Democrazia in frantumi
Un parallelo impossibile, con un appello alla politica
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Un parallelo impossibile, con un appello alla politica
• – Marco Züblin
Poter fare il proprio lavoro. E’ quanto rivendica l’ATG, Associazione Ticinese dei Giornalisti. Il sindacato segnala come, da parte di una minoranza di autogestiti, siano stati...
• – Redazione
"Non si fa abbastanza". E le dimissioni del tedesco Reinhard Marx chiamano in causa anche papa Francesco
• – Gino Driussi
Ultima della serie: le farmaceutiche produttrici dei vaccini anti Covid-19 possono bloccare la donazione o la vendita di dosi ad altri paesi
• – Aldo Sofia
Squallida speculazione e scarsa lungimiranza
• – Franco Cavani
E lo schiavo ribelle Spartaco assiste rinchiuso nel Municipio blindato
• – Sergio Roic
Provocatori che volevano rovinare la festa, una vetrina in frantumi, e la reazione che li ha isolati
• – Franco Cavani
Quando l'ingiustizia diventa legge la resistenza diventa dovere
• – Patrizio Broggi
Le riflessioni e le proposte del consigliere di Stato che circa 20 anni fa contribuì a trovare una sistemazione per il CSOA Il Molino
• – Aldo Sofia
Il trend è chiaro: sempre più giovani ticinesi si trasferiscono in altri Cantoni o all'estero, e le conseguenze non tarderanno a farsi sentire
• – Aldo Sofia
“Terrorismo di Stato”: un’espressione che venne proposta, negli “anni di piombo”, da coloro che terroristi lo furono per davvero, nel tentativo di costruire – in una sorta di irricevibile e tragica equivalenza, per loro legittimante – un parallelo tra le loro azioni banalmente criminali, e comportamenti dello Stato in virtù della legislazione emergenziale e della prassi di polizia e di inquirenti.
Tornando ai fatti dell’ex-Macello, e con lieve e un po’ paradossale forzatura, si potrebbe tentare di sussumere i comportamenti dell’autorità politica, direttamente o per il tramite degli organismi di polizia, sotto le (sciagurate, inutili) norme che ci si propone di adottare il prossimo 13 giugno (modifica della Legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo).
Partiamo dalle definizioni: Art. 23e cpv. 2 MPT – “Sono considerate attività terroristiche le azioni tendenti a influenzare o a modificare l’ordinamento dello Stato, che si intendono attuare o favorire commettendo o minacciando di commettere gravi reati o propagando paura e timore.”
Ci si potrebbe chiedere se sia da considerarsi “azione terroristica” il fatto di aver commesso violazioni di norme (civilistiche, amministrative, tra le altre) allo scopo di mettere un bavaglio a idee e comportamenti non in linea con il comune sentire, utilizzando ingiustificata e sproporzionata attività poliziesca; cioè se lo sia il fatto di adottare comportamenti che hanno di fatto scardinato, con ruspe e polizia, una delle pietre angolari dello Stato democratico e del suo ordinamento, la libertà di espressione, il rispetto delle altrui convinzioni, oltre che (tramite i posti di blocco) la libertà di manifestare; o, quanto meno, che tali comportamenti non possano essere considerati come basi, nella prassi, per una modifica dell’ordinamento dello Stato in senso non democratico. Si aggiunga a questo la circostanza di aver tentato di giustificare tali atti, tra cui quello – immotivabile – della demolizione di un luogo fisico e di un simbolo dell’alternativa, adombrando pericoli di pubblica sicurezza del tutto inesistenti (per non parlare degli altri risibili pretesti) e tentando così di provocare timore della vasta schiera di noi benpensanti borghesi.
Non so se la sussunzione tra atti e lege ferenda sia possibile, ancorché qualcuno migliore di me potrebbe tentare di legittimarla, o di invalidarla.
Tuttavia, anche se si trattasse di “atto terroristico” ai sensi della legge in votazione, il paradosso sarebbe comunque che a definirlo sarebbe la stessa autorità – la polizia, anche se federale – che sarebbe chiamata a risponderne. Una specie di aporia istituzionale.
A prescindere dal fatto che il monstrum giuridico diventi legge (come sembra sarà, purtroppo), non ho invece molti dubbi che le istituzioni politiche della città abbiano agito in modo assai poco democratico, se per democrazia non si intende una torva dittatura della maggioranza ma un modo di vivere e di governare in cui tutti abbiano – nel rispetto delle leggi, beninteso – diritto di vita e di espressione.
A questo proposito, ho letto in questi giorni pensosi commenti che partono dall’assunto che occorra essere molinari, o loro utili idioti, per poter difendere il diritto all’autogestione di esistere; come se si dovesse essere donne per difendere l’uguaglianza di genere, o stranieri per opporsi alle devianze della legge e della prassi in merito alla politica di asilo, o omosessuali per contrastare i comportamenti omofobi, o italofoni per difendere la lingua italiana. Ebbene, non è così: io e molti di coloro che hanno condiviso la manifestazione di sabato hanno inteso, appunto, essere una sorta di presidio democratico in movimento, manifestare lo sconcerto di fronte agli atti con i quali l’ente pubblico ha agito in modo contrario al patto sociale, che impone apertura, tolleranza, rispetto, solidarietà, al di là di qualsiasi tornaconto o interesse personale. Se questa città, e questo Cantone, sono diventati improvvisamente incapaci di una gestione democratica del potere, il problema istituzionale è evidente; e la politica deve ora assumere quel ruolo, necessario e nobile, che le spetta, cioè quello di rimettere presto le cose a posto.
Le retoriche aperture delle ultime ore non rasserenano di certo, provenienti dagli stessi che furono all’origine del vulnus.
Gli argomenti con cui la Lega contesta ufficialmente, anche come partito, la nomina di Lorenzo Erroi a responsabile del Dipartimento Cultura e Società della RSI
Come possiamo credere che cambi il mondo l’artefice dell’aziendalizzazione del mondo che scuce miliardi con in mano un lavandino?