Circondati da un’idea
E lo schiavo ribelle Spartaco assiste rinchiuso nel Municipio blindato
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E lo schiavo ribelle Spartaco assiste rinchiuso nel Municipio blindato
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E lo schiavo ribelle Spartaco assiste rinchiuso nel Municipio blindato
Le due di un sabato pomeriggio di fine primavera per la manifestazione a difesa dell’autogestione a Lugano. Già, a Lugano.
A un passo, ecco il Municipio. Si erge tetragono. Nel suo ventre – constato assieme a un amico giornalista – tre camionette della polizia vuote. Lo Spartaco del Vela, trasportato tempo fa nel suo luogo originario, è circondato da un bel mucchio di transenne “di contenimento”. Uno Spartaco incatenato? Il simbolo della ribellione ai soprusi, seppur di pietra, ammanettato pure lui? I simboli contano, ha detto qualche giorno fa in tv il rettore dell’Usi, i simboli contano ma evidentemente non tutti vogliono saperne di un simbolo.
Dopo un’oretta di kermesse il corteo – colorato, intergenerazionale, musicale – parte. È sospinto, o trascinato, vedete voi, da un’auto che erutta ritmi e note. Ci sono le scritte, naturalmente, “SOA – strade occupate autogestite”, ci sono i proclami, non ci arrenderemo, non ci arrenderemo mai.
All’altezza del palacongressi, dopo due curve, ecco che alto nel cielo compare un drone. Con una balestra futuristica un dimostrante lo mira, emette un paio di scariche luminose, lo mira ma non lo colpisce. Non è tempo di Guglielmo Tell, a quanto pare. E il drone non è la fatidica mela, evidentemente.
La manifestazione prende quota. C’è chi dice: siamo in duemila. Rilanciano: anche tremila che, come è noto, è la cifra perfetta di J.J. Rousseau per gli abitanti di una città.
Una città nella città? Perché no. Sennonché, nonostante i volantini anti-violenza distribuiti a profusione, nonostante gli inviti a essere pacifici e a non farsi provocare – non farsi provocare neppure da quell’animo ribelle cantato dalle canzoni e che un po’ alberga in tutti noi – un gruppo di giovani nero vestiti e mascherati imbratta le vetrine di Viale Cattaneo. Un conoscente di lungo corso viene alle mani con uno di essi. Gli dice: ma cosa fai? ma cosa fai?
Intanto giunge voce che la polizia blocca, già da alcune ore?, coloro che vorrebbero unirsi ala manifestazione. L’Mps, solerte, lo denuncia immediatamente. Ma è democrazia questa? Ma la difesa di un centro sociale, di un’idea sociale è un delitto, un crimine? I tanti che da Nord e da Sud volevano partecipare, sono respinti, impediti, devono andarsene.
Ora il corteo rousseauiano, la piccola città, procede lungo il fiume. Piove. E allora? All’altezza dell’ex Macello, rasentato dal corteo, piovono le prime forti proteste. L’autogestione non rinuncia, l’autogestione non si arrende.
Il corteo è un mare – piove! – la Sinistra è compatta, in tutte le sue varietà. Noto anche qualche liberale (radicale?), qualche popolardemocratico, un paio di presidenti di partito. E gente comune, molti ragazzi, un paio di generazioni della vecchia guardia, tanti, tanti discorsi di quello che è stato e di quello che sarà.
Un’altra curva e il corteo si dirige verso Piazza Molino Nuovo. Di polizia visibile nemmeno l’ombra. Dicono che sono in tanti, dicono che sorvegliano a distanza, dicono che ci sono anche e ancora i poliziotti vodesi: “baby come back” cantano un paio di compagni.
Un autopostale fermo per strada è intercettato da alcuni sprayer giovanissimi. Sul vetro del bus scrivono: SAREMO OVUNQUE. L’autista, non proprio contento, li fotografa col telefonino. I ragazzi lavorano di gomito, si scusano, cancellano.
Saremo ovunque? Sì, è una promessa, un mantra, una constatazione.
Saremo ovunque e siamo qui, in Piazza Molino Nuovo, dopo aver bruciato dei copertoni (*), almeno fino alle dieci, e oltre.
Bevo una birra con Marko, Rosi e Renato. Il bilancio della manif è positivo, ma tutti già si proiettano al giorno dopo. Cosa succederà dopo?
Recito, per quel che mi ricordo, il finale di un mio vecchio racconto:
“I capelli della ragazza, lunghi, lisci, biondocastani. Portava jeans aderenti, una maglietta azzurra. Lui la guardava e sapeva che non era possibile una storia migliore. La beauté est la promesse du bonheur aveva letto da qualche parte. Poi avevano fatto pace, si erano amati nella cabina come se fosse l’ultima volta o come se si fossero conosciuti alcune ore prima. ‘Prima di andare a Istanbul, mi porti a vedere la Città, scrittore?’ aveva chiesto la ragazza. ‘Non c’è niente a Hissarlik’ aveva risposto lo scrittore ‘però se vuoi ci andiamo, c’è l’idea’”.
L’idea, sì, l’idea: per tutto il giorno, qui e oggi, a Lugano, di sabato, siamo stati circondati da un’idea.
p.s. e il giorno dopo? Il giorno dopo la stampa confederata si occupa dei respingimenti preventivi della polizia e di tutta la situazione del centro sociale, dell’autogestione, della demolizione. Scrive la stampa confederata: se si dimostrano alcune cose, alcune colpe, cadranno delle teste. Cadranno? Delle? Teste?
*) Un testimone oculare ci ha inviato il seguente testo: “Abito in piazza Molino nuovo e volevo solo precisare che nessuno ha bruciato copertoni. Sono stati i ragazzini vestiti di nero che hanno dato fuoco ai vestiti neri che indossavano, fermati in parte da chi ha subito buttato acqua sul fuoco.”
Ne prendiamo atto e ringraziamo l’autore. La redazione
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