C’erano anche degli svizzeri. Coincidono alcune cronache giornalistiche che negli scorsi giorni hanno riferito dell’adunata neonazista a Budapest per celebrare, come ogni anno, “Il giorno del ricordo”: il ricordo dell’“eroica resistenza” dei soldati tedeschi e dei loro alleati magiari delle “Croci frecciate” contro l’avanzata dell’Armata Rossa. Che a Budapest, per omaggiare questi ‘eroi’ vi fossero anche dei cittadini elvetici, orgogliosi di presidiare con tanto di consona uniforme, uno dei luoghi deputati del raduno, è motivo di aggiuntiva amarezza. Perché Budapest è la città in cui operò Carl Lutz, vice-console svizzero dal 1942 al 1944, il diplomatico che nella città attraversata dal Danubio organizzò una rete per salvare il maggior numero possibile di ebrei, spesso riuscendovi, rischiando la vita, e realizzando quella che lo storico Xavier Cornut, presidente della “Società per la Storia svizzera”, ha definito “la più grande operazione di salvataggio nella storia della seconda guerra mondiale”. Stando a fonti ebraiche, Lutz sottrasse ai lager nazisti decine di migliaia di persone destinate allo sterminio.
Per capire chi fossero gli “eroi” esaltati a Budapest, e come sia possibile che gente da tutta Europa si unisca regolarmente per celebrarli, occorre fare ciò che gli inviati dei giornali stranieri hanno dimenticato di fare, o deciso di tralasciare, come se fosse un dettaglio di poco conto e di scarso peso per comprendere la gravità e la distorsione storica che la manifestazione racchiude. Già teatro di restrittive e pesanti leggi anti-ebraiche, l’Ungheria dell’ammiraglio Horthy (ammiratore di Mussolini) fu per alcuni anni alleata di Hitler. Fino a quando il Führer, convinto che il regime magiaro potesse tradirlo cambiando campo, decise l’invasione dell’Ungheria. Era il marzo 1944, e tra l’altro la Germania hitleriana era intenzionata a controllare la realizzazione del suo progetto di sterminio anti-ebraico. Due anni prima, la Conferenza di Wannsee aveva pianificato tempi e modi della distruzione delle comunità ebraiche d’Europa, di cui quella ungherese era una delle più numerose. Il 1942 era stato anche l’anno dell’arrivo a Budapest di Carl Lutz. Un semplice vice-console, che però doveva rappresentare anche gli interessi americani e britannici, a cui toccò l’enorme peso di negoziare personalmente con Adolf Eichmann sul limitato numero di ebrei che, stando a precedenti accordi fra Budapest e Londra, avrebbero potuto espatriare.
Budapest, 1944. La folla di ebrei ungheresi in attesa di ottenere da Carl Lutz una ‘lettera di protezione’ svizzera
Ma Lutz face molto di più: stampò false ‘lettere di protezione’ svizzere (che ponevano i possessori sotto la diretta tutela delle autorità elvetiche); ottenne che 72 edifici di Budapest (stipati di migliaia di inquilini ebrei) godessero anch’essi della protezione svizzera; con l’auto dell’ambasciata accompagnava le cosiddette “Marce della morte” (a piedi, da Budapest a Vienna, poi verso i campi di concentramento) cercando i deportati che avrebbero potuto ancora salvarsi con una “lettera di protezione”; si spostava la sera lungo il Danubio, dove venivano gettati ogni giorno, nelle acque gelide, decine di detenuti; si recava con la moglie Greta nei campi di raccolta, procedendo all’angosciosa scelta dei pochi che, fra tantissimi disperati, avrebbero avuto la grazia di ricevere un ‘lasciapassare svizzero’ ; e grazie alla complicità del proprietario di una fabbrica di vetro, in cui aveva segretamente sede anche un nucleo di resistenza ebraico, mise anche quella struttura sotto protezione svizzera, trasformandola a lungo in un salvifico, anche se spesso precario, campo profughi. Ogni giorno, centinaia di famiglie ebree, provenienti da tutta l’Ungheria dopo aver saputo di Lutz, si ammassavano fuori l’ambasciata americana (dove il vice-console svizzero aveva il suo ufficio) e lungo il marciapiede della “Casa di vetro”. Dove spesso trovavano provvisorio e precario rifugio. *
Non si trattava certo di iniziative benviste a Berna, che, timorosa di incidenti diplomatici col Terzo Reich, gli ordinò più volte di desistere. Del resto, il rappresentante di Berlino a Budapest aveva suggerito ai suoi superiori di eliminare il vice-console elvetico. Ma i peggiori nella caccia e nella soppressione degli ebrei, e anche nel contrastare l’opera di Lutz, erano le milizie locali, le “Croci Frecciate” ungheresi, di un fanatismo cieco ed esaltato, fondate e guidate da Ferenc Szalasi, che fra i suoi leader aveva un noto predicatore cattolico. Più di una volta il vice-console dovette affrontare la minacciosa arroganza delle “Croci Frecciate”, mentre cercava di mettere in salvo il maggior numero possibile di persone, in quei terribili giorni di fine guerra, sotto i bombardamenti alleati e con i sovietici alle porte della città.
Ecco quali forze ‘eroiche’, quali esempi di scempio umano, quali anime nere ripescate dal passato, vengono omaggiate annualmente a Budapest: nazisti, SS, “Croci Frecciate”. Lo possono fare nel clima di assoluta, quasi calorosa e complice tolleranza delle attuali autorità ungheresi, in un paese che in realtà non ha mai esaminato e rielaborato criticamente questa pagina vergognosa e tragica della sua storia. Nazione guidata ora da un regime dichiaratamente illiberale (quello di Viktor Orban) che ospita compiaciuto il “Giorno del ricordo”, che in realtà poco vuole ricordare, e che omaggia i carnefici e non le loro vittime. Regime il più possibile alleato, senza rinunciare ai fondi miliardari dell’UE, della Russia di Putin. Che ha riabilitato Stalin come architetto di un “impero” di cui la stessa Ungheria fu suddita e prigioniera. Quindi lo Stalin di una repressione diffusa e brutale, che fu anche di stampo antisemita.
- Sulla figura di Carl Lutz si segnala il libro “La casa di vetro” di Theo Tschuy (trad. di Aldo Sofia e Vera Snabl Sofia), Ed. Rezzonico, Locarno, 2005
Nell’immagine: il “Carl Lutz Memorial” di Budapest, in Dob utca 12, nel quartiere ebraico, dedicato alla coraggiosa opera umanitaria e anti-nazista del vice-console svizzero (dettaglio)