È partita la campagna “No Billag 2 – La vendetta”
Ancora una volta si torna a raccogliere firme contro il servizio pubblico radiotelevisivo e online. E i mantra sono sempre gli stessi
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Ancora una volta si torna a raccogliere firme contro il servizio pubblico radiotelevisivo e online. E i mantra sono sempre gli stessi
• – Enrico Lombardi
I degni compari UDC e Lega riavviano la campagna delle frottole
• – Franco Cavani
Le metamorfosi del moderato del Cremlino che piaceva all’Occidente
• – Redazione
Alla seduta della Commissione d’inchiesta su Capitol Hill la figlia dell'ex-vicepresidente americano ha dato ai suoi colleghi repubblicani un esempio di coerenza e coraggio
• – Redazione
Un omaggio al grande scrittore italiano in occasione del centenario della nascita
• – Pietro De Marchi
Il coraggioso discorso sulla libertà e la resistenza della premier estone Kaja Kallas
• – Redazione
È sbagliato continuare a interpretare con formule preconfezionate un mondo in continuo cambiamento e molto diverso dal passato.
• – Redazione
Fra le pieghe della storia degli ultimi 50 anni di progetti, movimenti ed ideali progressisti in Ticino - Di Orazio Martinetti
• – Redazione
Quando un modello imprenditoriale considerato vecchio e superato potrebbe invece darci qualche speranza per il futuro
• – Lelio Demichelis
Approfittando dell’estremo bisogno di cibo nei paesi africani, cargo russi vendono sottocosto il grano sottratto dai porti ucraini bloccati
• – Redazione
Ancora una volta si torna a raccogliere firme contro il servizio pubblico radiotelevisivo e online. E i mantra sono sempre gli stessi
Ecco qua, nel roboante armamentario retorico del settimanale domenicale di Via Monte Boglia l’annuncio che si pretende tanto atteso (da Lega e UDC), benché solo quattro anni fa la popolazione svizzera avesse a larga maggioranza difeso il servizio pubblico radiotelevisivo e online dall’attacco dell’iniziativa “No Billag”. Si torna dunque a prepararsi per una votazione di cui molto si parlerà da qui a fine 2023 e che ha così tanti aspetti controversi che immaginare ora, d’impulso, di affrontarli tutti è pura illusione. Non solo, sarebbe anche presuntuoso e pretestuoso, perché richiederebbe di principio di ridurre il tutto a quattro o cinque “slogan”, proprio come quelli sbandierati senza alcun ritegno dai sostenitori dell’iniziativa e da una campagna già ben profilata nel 2018.
Slogan tipo “il canone più caro d’Europa” per dire, che come sempre si indirizza senza altra specificazione alla pancia e al borsello del cittadino-contribuente in un tormentone che dura ormai da anni, sempre uguale a se stesso, sempre disgustosamente strumentale, ulteriormente strumentalizzato ora, in tempi certamente grami e tristi di crisi di guerra, per rincarare la dose, per sostenere che il cittadino proprio non può e non deve più accettare di contribuire all’esistenza di un’azienda nazionale di comunicazione che garantisca, come fa, da decenni, un’offerta informativa, culturale, di intrattenimento quadrilingue, in nome di un principio, la “coesione nazionale”.
Che si tratti di una “risorsa”, di un “patrimonio comune” frutto di una precisa idea di stato nazionale plurilingue e multiculturale, rispettoso delle minoranze come da nessun’altra parte al mondo, ecco questo davvero pare non contare. Forse non c’è troppo da meravigliarsene per quanto riguarda il contesto svizzero-tedesco, con un “mercato” in costante movimento, particolarmente aggressivo verso presunte posizioni statali o parastatali che si vogliono privilegiate o impropriamente “garantite” e che l’imperante neo-liberismo vede ormai come il fumo negli occhi (salvo poi batter cassa a Berna per chiedere ripetutamente di “sostenere l’economia privata in difficoltà”); ma l’attacco senza tregua al servizio pubblico che viene da Lega e UDC in Ticino ha qualcosa di sciaguratamente paradossale: da qualunque parte la si voglia guardare, la questione, infatti, è più o meno quella di chi si taglia il ramo su cui sta seduto.
