assicurare questi stessi principi.
Signore e signori,
Viviamo in un momento in cui l’aggressione è arrivata fino ai confini dell’Europa. Venendo oggi dall’Estonia, vengo letteralmente dalla prima linea del mondo libero e della democrazia. Il Cremlino sta cercando di costruire un altro muro di divisione in Europa e questa volta l’Estonia ha la fortuna di trovarsi dalla parte giusta. Lo stesso non si può dire per l’Ucraina. L’ordine basato sulle regole richiede che i crimini commessi vengano perseguiti, le prove salvate, e coloro che violano le leggi siano ritenuti responsabili. Come avvocato, è nel mio DNA chiedere giustizia per ogni crimine commesso.
Consideriamo attentamente e più da vicino la posta in gioco in Ucraina. Stiamo assistendo agli appelli al genocidio della Russia orchestrati dallo Stato. La macchina da guerra criminale russa desidera, e cito: «Cambiare la sanguinosa e falsa coscienza di una parte degli ucraini di oggi». Queste le parole di Dmitry Medvedev. Il Cremlino, incluso Putin, ha chiarito con le sue dichiarazioni che il suo obiettivo è cancellare l’Ucraina dalla mappa del mondo. «Denazificazione» è l’etichetta ufficiale russa di questa politica di distruzione dello Stato ucraino e del suo popolo.
Secondo la Convenzione sul genocidio, ciò che distingue il genocidio da altri crimini internazionali è «l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo protetto, in quanto tale». Questo intento può essere attribuito a uno Stato attraverso l’evidenza di un piano generale, derivato anche da dichiarazioni ufficiali o ipotizzato da un modello sistematico di atrocità. E l’incitamento a commettere un genocidio è un crimine esso stesso un crimine, indipendentemente dal fatto che il genocidio segua o meno.
Funzionari di alto livello, tra cui Putin, e commentatori dei media statali, fanno propaganda con il chiaro intento di distruggere l’Ucraina e gli ucraini, in tutto o in parte. Sentiamo smentite pubbliche sull’esistenza dell’identità ucraina. E il Cremlino invoca ripetutamente la «denazificazione» come uno degli obiettivi principali della sua invasione, descrivendo gli ucraini come subumani. Tutti coloro che si identificano come ucraini minacciano l’unità della Russia e sono nazisti, secondo la propaganda russa. Un «nazista» è semplicemente qualsiasi ucraino che resiste. Tutta questa retorica viene usata per ritrarre gli ucraini come nemici e renderli un obiettivo apparentemente legittimo di distruzione.
E funziona. Quello che sentiamo dai campi di battaglia è che i soldati russi stanno rispondendo a questa campagna genocida. Ad esempio, le dichiarazioni riportate dai soldati mentre commettono atrocità includono: minacce di stuprare «ogni puttana nazista», vantarsi di «dare la caccia ai nazisti», dicendo «vi libereremo dai nazisti».
Nessuna impunità per i crimini di guerra deve essere accettabile nello sviluppo delle nostre politiche a lungo termine. Come storicamente dichiarato nel 1947 dal Tribunale di Norimberga, i crimini contro il diritto internazionale sono commessi da individui, non da entità astratte. Dobbiamo avere una convinzione molto chiara: Putin e tutti coloro che hanno commesso atrocità devono sapere che il giorno del loro giudizio arriverà.
A tale scopo, 20 anni fa, la comunità internazionale ha istituito all’Aia la Corte penale internazionale. Molti paesi, inclusa l’Estonia, hanno deferito i crimini in Ucraina a questa Corte per le indagini. Il Regno Unito ha svolto un ruolo di primo piano qui. È positivo che la Procura abbia avviato prontamente un’indagine. È importante sottolineare che diversi Paesi, compreso il mio, hanno avviato procedimenti penali anche nei loro tribunali nazionali, esercitando la giurisdizione universale. Ciò dimostra la gravità e la portata dei crimini di guerra in Ucraina.
Dobbiamo rinvenire le responsabilità per i criminali di guerra e avere giustizia per le vittime. Questo invierebbe anche un messaggio importante agli aspiranti colpevoli. Dovremmo anche assicurarci che l’aggressore paghi ogni tipo di “ricostruzione”: il Cremlino deve pagare per ogni strada distrutta, ogni edificio bombardato e ogni ponte rovinato.
E dobbiamo assicurarci che le vittime civili di questa guerra ricevano un risarcimento, ad esempio tramite un fondo separato per le vittime. Per questo, dovremmo usare le risorse russe e le riserve della banca centrale congelate dalle sanzioni. Per ritenere responsabili i colpevoli, l’Ucraina deve riconquistare i suoi territori e la Russia deve fallire. Dobbiamo fare tutto il possibile per respingere l’invasione russa e porre fine ai massicci crimini di guerra alle nostre porte. Altrimenti, seguirà il peggio. Questa è la lezione della nostra stessa storia.
Dobbiamo tenere a mente che la pace non significa automaticamente che le atrocità finiranno. Qui parlo dell’esperienza di molti nell’Europa centro-orientale. Per l’Estonia, la pace dopo la seconda guerra mondiale significò l’inizio delle repressioni. Ha comportato un enorme costo umano e ha portato rinnovate sofferenze attraverso uccisioni di massa, repressioni, deportazioni di massa e altri crimini contro l’umanità.
Mia madre aveva solo sei mesi quando fu deportata su un carro bestiame, insieme a sua madre e sua nonna in Siberia, mentre mio nonno fu mandato in un campo di prigionia siberiano. È stato un miracolo che la mia famiglia sia sopravvissuta; ma per molti non è andata così. Mentre gli estoni venivano deportati, i russi occupavano l’Estonia, cercando di cancellare la nostra cultura e lingua. Nel 1922 la minoranza russa ammontava al 3,2% della nostra popolazione, alla fine dell’occupazione sovietica la popolazione russa era aumentata a oltre il 30%.
