Delors e Schaeuble i due volti dell’Europa
Deceduti nelle stesse ore due protagonisti della storia continentale, rappresentanti di diversi concetti e progetti sull’ll’unità europea
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Deceduti nelle stesse ore due protagonisti della storia continentale, rappresentanti di diversi concetti e progetti sull’ll’unità europea
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Deceduti nelle stesse ore due protagonisti della storia continentale, rappresentanti di diversi concetti e progetti sull’ll’unità europea
Il principio della riconciliazione fu il primo vangelo di Delors, approdato nel partito socialista francese: 1974, tempi non sospetti, quando nulla faceva presagire che il ps sarebbe poi entrato all’Eliseo con François Mitterrand, un passato non limpidissimo nella Francia di Wichy, ma poi gran federatore della ‘gauche”, comunisti compresi. Per Jacques Delors il principale scopo della Comunità doveva puntualmente ruotare lungo due assi. Per cominciare, la riconciliazione, che si trattasse di quella franco-tedesca per farne il nucleo trainante del progetto integrativo; oppure di quella di classe, che da cattolico trovava origine anche nel ruolo sociale della Chiesa; quindi riconciliazione fra socialisti e popolari, su cui si è retta la lunga maggioranza all’interno del parlamento di Strasburgo; e riconciliatore fra Est ed Ovest, quando la questione dell’unità tedesca fece tremare i polsi di tanti statisti continentali (“amo talmente la Germania, che preferirei averne tre”, fu la perfetta perfida sintesi di Giulio Andreotti. Di Delors risultò allora decisiva la capacità di mediazione e convinzione su Mitterrand (che lo aveva voluto ministro dell’economia nel suo primo governo unitario delle sinistre, quello della partecipazione comunista e delle nazionalizzazioni) e in parte anche sul cancelliere Helmut Kohl: venne così raggiunta la sponda risolutrice, che seppe unire il superamento dei timori occidentali e la legittima aspirazione tedesca: fine del marco tedesco, creazione della moneta unica europea, in nome di quella “Germania europea” che avrebbe legato il suo destino a quella della Comunità e smaltito eventuali nuove ambizioni di potenza continentale. Buon viatico per Delors, e fu infatti l’intesa fra Parigi e Bonn a portarlo agevolmente alla presidenza della Commissione europea, che lo impegnò per un decennio (1984-1995), record finora ineguagliato. Abolizione delle barriere protezionistiche; Trattati di Maastricht (premessa della moneta unica e coordinamento delle politiche di bilancio) e di Schengen (fine delle frontiere interne e libera circolazione); deciso allargamento dell’Unione: tutti traguardi della sua presidenza, che oggi subiscono l’attacco degli euroscettici, ma che allora segnarono i cosiddetti “anni d’oro” dell’Europa.
Ma, soprattutto, Jacques Delors fece della socialità comune e comunitaria la sua stella polare. Disse e spesso ripeté che l’Europa aveva assolutamente bisogno di “maggiore giustizia sociale”, che soltanto uniformandosi su questa sensibilità avrebbe avuto un futuro, e negli anni travagliati dall’emergenza Covid ricordò che solo il “welfare europeo” aveva salvato i paesi dell’UE dall’impatto anche socio-economico dell’emergenza sanitaria. Non a caso battagliò parecchio con la Thatcher e i governi inglesi, che nell’Unione portavano (purtroppo con successo) le parole d’ordine dell’economia liberista. Uomo pragmatico ma di solidi principi, era diventato così popolare che quando lasciò Bruxelles tutti i sondaggi lo davano per sicuro vincitore qualora avesse partecipato alla gara presidenziale dopo i 12 anni di Mitterrand. Ma rinunciò, favorendo così Jacques Chirac. “Per consapevolezza dei miei limiti”, ammise onestamente. Ma più tardi, altrettanto schiettamente, e di fronte allo spettacolo di una politica che lasciava il timone delle nazioni ai potentati della finanza, ammise di essersene pentito.
Tutto o quasi, dunque, in netto contrasto con l’altra, parallela istantanea di queste ore, quella del tedesco Wolfgang Schaeuble, condannato dal 1990 alla sedia a rotelle dall’attentato di un fanatico. Voluto nella squadra di governo da Helmut Kohl, che lui assecondò, come già ricordato, nel rapido processo di riunificazione tedesca dopo l’implosione dell’Urss. “Il popolo votava con i piedi”, disse ricordando il grande esodo da Est a Ovest, che rischiava di dissanguare l’ex DDR: in realtà ben più consapevole e convinto di Delors che comunque la scomparsa del marco tedesco non avrebbe in nulla nuociuto, anzi, alla potenza economica tedesca, e quindi al ruolo anche politico che Berlino avrebbe avuto nella marcia europea. Una marcia che vede quasi subito Schaeuble come guardiano (o “falco”) dell’austerità: in fondo dando ragione proprio a Delors, secondo il quale “non si può affermare che tutti i tedeschi credano in Dio, ma si può senz’altro dire che tutti i tedeschi credono nella Bundesbank”. La battaglia di Schaeuble, insieme al collega Karl Lamers, vice-presidente della Commissione di Bruxelles, era che si dovesse ufficializzare l’esistenza di un’ “Europa a due velocità”, affermazione controversa anche un po’ ipocritamente da chi poi poco o nulla faceva di concreto per l’integrazione politica complessiva. Forse per questa posizione troppo audace o troppo estrema, la CDU lo escluse dalla corsa al cancellierato dopo le dimissioni di Kohl, travolto dallo “scandalo dei fondi neri”. Recuperato comunque da Angela Merkel, fu l’acutissima crisi della Grecia (con i suoi conti pubblici truccati all’inverosimile) a mostrare la rigidità di Schaeuble come grande e poco occulto regista (attraverso la famosa e famigerata ‘trojka’) dell’austerity imposta dall’Ue ad Atene: conti in regola e ostilità a una fiscalità espansiva. Appunto, l’Europa matrigna: anche di fronte ai reparti in difficoltà delle pediatrie pubbliche, dove mancava persino il latte in polvere.
Un confronto fra due sensibilità, due strategie, due convinzioni, due visioni per molti aspetti inconciliabili. Non è forse ancora oggi l’Europa dei due volti?
Nell’immagine: Jacques Delors, Wolfgang Schaeuble,
Criminalità giovanile e pugno di ferro dei governi militarizzati del Centro America, stile El Salvador
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