Artisti in vendita e appiattimento sonoro
La corsa a cedere i propri diritti musicali di diverse popstar in cambio di soldi, tanti e sicuri
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La corsa a cedere i propri diritti musicali di diverse popstar in cambio di soldi, tanti e sicuri
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La corsa a cedere i propri diritti musicali di diverse popstar in cambio di soldi, tanti e sicuri
L’ultimo caso riguarderebbe i Queen, che starebbero per cedere i diritti sul proprio repertorio per un miliardo di dollari. In precedenza lo hanno fatto Bob Dylan, Bruce Springsteen, Paul Simon, Neil Young (che ha ceduto metà del proprio catalogo), Sting, Shakira e Justin Bieber.
Parliamo della vendita delle licenze sui propri brani da parte degli artisti pop e rock. Come mai?
Ad accelerare il processo sono stati prima l’avvento dello streaming, poi il Covid. Coi download, da tempo, le star della musica incassano molto meno di quanto avvenisse con la vendita dei dischi fisici (LP e CD); i singoli scaricamenti non fruttano altrettanto – e si parla di download legali o tramite piattaforme come Spotify o Apple Music; molte persone però ascoltano i brani su YouTube senza acquistarli o li scaricano illegalmente… La situazione ha fatto sì che solamente le attività live siano diventate davvero redditizie per loro. Tutto ciò è stato purtroppo fermato dal Covid, e non tutti gli artisti sono riusciti a ripatire, anche economicamente, per organizzare tour e spettacoli.
Per molti tra i big dei palcoscenici (poiché in grado di negoziare le cifre più alte) diventa perciò conveniente vendere archivio e diritti a grandi fondi che sanno amministrare i patrimoni musicali. Detto in soldoni (è proprio il caso di dirlo) un Dylan o uno Springsteen di turno ricevono una cifra tra i 400 e i 500 milioni di dollari e si mettono a posto per il resto della vita (anche se forse lo erano già!), lasciando poi alle rispettive famiglie una cospicua eredità. Ricevono insomma un mare di liquidità che consente di finanziarsi; quelle cifre astronomiche sono come un anticipo sulle royalties calcolate per un certo numero di anni. Pare anche che fiscalmente sia vantaggioso, perché la quota da versare all’erario è minore rispetto a quella generata dal possesso di un pieno diritto d’autore.
In cambio gli acquirenti, che lavorano con o per conto di colossi come Universal, Warner o Sony, possono a proprio piacimento disporre di migliaia di canzoni da inserire in spot, film, serie tv o programmi televisivi. Fateci caso: avete notato che brani “storici” sono sempre più presenti in tali ambiti? È proprio questo il punto, oggi rendono quasi di più così. Naturalmente il compositore di un pezzo, pur non “possedendolo” più, potrà sempre e comunque esigere di essere menzionato come autore.
Per noi fruitori di musica non fa differenza sapere chi siano i proprietari delle opere; dei mutamenti interessano comunque un campo ben preciso, come ho accennato poco fa. Ebbene sì: il cinema!
Se siete attenti avrete pure rimarcato, infatti, che sono sempre meno i film con una colonna sonora interamente composta da un autore; sia vari blockbuster sia diversi film di nicchia sono costituiti, a livello musicale, da compilation di motivi più o meno celebri, di artisti diversi. Un “collage”, insomma. Gente come John Barry, John Williams, Ennio Morricone, Michel Legrand o Hans Zimmer perde insomma notorietà e visibilità, ed è peccato. Uguali le ragioni: parecchie case di produzione e distribuzione cinematografica appartengono agli stessi colossi che detengono le hit o i diritti di tante popstar, oppure hanno accordi speciali con essi.
La sensazione è che si vada verso un certo appiattimento sonoro. Le major che hanno in mano tutto il mercato sembrano dunque togliere personalità alla musica stessa, che viene spalmata ovunque e al di fuori dei contesti d’origine.
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