Decine e decine di professioni svolte in RSI hanno, in Ticino, un mercato ristrettissimo, o pressoché inesistente, a cominciare dai giornalisti o dai registi per arrivare alle truccatrici e ai tecnici di scenografia. Quasi mille persone, è vero, che per svolgere i compiti più diversi ricevono stipendi commisurati su base nazionale, che costituiscono metà del bilanco annuale dell’azienda. Ecco, se da 330.- franchi, si passasse a 200.- (che per il Mattino sono ancora troppi, naturalmente, non si sa in ragione di quale valutazione), si può facilmente constatare che o saltano programmi (e molti) o saltano collaboratori (e molti); anzi, visto che gli uni non si fanno senza i secondi, salta metà dell’offerta attuale, e metà delle persone sta a casa.
Ma non finisce qui: di fronte ad una simile prospettiva, a livello nazionale verrebbe certamente rimesso in discussione un principio che ha sempre vincolato il sostentamento delle quattro Unità Aziendali della SSR, ovvero la famosa “chiave di riparto” (Clé Helvetia) che, per quanto ci riguarda (per farla breve) ci permette di essere il 4% dei contribuenti e di ricevere quasi il 20% del budget annuale (per realizzare un’offerta analoga alle altre due regioni, ben più cospicue della Svizzera italiana). Insomma: quattro quinti di quanto produce la RSI è pagato da contribuenti di Bümplitz e di Romont, per intenderci. Con un così drastico taglio sul canone, siamo davvero sicuri che le proporzioni di quanto riceverebbe la RSI rimangano invariate? C’è da dubitarne, e molto. Certamente ne discuterebbero a Bümplitz e Romont, e non solo. Dunque, la scure rischia di tagliarci non solo il ramo, ma anche le gambe.
È questo che vuole il “Mattino”? È questo che vuole l’UDC di Marco Chiesa?
Ah già, ma la questione è che la SSR, e la RSI di conseguenza, sono “finto servizio pubblico”. Si è costretti a pagare, a loro dire, per covi di giornalisti sinistrorsi che distorcono realtà e notizie. Qui siamo alla cosiddetta “narrazione orientata”, che ha nella politica, nell’imprenditoria e in certi media un ampio ventaglio di propugnatori e propagatori. Il meccanismo è piuttosto rudimentale: voglio combattere qualcuno per mio interesse, ma devo trovare consenso; allora dico che chi sto combattendo è una sorta di “mostro”, di nemico (mio) e naturalmente della collettività, di cui mi faccio paladino. Lo dico, lo ripeto, lo ripeto ancora, e alla fine ecco che l’assunto diventa un dato di fatto assodato, una volta per sempre. È vero? No, ma non importa, è “credibile”, posso portare due o tre esempi, evocarli a ripetizione, ridurre la RSI a qualche suo spazio informativo e non ad un’azienda multimediale che offre (fra radio, tv e online) centinaia di ore di programma al giorno.
Eh, no, ricordare che si tratta di un’azienda che produce un’enorme ricchezza di contenuti, ad ogni ora del giorno e della notte, su ogni vettore, nei modi più diversi, con innumerevoli e qualificati professionisti, questo non fa gioco, si rischierebbe di far passare il pericoloso messaggio che forse il “servizio pubblico” è proprio tale, fatto per il pubblico, anzi per i pubblici, i tanti pubblici che hanno diritto (perché pagano) a ricevere contenuti che li interessano, anche in altre lingue nazionali, anche non necessariamente nazionalpopolari, anche di arte, di musica classica, di approfondimenti e podcast radiofonici, anche di dossier online, anche di programmi tv su eventi culturali come “Turné” o appuntamenti di terza serata sorprendenti e colti come “cliché”.
Per Boris Bignasca (stando ad una sua fulminea dichiarazione di qualche mese fa a “Teleticino”) la RSI potrà anche essere solo il Teletext. Ma pensa, c’è ancora anche quello, per chi, poi, è capace ed ha voglia di trovare molto altro, criticabile fin che si vuole, migliorabile, certamente, ma in ogni caso elemento “identitario” nazionale e regionale senza il quale, con l’idea di risparmiare, saremmo tutti più poveri.
Nell’immagine: la conferenza stampa per il lancio dell’iniziativa (dal servizio della RSI)
Una storia esemplare, il licenziamento di oltre 400 operai attraverso un email notturno. Ma chi è il proprietario?
Domenica voto anticipato; favorito il Partito Popolare, che però rischia di dover governare in coalizione con gli estremisti di VOX; difficile ‘remontada’ del PSOE protagonista di...