Dentro e fuori la classe
A colloquio con Laura Marzi, autrice del fortunato romanzo “La materia alternativa”, un ritratto a tratti severo della scuola e della società attuali
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A colloquio con Laura Marzi, autrice del fortunato romanzo “La materia alternativa”, un ritratto a tratti severo della scuola e della società attuali
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A colloquio con Laura Marzi, autrice del fortunato romanzo “La materia alternativa”, un ritratto a tratti severo della scuola e della società attuali
La giovane prof protagonista di questo romanzo d’esordio (che è anche l’io narrante) insegna materia alternativa, un’ora settimanale dedicata, nelle scuole italiane, a chi non frequenta la lezione di religione cattolica. In un paese credente come l’Italia, per gioco forza l’ora di materia alternativa è frequentata per lo più da giovani straniere e stranieri, confrontati, oltre che con le sfide legate all’adolescenza, con questioni identitarie. Al di là delle specificità della griglia oraria, per molti aspetti diversa da quella delle scuole ticinesi, ad accogliere la prof giorno dopo giorno, sono, però, questioni universali, tipiche dei nativi digitali e di una generazione bombardata da informazioni e fake news, bersagliata da, ma anche promotrice di pregiudizi e false impressioni, ossessionata dalla propria immagine e in preda a fragilità e spavalderia allo stesso tempo.
La giovane e tenace prof si confronta dunque con l’ossessione per la pornografia, con un razzismo dilagante, con il rapporto dei giovani con il proprio corpo, con un linguaggio fatto di «zia» e «bro», ma anche con dubbi più grandi dell’essere umano stesso, come quelli legati a fede, religione e spiritualità.
L’aspetto più interessante e originale di La materia alternativa, al di là dell’agilità del testo, in cui le vicende della protagonista tra le mura di scuola si intrecciano con quelle più private, contraddistinte da un precariato trasversale che passa dalla sopravvivenza professionale a quella emotiva, è costituito dai dialoghi, freschi e sorprendenti, tra l’adulta del libro e i giovani comprimari.
La materia alternativa, uscito a inizio anno presso Mondadori, non ha mancato di suscitare curiosità e interesse da parte della critica, forse perché oggi più che mai, un libro che parli di scuola, e dunque di futuro, è necessario.
Nel libro si riconosce l’idea secondo cui se i ragazzi «sono come sono», non è del tutto colpa loro, poiché sono il frutto della nostra società e degli strumenti che abbiamo messo loro in mano.
Credo che spesso a scuola tra adulti e ragazzi manchi la fiducia. L’insegnamento è un lavoro relazionale il cui obiettivo è la trasmissione del sapere. Il rapporto funziona meglio, e dunque l’obiettivo viene raggiunto in modo più soddisfacente, nel momento in cui c’è fiducia reciproca. I ragazzi tendono a fidarsi degli insegnanti, anche se noto un aumento della diffidenza, fomentata secondo me dalla diffusione dei dispositivi elettronici che in qualche modo mettono i giovani in una condizione di maggiore ignoranza rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Nonostante quello che riconosco come un declino, l’insegnante non ha, però, diritto di biasimare i ragazzi per questo. In fin dei conti siamo noi, cioè la società, a porli all’interno di dinamiche per cui usano sempre il telefono, non si concentrano, non vengono responsabilizzati.
Una sorta di circolo vizioso… credi vi sia un margine di crescita?
La materia alternativa, così come l’ora di classe in Ticino, potrebbero essere un modello per l’insegnamento non tanto legato a discipline tradizionali, ma piuttosto per quella che è una missione fondamentale della scuola pubblica, ossia offrire a studentesse e studenti gli strumenti per diventare cittadine e cittadini consapevoli. Credo che il tentativo di dialogo, ma anche di scontro e di confronto che viene raccontato nel romanzo, a volte sia più utile delle lezioni frontali che spesso si fanno a scuola invitando ad esempio esperti di cyberbullismo o legalità.
Sesso, abuso di sostanze, cyberbullismo ecc. sono temi difficili da affrontare. Sulla base della tua esperienza dove trovare lo spazio necessario alla creazione di un dibattito costruttivo ed educativo?
