Quando girano, girano. Anche all’ ‘Unto del Signore’ (auto-definizione). Così, nel santo graal della democrazia italica, la Camera ‘alta’, un Silvio Berlusconi rabbuiato da diversi giorni, alla fine scoppia. E lancia il suo ‘vaff…ulo’ a Ignazio La Russa, ex ministro della difesa, meloniano ‘fratello’ d’Italia, che di secondo nome fa Benito (ma chissà perché mai nessuno lo ricorda), e che in quel momento si appresta a diventare presidente del Senato, la seconda carica istituzionale della Repubblica (augurissimi sinceri a Mattarella).
Quindi, maleducazione istituzionale, bagarre e strappo fra quegli alleati della destra – non è ormai più centro-destra – che dopo aver stravinto le elezioni, portato a Palazzo Chigi la prima donna nella Storia non solo repubblicana della ‘patria’, promesso un governo di ‘profilo altissimo’, assicurato una compattezza da falange romana contro quegli inetti guasta-tutto della sinistra, si manda ‘grillianamente’ a quel paese. Inizio col botto del nuovo governo. Anzi con il grande ‘sbotto’, da sbottare.
Che il ‘cav’ fosse sul piede (un po’ incerto) di guerra lo si era capito. Gli ‘amici’ si sono addirittura permessi di non assegnare, nel governo di altissimo profilo, un ministero alla Licia Ronzulli, gran sconosciuta all’opinione pubblica italiana, ex infermiera; si sa che il Berlusca ha un debole per estetiste e sanitarie, qualcuno l’ha definita ‘la badante’ ma in Forza Italia anche ‘una che andrebbe benissimo anche alla Sanità’, nuova musa politica dell’uomo delle ‘feste eleganti’ (in attesa della sentenza per l’accusa di aver ‘foraggiato’ le olgettine affinché dichiarassero il falso sul ‘bunga-bunga’). Un rifiuto proprio a lui, che aveva inserito sia l’Ignazio e la Meloni nei suoi governi, e che si beava di aver ‘ripulito’ la destra post-fascista già quando (un secolo fa) candidò Fini a sindaco di Roma.
Alto tradimento, dunque. Alla sua Forza Italia (quel poco che rimane dell’antica e corposa fortuna elettorale) ha perciò imposto la consegna dopo un’ultima nottata di sterili trattative: La Russa no, non va votato. Una decisione inviperita, e che un po’ deve averlo anche stordito visto che, dopo essere entrato con ritardo e con passo incerto nella tenda in cui ci si infila per scrivere un nome (oppure lasciare in bianco) sulla propria scheda, ha sbagliato uscita, lo hanno dovuto bloccare, indicargli la direzione giusta, che ha finalmente imboccato dopo altri due inciampi in pochi metri, salvato dall’amorevole soccorso di una signora del suo gruppo (forse la stessa Licia Ronzulli).
Eppure (a dimostrazione di una opposizione frantumata) al candidato post-fascista e neo presidente del Senato non sono mancati i voti. Ci hanno pensato parlamentari non di maggioranza a garantire l’esito della votazione. A salvare La Russa, in sostanza. Da dove sono arrivati i volonterosi soccorritori? Si sa, c’è chi al centro non vede l’ora di mettere un piede sulla carrozza, o quadriglia, dei vincitori. Sospettato numero uno Matteo Renzi, maestro di ‘manovrismo’, che nel cosiddetto ‘catafalco’ c’è rimasto pochissimi secondi, indice, secondo gli esperti, di un mancato ‘no’. E ci sono sospetti anche fra i Cinque Stelle. Risultato, la clamorosa frattura nelle truppe della premier. E siamo solo al debutto del nuovo governo d’altissimo profilo. Paradossalmente, amaramente, e obbligatoriamente inaugurato nell’aula dal nobile discorso di Lliliana Segre (presidente provvisorio), la più anziana dei senatori a vita a Montecitorio, e anche la più nota sopravvissuta italiana dei lager nazisti. Proprio a lei, a cui incisero sul braccio il numero di prigioniera del lager, è toccato ricevere il ‘gradito’ mazzo di fiori dal ‘figlio della Lupa’, dall’Ignazio Benito, tutto (?) Dio, patria, famiglia di mussoliniana memoria. Del resto, vuoi che non possa rappresentare, da dichiarazione scontatissima, ‘tutti gli italiani’? Che non hanno forse allegramente sdoganato (complice una fumosa sinistra governista) l’infelice ventennio?
Nell’immagine principale: il momento topico dello scontro fra Silvio Berlusconi e Ignazio Benito La Russa, neo presidente del Senato