Controcanto laico
Quando le parole non bastano, nemmeno quelle del capo
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Quando le parole non bastano, nemmeno quelle del capo
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foto © Marco D’Anna Non mi manca mai la strada, non manca mai la compagnia e il vento mi porta sempre nuvole nuove. Il profumo della pampa cambia dietro a ogni collina....
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Vicinanza, compassione, tenerezza, accoglienza; magari accudimento. Tutti vocaboli che alcuni cattolici, primo tra tutti il capobianco, utilizzano in quella loro opaca apertura – da marketing dell’emozione – al mondo della sessualità non “classicamente” etero, in ogni sua declinazione. Vocaboli che alludono alla debolezza, alla vulnerabilità, dei destinatari di cotanta apostolica sollecitudine, quasi fossero persone di cui farsi cristiano carico (in vista di qualche ultraterrena e assai incerta prebenda, ben s’intende), o afflitti da qualche medicabile infermità, o financo da qualche congenita tara.
Sono agnostico, anticlericale, e – alla luce delle ingiustizie che percorrono questo povero mondo – tendenzialmente scettico verso il dio dei cristiani, quindi ammetto di non essere molto sereno sul tema, ma con qualche buona ragione. Il capo della chiesa cattolica mi piace molto poco, a dispetto – ma forse anche a causa – delle esibite scarpe grosse, dell’ostentata frugalità, e di quel suo palesemente inautentico fare da bonario parroco di campagna. Lo capiscono bene i bimbi non ancora in età da catechismo, e quindi ancora preservati nella loro innocenza, che nelle reiterate occasioni pubbliche reagiscono sempre con pianti dirotti a quell’abbraccio e a quel sorriso un po’ untuoso da curato. Qualcuno, non io, ha dimenticato certe connivenze, certi giudizi sprezzanti, certe condivisioni politiche, ai tempi in cui fu arcivescovo di Buenos Aires e poi primate in Argentina, tra l’altro contro l’opposizione politica interna o contro i principi e gli alfieri della teologia della liberazione.
Il mondo della sessualità non “classica” non ha bisogno di tale peloso interesse, di compatimento, e neppure della grancassa mediatica che si scatena a ogni modesto papale stormire di fronda; ha bisogno di autentico rispetto, del riconoscimento pieno della normalità, magari di qualche atto concreto in cui sia possibile cogliere senza ambiguità e senza curiali ipocrisie l’accettazione vera ed effettiva di un diverso vivere e sentire.
Non parliamo poi di gesti, che crudelmente mancano da parte delle gerarchie (e quindi da coloro che potrebbero fare qualcosa di veramente incisivo), in favore delle vittime e di tutti coloro che vivono ai tragici margini di questo mirabolante mondo globale e tecnologico, raccattando nelle discariche qualche briciola caduta dalla nostra tavola.
Non bastano nemmeno parole di scusa, che non ho però sentito da chi doveva farle, per altri crimini. Ad esempio per le nefandezze compiute per decenni contro i nativi canadesi; crimini e nefandezze che fanno il paio con quelli, ben più antichi, inflitti ad altri popoli, in nome dell’evangelizzazione ma puntualmente al seguito, e a legittimazione, dei vari feroci imperialismi. Non basta di certo qualche consolatorio pistolotto dai gradini della bella piazza o da un ventoso balcone, o in qualche omelia, o in un’encliclica.
Mi scuserete se, di fronte alle quotidiane ingiurie cui sono sottoposti non solo i più deboli di noi ma la natura tutta, due frasi di un boss gesuita a un suo correligionario non mi bastano.
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