La prof del romanzo a un certo punto si rende conto di essere da sola e di non potere risolvere nulla. Sono convinta che se questioni come la pornografia venissero affrontate trasversalmente, le cose potrebbero cambiare davvero. In fondo si tratta dell’educazione sentimentale dei giovani di domani. La scuola è per definizione il luogo in cui le cose possono cambiare. La società occidentale ha ormai preso una deriva neoliberista in cui si riconosce uno smarrimento di valori politici, sociali ed etici, e di pari passo la scuola perde la sua autorevolezza. Eppure, è proprio in quel luogo che dovrebbero avvenire i cambiamenti, perché se non avvengono lì, sicuramente non avverranno in futuro.
La scuola come ultimo luogo di potenziale dialogo, e perché non le famiglie?
Gli adulti di famiglia non si occupano di questi argomenti. Se poi penso alla pornografia, aumentata con l’utilizzo dei dispositivi elettronici, riconosco un tabù reale: il problema è che spesso gli adulti sono i primi consumatori, per cui non si sentono nella posizione di affrontare la questione con i propri figli.
Tra i temi su cui ti sei chinata nel libro, vi è anche il fenomeno della musica rap, trap e drill. I testi di queste canzoni possono essere violenti e duri, ma non di rado vengono presi a modello, come hanno dimostrato le cronache di quest’estate, con l’arresto di numerosi sedicenti artisti, resisi protagonisti di atti criminali.
Questi testi sono lo specchio degli interessi, di ciò che conta per le nuove generazioni. Ma a loro volta sono lo specchio di ciò che la società ritiene importante: contano gli abiti e il denaro, è fondamentale lo sballo. Se l’unico valore che viene posto come obiettivo da raggiungere è la ricchezza materiale, e nella nostra società i ricchi sono sempre meno, naturalmente spuntano la rabbia, la frustrazione e un senso di fallimento. Cosa si fa dunque? Si invoca la censura? Sarebbe sbagliato, sia come principio, sia perché, censurandoli, daremmo a quei testi controversi un’importanza ancora più grande. Possiamo però utilizzarli per osservare quello che ci succede intorno e intervenire a quel livello, con il dibattito e il confronto.
Per avvicinarsi ai propri figli i genitori dovrebbero chinarsi maggiormente su certi fenomeni, come i testi di cui abbiamo appena parlato?
Io credo fortemente nel dialogo. Le cose oggi sono cambiate: se un tempo la distanza tra la vita dei genitori e quella dei figli era una cosa sana, ora non è più così. Vorrei portare un esempio: oggi tra gli adulti, forse anche per quella nostra ricerca di eterna gioventù, va molto di moda l’aperitivo, e spesso ci si porta appresso anche i bambini. Un tempo una cosa del genere era impensabile, perché la vita dei genitori era separata da quella dei figli. A questo punto però, visto che c’è questa partecipazione, quando il bambino diventa un ragazzino, sarebbe giusto che anche il genitore partecipasse alla sua vita, perfino ascoltando la sua musica. Di fronte a questa assenza di confini tra vita adulta e vita adolescenziale, il rapporto deve essere bilaterale.
I ragazzi stanno vivendo un momento più difficile di quelli vissuti dalla nostra generazione?
La pandemia ha giocato un ruolo enorme, cui si è aggiunta la complicata situazione geopolitica internazionale. Vi è una specie di cappa di pericolo legata alla povertà, alla guerra e all’instabilità e quindi, mentre noi adulti cerchiamo di portare avanti le nostre responsabilità perché siamo avviati nel mondo del lavoro e abbiamo una vita adulta, i giovani cercano la fuga. E se per noi la via di fuga era sognare la libertà o la pace nel mondo, per loro la fuga è diventata spesso lo sbando, lo sballo e tanta rabbia. E proprio di quella rabbia sociale la politica non si occupa, sebbene a lungo andare sia pericolosa.
Articolo apparso su “Azione” lunedì 17 ottobre 2022
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