Economisti, chinatevi sul teorema del giovane Andrea A
La Corte europea deve dire l’ultima parola sulla creazione di una Superlega privata: se il “libero” mercato ci toglie il piacere dell’ “ineffabile palla”
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La Corte europea deve dire l’ultima parola sulla creazione di una Superlega privata: se il “libero” mercato ci toglie il piacere dell’ “ineffabile palla”
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La Corte europea deve dire l’ultima parola sulla creazione di una Superlega privata: se il “libero” mercato ci toglie il piacere dell’ “ineffabile palla”
“Perché la palla rotola?” – chiede un giovane discepolo al bodhisattva Rinpoche: “perché è ineffabile” risponde l’”Illuminato”. Della qual cosa siamo consapevoli pure noi: quando diciamo che “la palla è rotonda” possiamo tranquillamente sentirci vicini al “prezioso maestro” tibetano.
Ma la palla non è tale per tutti: non per Andrea Agnelli (Juventus), per Florentino Perez (Real Madrid), per Joan Laporta i Estruch (Barcellona); per loro e per i presidenti di altre nove squadre, le più ricche e blasonate d’Europa, la palla non poteva essere ineffabile, cioè sottoposta a balzi e rimbalzi imprevedibili, e finire magari nella propria rete.
In quattro e quattr’otto, con un annuncio televisivo di Florentino Perez verso mezzanotte, hanno comunicato la creazione di una Lega privata, al di fuori della “Champions League” gestita dall’Uefa.
Agnelli, rappresentante dei grandi Club europei, aveva appena partecipato a una riunione con il Presidente dell’Uefa, lo sloveno Alexander Ceferin, che si è ritenuto pugnalato alle spalle ed ha reagito minacciando di espellere i “secessionisti”.
Le squadre inglesi, sotto la grande pressione dei propri tifosi, sono scappate assieme ad altre: ma i tre promotori non hanno mollato l’osso: la palla è nostra, non saranno i bergamaschi de “hura e de hota” a portarcela via, e nemmeno i baschi del Real Sociedad o i maestri-ceramisti del Villareal.
I tre compari hanno trovato un giudice madrileno (Ruiz de Lara) che ha dichiarato il progetto compatibile con le leggi che reggono la nostra società: “l’Uefa non può essere operatore monopolista e dominante”. Tradotto: le 12 squadre più ricche d’Europa possono, da bravi liberi imprenditori, dividersi la torta dei diritti televisivi, del pubblico pagante e dei grandi sponsor tra di loro, lasciando agli altri (Champions League, Europa League, Conference League) le briciole, spolpando l’osso sino a pochi straccetti residui.
Il tutto secondo una teoria espressa senza il minimo sospetto (“soli eravamo e sanza alcun sospetto” – Dante) dal giovane Andrea Agnelli, che reputa l’attuale sistema “obsoleto”: perché “ le grandi istituzioni del calcio (Uefa, Fifa) “ hanno aggiunto al ruolo di regolatori (leggi: di Stato) quello di organizzatori, broker, distributori del prodotto calcio, e infine percettori e distributori dei proventi”. Insomma e di nuovo: la torta è tutta per noi, al massimo decidiamo noi se cedere o meno qualche fetta.
All’assemblea annuale degli azionisti Agnelli è stato ancora più chiaro: “il nuovo concetto di meritocrazia sportiva (il suo), non può basarsi esclusivamente sulle performance domestiche in ossequio a equilibri geopolitici e commerciali che dovrebbero rimanere estranei all’essenza dello sport”.
Traduzione: senza rossore, il giovane e rampante Agnelli rovescia con un atto di straordinaria arroganza il concetto stesso dello sport: infatti nessuno impedisce alla Juventus di vincere il campionato, o anche solo di piazzarsi entro le prime 4, e incassare gli 80 milioni di euro annuali che la Champions in media garantisce; ma, esattamente in virtù della “meritocrazia” e dell’ ”essenza dello sport”, nessuno impedisce ai bergamaschi della velocissima dea-fanciulla Atalanta di vincere uno a zero a Torino, e di essere, al momento, la quarta squadra qualificata per la Champions.
Ceferin, per tagliare l’erba sotto i piedi ad Agnelli & Co, aveva accettato il concetto di “valore storico”, cioè di blasone, per determinare il “ranking”, la classifica europea, importante per certi vantaggi economici (sponsor, contratti Tv, ecc.).
Ma all’ingordigia dei ricchi, indebitati sino al collo per i troppi acquisti costosi, non bastava.
Sull’orlo del fallimento malgrado gli aumenti di capitale (700 milioni di euro in 3 anni per la Juventus, indagata per falso in bilancio) è stato lanciato il progetto di una Lega privata, sull’esempio della “franchise” americana: la classica fuga in avanti.
Poco fa, il 23 novembre, il Parlamento europeo ha bocciato il progetto privato che ”mina i principi e i valori di solidarietà, di sostenibilità, ed equità dello sport europeo” con 597 voti contrari, 36 favorevoli, e 55 astensioni..
Nel frattempo gli Stati europei, all’ultimo istante anche l’Italia, si sono costituiti come parte lesa dal progetto che toglierebbe molto interesse ai campionati nazionali e sposterebbe troppe risorse finanziarie nelle casse della nuova Superlega.
Non ci resta che attendere (a giorni) la sentenza inappellabile della Corte Europea di Giustizia. I molti amanti dell’ “Ineffabile palla” sperano in bene, affinché non solo l’Atalanta, ma anche l’Empoli (o il Getafe in Spagna) possano battere la Juventus, rispettivamente il Real Madrid e il Barcellona, secondo il ”vecchio” concetto di “meritocrazia sportiva”. La nostra, non quella di Agnelli.
Sul mercato globale, a volte, è più redditizio pagare le sanzioni che abbandonare pratiche illegali
Lo afferma, in questa intervista, Massimo Filippini, professore di economia politica all’USI e al Politecnico di Zurigo