Dalla parte delle vittime
Dopo la presentazione dell’Audit esterno sul caso dell’ex-funzionario del DSS, rimane il disagio per una vicenda che avrebbe anzitutto dovuto proteggere delle giovani che hanno avuto il coraggio di denunciare
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Dopo la presentazione dell’Audit esterno sul caso dell’ex-funzionario del DSS, rimane il disagio per una vicenda che avrebbe anzitutto dovuto proteggere delle giovani che hanno avuto il coraggio di denunciare
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Dopo la presentazione dell’Audit esterno sul caso dell’ex-funzionario del DSS, rimane il disagio per una vicenda che avrebbe anzitutto dovuto proteggere delle giovani che hanno avuto il coraggio di denunciare
Con l’Audit esterno affidato ad uno studio legale ginevrino e soprattutto con le sue inequivocabili indicazioni (di cui hanno ampiamente riferito giornali, siti e radio-tv ieri) si potrebbe si potrebbe ritenere chiuso il “caso” dell’ex-funzionario del DSS, una delle più tristi vicende di cronaca giudiziaria e politica degli ultimi anni. Va usato il condizionale, perché non ci sarebbe da meravigliarsi se qualche ulteriore “coda” tornasse ad infiammare la scena (tanto più, sotto elezioni). Ma il condizionale è necessario soprattutto pensando alle vittime, in questi anni ripetutamente evocate dopo che per anni non avevano trovato, nelle sedi opportune, il dovuto ascolto.
E allora diciamolo, anche la conferenza-stampa in cui l’avvocata Anne Meier ha apertamente denunciato colpevoli silenzi, omertà, superficialità e cattiva gestione da parte dell’amministrazione cantonale, finisce per aprire un’ulteriore serie di questioni che però sono già annunciate come agendate per la prossima (e forse nuova) Commissione della gestione e affidate al prossimo (nuovo?) Consiglio di Stato dopo l’esito elettorale del 2 aprile.
Così, nell’attesa (ennesima) ci tocca prendere nota, ad esempio, che solo affidando la triste vicenda ad un uno studio legale esterno (e soprattutto non ticinese) si sia riusciti a fare luce sulle tante colpevoli manchevolezze della gestione del caso da parte di diversi funzionari, fin qui quasi totalmente “coperti” da una procedura d’inchiesta interna al palazzo.
Non parrà inoltre inopportuno annotare che si è fatta (finalmente) chiarezza, dopo anni e anni, in una conferenza-stampa che ha presentato un documento di 58 pagine indirizzato a Commissione parlamentare e Governo, senza che vi sia tuttora, da parte del Consiglio di Stato, alcuna dichiarazione se non la laconica formuletta del “ci esprimeremo quando avremo letto il documento”. Ma quello presentato martedì alla stampa è ignoto al nostro esecutivo? E lo si presenta alla stampa e all’opinione pubblica prima che al Governo?
E ancora, un caso così “scottante” che si rivela essere stato trattato in maniera totalmente inadeguata, internamente, dall’Amministrazione cantonale (con una procedura voluta tale per decisione del Consiglio di Stato), messo a nudo da un Audit esterno come quello presentato a Palazzo delle Orsoline, non meritava forse in questa circostanza almeno una presenza (anche solo formale) di un Consigliere di Stato, non fosse altro che per assumere il proprio ruolo fino in fondo? Possibile che neanche uno dei cinque potesse essere presente alla conferenza-stampa per mostrare di voler stare, davvero e fino in fondo, ufficialmente “dalla parte delle vittime”?
Quelle vittime, per intenderci, verso cui soltanto il giudice Marco Villa, il 29 gennaio 2019, al processo di primo grado nei confronti dell’ex-funzionario, in aula, aveva sentito il dovere di “chiedere scusa a nome dello Stato” (prendendosi poi una denuncia da un capo-funzionario e i rimproveri formali della magistratura).
Quelle vittime che quando denunciano paiono sempre un po’ sospettate di “esagerare”, finché poi non si arriva a dover constatare il peggio, a violenza carnale avvenuta.
Quelle vittime, giovani donne, stagiste (o, in altri casi, non vedenti, per esempio) che sembrano sempre dover legittimare oltremisura il diritto alla salvaguardia ed al rispetto della propria integrità fisica, ricordandoci, nella sofferenza di dolorose testimonianze, che le forme di sopraffazione di cui sono vittime possono essere molte, e che cominciano ben prima di quanto sia disposto a ritenere come “preoccupante” un funzionario o l’altro di ente pubblico o privato.
Quelle vittime, infine, che hanno voluto “rompere il silenzio” in un reportage giornalistico realizzato per “Falò” nel novembre 2021, che, va pur detto e sottolineato, è stato indicato anche dall’Audit come contributo fondamentale per indurre e rendere doveroso il riavvio dell’inchiesta.
Ecco quando il giornalismo svolge, fino in fondo, il proprio compito. A quei colleghi spetta un grazie. Ma dall’autorità non arriverà, come non sono (ancora?) arrivate le scuse alle vittime.
Nell’immagine: un fotogramma dal citato servizio di Falò (RSI)
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