Ora stiamo assistendo a aqualcosa di simile, che si ripete in Ucraina, nei territori occupati dalla Russia: bambini deportati in massa in Russia, donne violentate, uomini imprigionati. Le immagini di Irpin e Bucha hanno portato alla ribalta globale la brutalità e l’imponenza dei crimini di guerra russi contro i civili. E non conosciamo ancora l’intera portata delle atrocità di Mariupol e altrove. E probabilmente non lo sapremo fino a quando queste aree non saranno liberate dall’Ucraina, ma tutti i segnali suggeriscono che sarà Bucha molte volte. L’esperienza di mezza Europa dopo la Seconda guerra mondiale dovrebbe ricordarci che non possiamo dare all’aggressore nulla che non avesse prima, altrimenti l’aggressione prima o poi tornerà. Abbiamo già commesso questo errore diverse volte, sia nel caso della Georgia, della Crimea o del Donbass.
Ecco perché sono preoccupata per gli appelli prematuri al cessate il fuoco o alla pace: non ci sono segnali che la Russia abbia cambiato obiettivi e calcoli. Fino a quando il Cremlino non rinuncerà al suo obiettivo di conquistare nuovi territori in Ucraina, è difficile credere nella prospettiva di un vero dialogo di pace. Non credo nella buona volontà di un vero aggressore e di un criminale di guerra a sangue freddo.
Signore e signori,
Il mondo libero ha preso molte decisioni giuste a sostegno dell’Ucraina. Ma non siamo stati abbastanza veloci nell’implementarli: dobbiamo accelerarli. Ciò di cui l’Ucraina ha bisogno oggi sono le armi per combattere l’aggressore e liberare i suoi territori. Le nostre politiche devono essere radicate nella comprensione che la minaccia russa non scomparirà domani. Non dovrebbe esserci ritorno al lavoro come al solito con i criminali di guerra. In realtà, non dovrebbero esserci affari. Ecco perché dobbiamo continuare a isolare l’aggressore sia economicamente che politicamente. L’isolamento economico significa che dobbiamo prosciugare la macchina da guerra russa assicurandoci che le truppe russe esauriscano le attrezzature e che il Cremlino esaurisca i soldi. Inoltre, è necessario l’isolamento politico di un vero aggressore e criminale di guerra.
Abbiamo assistito a un forte giudizio da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha adottato con una maggioranza di oltre due terzi una risoluzione che condanna l’invasione russa e ha chiesto il ritiro completo delle truppe russe. La Corte internazionale di giustizia ha ordinato alla Russia di sospendere le operazioni militari e il Consiglio d’Europa ha espulso la Russia. Gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno sospeso la Russia dal suo seggio al Consiglio per i diritti umani. Abbiamo assistito a una reazione senza precedenti contro l’aggressione russa non solo da parte degli Stati, ma anche da parte di privati e aziende. Le loro azioni integrano e supportano quelle dei governi. E lanciano anche un chiaro segnale di aspettativa ai loro governi.
Alla luce di tutto ciò, esaminiamo attentamente il nostro impegno con la Russia nelle organizzazioni internazionali, e chiediamoci quanto segue: Continueremo davvero a scambiare dati spesso sensibili all’interno dell’INTERPOL – l’Organizzazione internazionale di polizia criminale – con evidenti criminali di guerra? Ha senso discutere le norme sul comportamento responsabile dello stato nel cyberspazio con un paria che ha buttato fuori dalla finestra non solo la Carta delle Nazioni Unite, ma ogni singola norma della decenza umana? A proposito, anche in guerra ci sono delle regole e la Russia ha dimostrato il suo palese disprezzo per tutte.
Signore e signori,
Spesso ricevo domande su come possiamo migliorare le relazioni con la Russia. La mia risposta è molto franca: dovremmo essere abbastanza coraggiosi da ammettere che se è necessario fermare l’aggressore, dobbiamo essere pronti ad affrontare una guerra lunga e raccapricciante. Non dobbiamo aver paura di avere una cattiva relazione, o una relazione inesistente, con i criminali di guerra. L’Ucraina non è vittima di un errore di calcolo una tantum da parte di un pazzo. Stiamo assistendo a una campagna a lungo pianificata dal Cremlino per esercitare il controllo sui Paesi vicini con la forza bruta, indipendentemente dal costo umano. Abbiamo bisogno di pazienza e perseveranza a lungo termine con politiche tese a fermare questa aggressione e anche per prevenire quelle future.
Resistere alla tirannia ha un costo per tutti noi. Il gas può essere costoso, ma la libertà non ha prezzo. Spetta a ogni governo decidere quanto del peso del suo popolo è pronto a sopportare. Ma è ugualmente necessario trasmettere il messaggio alla nostra gente: siamo tutti in pericolo quando la casa del nostro vicino va a fuoco. Trovare il giusto equilibrio con la politica è comprensibilmente una delle maggiori sfide per le democrazie e per la nostra libertà oggi. Non dobbiamo stancarci. Dopotutto, gli ucraini non sono stanchi. La leadership conta. Ed è la chiarezza morale di ognuno di noi che aiuta a guidare le politiche nella giusta direzione. Se falliamo qui, è in gioco l’ordine basato sulle regole internazionali, e nessun paese e nessuna nazione può sentirsi al sicuro. Non possiamo pensare alla libertà e all’ordine mondiale finché non se ne sono andati. Facciamo del nostro meglio affinché nessuno debba in futuro tornare a sperimentare una simile condizione.
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